L'articolo si sofferma sul tema del cd. "say on pay" (ossia il voto degli azionisti sulle politiche di remunerazione degli amministratori), alla luce della proposta di modifica della direttiva cd. azionisti, nonché dell'esperienza di taluni ordinamenti europei che, a seguito alla crisi dei mercati finanziari, hanno trasformato il voto dei soci in materia da consultivo a vincolante. Uno degli obiettivi della proposta della Comissione europea è, come noto, quello di aumentare il cd.shareholder engagementnelle società quotate.
In questa prospettiva, l'attribuzione agli azionisti di un voto vincolante sulle politiche retributive degli amministratori sarebbe in grado, più di quello consultivo, di rafforzare il legame tra remunerazione eperformancedegli stessi.
Il presente articolo si propone quindi verificare, in primo luogo, se il sistema di cd. say on pay consultivo vigente nel nostro ordinamento ex art. 123-ter, TUF, è adeguato rispetto al perseguimento di tali obiettivi. Inoltre, la trattazione di tale tema fornisce lo spunto per riflettere sul rapporto tra assemblea e amministratori previsto da tale norma, nonché, per chiedersi, più in generale, se il sistema di ripartizione delle competenze delineato dagli artt. 2364, comma 1, n. 5, e 2380-bis, c.c., sia in linea con le tendenze comunitarie volte a favorire la partecipazione dei soci anche su materie di carattere amministrativo.
The aim of this essay is to provide a critical analysis of "say on pay" (i.e. voting of shareholders on executive compensation during the general annual meeting) in the Italian and EU legal frameworks.
EU Commission's proposal to amend the Shareholder Rights Directive aims to create a better link between pay and performance of directors by improving shareholder oversight of directors'remuneration. In this perspective, articles of proposal give shareholders the right to approve the remuneration policy.
Recently, in reaction to the global financial crisis, several EU countries enacted regulatory reforms in order to transform advisory vote on executive remuneration into a binding mechanism.
In the Italian system, by contrast, shareholders have an advisory vote on remuneration policy (art. 123-terof TUF).
The purpose of this article is to examine the influence of the EU developments on italian "say on pay"regime, paying particular attention to the distribution of power among shareholders and board of directors.
The increase of shareholders' involvement in management decisions, as suggested by EU Commission, is, infact, limited by law: art. 2380-biscivil code grants the board of directors the "exclusive power to manage the enterprise", whereas the articles of association may only require a previous shareholders'authorization for specific management transactions (art. 2364, comma 1, n. 4, civil code).
CONTENUTI CORRELATI: corporate governance - remunerazione degli amministratori - say on pay - art. 123-ter - TUF
1. Premessa. - 2. Il modello comunitario di c.d. “say on pay”: fondamento e limiti. - 3. Il sistema italiano di cd. “say on pay” di cui all’art. 123-ter, sesto comma, TUF. - 4. (segue): gli effetti “non vincolanti” della delibera. - 5. (segue): considerazioni sul cd. “say on pay” consultivo. - 6. Politiche di remunerazione e “creazione di valore” per gli azionisti. - 7. Alcune considerazioni conclusive sul ruolo dell’assemblea in materia di politiche di remunerazione degli amministratori. - NOTE
Il tema della remunerazione degli amministratori, tradizionalmente al centro del dibattito nazionale ed internazionale sulla corporate governance, ha assunto, come noto, un rinnovato interesse nell'ultimo decennio, stante l'idea di una stretta correlazione tra sistemi non appropriati di retribuzione e di incentivazione dei managers e la recente crisi dei mercati finanziari[1]. Numerosi sono stati, infatti, gli interventi di riforma realizzati dai vari ordinamenti (europei ed extra-europei), nel tentativo di allineare i compensi degli amministratori agli interessi di lungo periodo della società[2]. In tale contesto, assume centralità la previsione del cd. "say on pay", strumento attraverso il quale gli azionisti hanno la possibilità di esprimere il proprio voto (vincolante o non vincolante[3]) sulle politiche di remunerazione degli amministratori ovvero sulle retribuzioni ad essi effettivamente corrisposte[4]. A tal proposito, la Commissione europea, in sede di proposta di modifica della direttiva 2007/36/CE (c.d. "azionisti"), ha segnalato come le carenze riscontrate nei vari ordinamenti (sia per quanto riguarda il profilo dell'informazione dei soci, sia per quanto riguarda gli strumenti per consentire loro di esprimere il proprio parere sulla remunerazione degli amministratori), abbiano cagionato "una correlazione insufficiente tra la remunerazione e i risultati degli amministratori delle società quotate", perciò rendendo necessario un ripensamento della disciplina vigente [5]. L'intervento della Commissione fornisce, pertanto, lo spunto per riflettere sull'idoneità del modello di say on pay previsto nel nostro ordinamento ex art. 123-ter, sesto comma,TUF, sia rispetto allo scopo che è proprio di tale istituto (cioè quello di allineare le politiche di remunerazione degli amministratori all'interesse di lungo periodo della società[6]), sia rispetto al sistema di ripartizione di competenze tra organi sociali che ne è alla base. Con un anticipo sulle conclusioni cui si perverrà nel presente scritto, si può sottolineare sin d'ora come la suddetta previsione, al di là della sua adeguatezza sotto entrambi i profili, assuma un particolare interesse da un punto di vista sistematico, riproducendo un modello digovernancein cui l'assemblea, in linea con le tendenze del diritto comunitario, viene investita dalla legge di un ruolo attivo e della [...]
Come noto, il diritto comunitario ha già da tempo sottolineato l'importanza della partecipazione degli azionisti al processo di formazione delle politiche di remunerazione degli amministratori (basti pensare alla raccomandazione 2009/385/CE, la cui attuazione ha portato all'introduzione dell'art. 123-ter, sesto comma, TUF) [7]. La stessa Commissione europea, nell'ambito della citata proposta di modifica della direttiva 2007/36/CE, ha di recente sollecitato gli Stati membri ad intervenire con specifiche disposizioni, al fine di consentire agli azionisti di esercitare il "diritto di voto sulla politica retributiva degli amministratori" e alle società di retribuire gli amministratori "solo secondo la politica retributiva approvata dagli azionisti" almeno ogni tre anni (art. 9bis,par. 1). Il riferimento al divieto di corrispondere compensi non conformi alla politica di remunerazione approvata dagli azionisti sembrerebbe quindi attribuire al voto dei soci un carattere vincolante[8]. Tale conclusione pare, del resto, avallata anche dal recente emendamento apportato alla norma dal Parlamento europeo, che, pur facendo salva la possibilità per gli Stati di optare per il voto consultivo, prevede in prima battuta che le società "elaborino una politica retributiva degli amministratori e la sottopongano alla votazione vincolante dell'assemblea degli azionisti" ovvero che possano retribuire i propri amministratori "solo secondo la politica retributiva votata dall'assemblea degli azionisti"[9]. Sulla scia di tale orientamento, sia il legislatore inglese(cfr. sect. 226, Comp.Act. 2006, così come modificata a seguito del cd. Enterprise Reform and Regulatory Act 2013[10]) che quello spagnolo (art. 529-novodecies, legge, 3 dicembre 2014, n. 31[11]) hanno di recente modificato la propria disciplina, prevedendo a loro volta una versione "forte" di c.d.say on pay . Per quanto riguarda, invece, il voto degli azionisti sulla relazione sulle retribuzioni, prevede il successivo art. 9-ter, che essi, in occasione dell'assemblea annuale, debbano votare sulla relazione avente ad oggetto le retribuzioni corrisposte agli amministratori nell'ultimo esercizio, precisandosi che, in caso di mancata approvazione (circostanza da cui si desume la natura non vincolante del voto, confermata del resto anche dal successivo emendamento del Parlamento europeo[12],la società sia tenuta a spiegare nella relazione successiva "se e come [...]
Nel nostro ordinamento, come noto, la disciplina codicistica in tema di compensi degli amministratori di cui agli artt. 2364, primo comma, n. 3, c.c., e 2389 c.c. (che resta ferma ex art. 123-ter, sesto comma, TUF), è integrata per le società quotate, dagli artt. 114-bis e 123-ter, TUF, nonché dall'art. 84-quater,Regolamento Emittenti n. 11971/99, ovvero dalle previsioni del Codice di Autodisciplina delle società quotate (art. 6)[24]. Ai sensi della prima disposizione, l' assemblea è tenuta ad approvare a favore dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, dei dipendenti e dei collaboratori, i piani di compensi basati su strumenti finanziari di cui all'art. 114-bis, primo comma, TUF[25]. Tale norma attribuisce una competenza ulteriore in capo all'organo assembleare, chiamandolo a deliberare su una materia (quella dell'approvazione dei piani di compenso) altrimenti rimessa alla decisione degli amministratori e rispetto alla quale forte sarebbe il rischio di "sviamenti rispetto al genuino interesse della società e degli azionisti"[26]. Norma centrale nell'ambito della materia in esame è, però, l'art. 123-ter, TUF("Relazione sulla remunerazione"), in base alla quale la relazione sulla remunerazione: a) nel sistema tradizionale, è approvata dal consiglio di amministrazione e, nel sistema dualistico, dal consiglio di sorveglianza (su proposta del consiglio di gestione, limitatamente alla sezione prevista dal quarto comma, letterab)(primo comma); b) almeno ventuno giorni prima della data dell'assemblea di cui agli artt. 2364, secondo comma, e 2364-bis, secondo comma, c.c., è messa a disposizione del pubblico "presso la sede sociale, sul proprio sito Internet e con le altre modalità stabilite dalla Consob con regolamento" (primo comma); c) è sottoposta a una "deliberazione non vincolante" da parte dell'assemblea, che si esprime "in senso favorevole o contrario sulla sezione della relazione sulla remunerazione prevista dal comma 3" e l'esito del voto è reso disponibile sul sito internet della società ai sensi dell'art. 125-quater, secondo comma (sesto comma). Lo stesso art. 123-ter,sesto comma, TUF, precisa che la sezione della relazione su cui l'assemblea è tenuta a deliberare in senso favorevole o contrario si riferisce, sia alla "politica della società in materia di [...]
A differenza da quanto previsto per le società bancarie ed assicurative (ove l'assemblea è tenuta ad approvare la politica di remunerazione dei componenti degli organi di gestione[32]), l'art. 123-ter, sesto comma, TUF, come si è visto, dispone che il voto assembleare non sia vincolante, così valendo semplicemente quale strumento di moral suasion nei confronti degli amministratori, i quali, in caso di voto negativo degli azionisti, potranno essere indotti a rivedere le proprie decisioni [33]. La natura non vincolante della delibera ex art. 123-ter, sesto comma, impedisce, pertanto, di incrinare la regola generale del codice civile, in base alla quale gli amministratori sono gli esclusivi titolari del potere di gestione e, in quanto tali, assumono piena responsabilità per i relativi atti[34]. Essendo la politica di remunerazione atto dell'organo amministrativo (come conferma lo stesso art. 123-ter, primo comma, TUF, che, appunto, ne rimette l'approvazione ad esso ovvero al consiglio di sorverglianza, nell'ambito delle sue funzioni di cd. "alta" amministrazione), l'assemblea non potrà modificarla né formulare proposte alternative [35]. Al fine di meglio comprendere la portata di tale soluzione, pare utile soffermarsi brevemente su quelle delibere cd. consultive (ovvero, quegli "orientamenti assembleari privi di una incidenza effettuale diretta o comunque giuridicamente costrittiva delle scelte degli amministratori"), il cui studio ha avuto impulso proprio a seguito dell'introduzione della disposizione sopra citata [36]. La delibera consultiva, innanzitutto, assumerebbe rilevanza sul piano endo-societario, attivando uno scambio di informazioni tra amministratori e soci, attraverso cui questi ultimi sarebbero in grado di segnalare le proprie preferenze rispetto agli obiettivi da raggiungere o alle operazioni che potrebbero implicare il rischio di una deviazione dall'interesse sociale[37]. Un aspetto che parrebbe decisivo, al fine di valutare l'efficacia di tale istituto, è dato dall'accertamento della sua natura di atto deliberativo, posto che solo in tal caso sarebbe possibile applicare la disciplina di cui agli artt. 2377 ss., c.c., sull'invalidità delle delibere assembleari[38]. Se, infatti, tali decisioni non fossero impugnabili, verrebbe meno uno strumento di tutela nei confronti dei soci, i quali potrebbero soltanto far valere la responsabilità degli amministratori che non [...]
Precisato il quadro normativo di riferimento e le caratteristiche generali dell'istituto, pare ora necessario chiedersi se il modello di say on pay di cui all'art. 123-ter, TUF, possa essere considerato adeguato rispetto allo scopo, ben espresso dalla Commissione, di impedire agli amministratori "di applicare strategie di remunerazione (…) che possono non contribuire ai risultati a lungo termine della società"[41]. A tal riguardo, si tende a convenire sul fatto che, mentre il sistema di voto non vincolante creerebbe una sorta di negoziazione sulle politiche di remunerazione della società (inducendo gli amministratori a rivedere le proprie determinazioni, onde evitare l'espressione di voti negativi da parte degli azionisti), l'introduzione di un voto vincolante renderebbe invece molto più decisivo il ruolo dei soci, determinando nel contempo una più stretta connessione tra remunerazione e performance degli amministratori (proprio in quanto il voto negativo dell'assemblea impedisce la corresponsione dei relativi compensi) [42]. In realtà, come emerge, in particolare, dall'esperienza inglese (che di recente ha assistito al passaggio dal c.d. "advisory vote"al cd. "binding vote"), l'idea che il voto vincolante possa essere più efficace di quello meramente consultivo non pare dimostrata nei fatti, come, del resto, emerge dalle contrastanti opinioni della dottrina espressasi sul punto: così, accanto a chi sottolinea l'efficacia del cd. binding vote(sia come strumento per garantire la correttezza delle politiche di remunerazione adottate dalle società sia per le ricadute positive sul valore delle azioni[43]) o comunque ne sostiene la preferibilità rispetto al voto consultivo (perlomeno, per le aspettative che sarebbe in grado di creare nei soci[44]), non manca chi, invece, ne considera i limiti, evidenziando la scarsa propensione degli azionisti (salvo talune eccezioni) ad intervenire in assemblea per dissentire rispetto a remunerazioni eccessive e in ogni caso non proporzionate al rendimento degli amministratori [45]. D'altra parte, esiti tutto sommato positivi paiono provenire dall'esperienza di Paesi che già da tempo hanno optato per il voto consultivo, strumento che comunque induce gli amministratori a cercare legittimazione presso gli azionisti in merito alle politiche retributive proposte [46]. Per quanto riguarda, più nello specifico, il nostro [...]
Come più volte sottolineato nel presente scritto, uno dei principi guida dell'intervento in materia degli organi comunitari, nonché degli stessi legislatori nazionali, è quello volto a stabilire una correlazione tra le politiche retributive degli amministratori di società quotate e il risultato da essi conseguito [57]. Spunti in tal senso sono contenuti nello stesso Codice di autodisciplina delle società quotate, che, con riferimento alla remunerazione degli amministratori esecutivi o investiti di particolari incarichi, pone una correlazione tra "obiettivi di performance" e "creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo"[58], laddove la Consob impone alle società quotate di rendere note nella prima parte della relazione di cui all'art. 123-ter, TUF, le "informazioni volte ad evidenziare la coerenza della politica delle remunerazioni con il perseguimento degli interessi a lungo termine della società e con la politica di gestione del rischio, ove formalizzata"[59]. Pare, inoltre, significativo a tal fine l'utilizzo di quelle clausole- già diffuse nella prassi delle società quotate e previste dalla legislazione bancaria ed assicurativa- che, in presenza di determinati eventi, impongono agli amministratori la restituzione dei compensi erogati dalla società (cd. clausole di "claw back"[60]), ovvero, consentono alla stessa di trattenere nel corso del rapporto una parte variabile della remunerazione (clausole cd. "di malus")[61]. Ci si potrebbe allora interrogare sull'utilità di una previsione, che, analogamente a quanto è previsto in altri ordinamenti, miri ad assicurare in via legislativa la corrispondenza tra i compensi degli amministratori e i risultati (positivi o negativi) conseguiti dalla società[62]. Mancando nel nostro ordinamento un'espressa disposizione in tal senso, probabilmente opportuna se si considera che le scelte degli amministratori in materia di politiche retributive possono incontrare il limite dell'insindacabilità nel merito delle scelte imprenditoriali, si può tentare di giungere a tale risultato per via interpretativa[63]. In più occasioni, gli organi comunitari hanno espresso l'idea - per diversi aspetti discutibile[64]- che solo scelte che tengono conto di un orizzonte temporale di lungo termine sarebbero idonee a soddisfare l'interesse sociale inteso come [...]
Come noto, l'individuazione dell'organo competente a deliberare sulle politiche di remunerazione degli amministratori è un tema cruciale del diritto societario, posto che, se tale materia viene intesa come parte integrante dell'organizzazione societaria, nonché elemento essenziale al fine del raggiungimento degli obiettivi di gestione, sarebbe naturale ricondurla alla competenza dell'organo amministrativo, laddove, l'intrinseca conflittualità che discenderebbe dall'assegnazione agli amministratori del compito di determinare il proprio compenso farebbe propendere, invece, per una diversa soluzione [68]. A tal proposito, pare che l'art. 123-ter, sesto comma, TUF- introducendo una competenza cd. "concorrente" tra assemblea e amministratori nei termini che si sono descritti- rappresenti un punto di equilibrio tra tali contrapposte esigenze, presentando il duplice vantaggio di rispettare le naturali competenze degli organi sociali, da un lato, e di incentivare una cooperazione tra costoro, dall'altro. La previsione, da parte della norma in questione, di un coinvolgimento- sia pure a livello consultivo- dell'assemblea nel processo di definizione delle politiche di remunerazione degli amministratori può essere letta, anzitutto, come tappa di un più significativo percorso di rivitalizzazione di tale organo, volto a superare il tradizionale pregiudizio di un' "apatia razionale" degli azionisti [69]. Lo stesso legislatore sembrerebbe, infatti, confidare nella capacità di costoro di valutare, non solo la politica di remunerazione in sé, ma anche la sua coerenza "con il perseguimento degli interessi a lungo termine della società" [70]. Se è vero, che l'assemblea può essere priva di quelle competenze tecniche e specialistiche necessarie per una piena comprensione della materia, è altrettanto vero che la stessa - se debitamente informata- potrebbe essere, invece, in grado di pronunciarsi con consapevolezza e razionalità sulle linee guida generali della remunerazione degli amministratori, materia avente un carattere più organizzativo che gestionale in senso stretto (non a caso, proprio all'assemblea è rimessa l'approvazione dei piani di compensi basati su strumenti finanziari di cui all'art. 114-bis, primo comma, TUF) [71]. In tale situazione, l'organo amministrativo sarà, a sua volta, incentivato a provvedere, [...]