Obbligo di trasparenza e contenzioso sui costi dell’operazione bancaria.
Lo scritto inizialmente sintetizza i principi desumibili dalla disciplina della trasparenza bancaria e identifica gli scopi della funzione informativa e della funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale, tradizionalmente attribuite alla suddetta disciplina. La funzione di informazione, prima della stipula o al momento della stipula del contratto, tende a garantire che il cliente della banca sia informato dei costi e dei rischi assunti, mentre, dopo la stipula, è volta a consentire al cliente di verificare che i costi e i rischi da lui sostenuti durante il rapporto contrattuale corrispondano a quelli che gli erano stati indicati. La funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale è il logico corollario della funzione di informazione e costituisce la fase correttiva per l’inadeguatezza delle informazioni fornite. Lo scritto si sofferma quindi su alcuni esempi applicativi tratti dalla giurisprudenza del Collegio di coordinamento ABF e dalla Corte di cassazione, rispettivamente sull'argomento del TAEG dei contratti di credito al consumo e sul diritto del cliente di ottenere copie dei documenti relativi alle operazioni bancarie.
Transparency obligation and litigation on banking operations’ costs.
In its first part, the essay focuses on the identification of the principles underlying the banking transparency regulation. Furthermore, it analyzes the purposes of the information function, and of the function of rebalancing the contractual relationship traditionally attributed to the aforementioned discipline. Before the stipulation of the contract or at that time, disclaiming information aim to guarantee the knowledge of the bank's client about costs and risks assumed. After that time, information aim to allow the customer to verify if costs and risks in which he has incurred during the contractual relationship correspond to those that had been shown to him. The function of rebalancing the contractual relationship is the logical consequence of transparency and claims to correct the failure in supplying adequate information. In its second part, the article focuses on some cases taken from the jurisprudence of the Collegio di Coordinamento ABF and from the Corte di Cassazione respectively on the subject of the APR of consumer credit agreements and on the customer's right to obtain copies of documents relating to banking operations.
Keywords: transparency Banking transparency – information function – function of rebalancing the contractual relationship – APR in consumer credit agreements – customer’s right to obtain banking documentation
CONTENUTI CORRELATI: trasparenza bancaria - funzione di informazione - rapporto contrattuale - TAEG
1. Le funzioni della trasparenza bancaria. - 2. L'opacità delle operazioni bancarie e la discrezionalità dei giudici. - 3. I principi elementari della trasparenza bancaria. - 4. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul TAEG dei contratti di credito al consumo. - 5. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul diritto del cliente di ottenere copia dei documenti inerenti a operazioni bancarie. - NOTE
Nella relazione da me tenuta in uno dei due convegni organizzati l’anno scorso a Campobasso da Andrea Barenghi per ricordare i 25 anni dall’introduzione della disciplina della trasparenza bancaria [1], ricordavo come nel tempo a detta disciplina siano state riconosciute varie funzioni. In primo luogo, una funzione informativa, strumentale soprattutto allo scopo di innalzare la concorrenzialità del mercato, e che si esplica nell’obbligo della banca di rilasciare informazioni alle sue controparti, siano esse consumatori che professionisti, in tutte le fasi del rapporto contrattuale, e dunque prima della stipula del contratto, al momento della conclusione del contratto, ed infine nel corso dell’esecuzione dello stesso. Una seconda funzione, di riequilibrio del rapporto contrattuale, è stata invece riconosciuta alle norme che sanzionano l’inadempimento della banca per carente o insufficiente trasparenza del rapporto contrattuale. Secondo alcuni Autori, detta finalità sfocerebbe poi in una ulteriore e più controversa funzione della trasparenza bancaria, volta ad assicurare anche un’assistenza consulenziale al cliente. Il riconoscimento di una tale funzione rivelerebbe però una visione paternalistica ed antiquata dell’ordinamento bancario, così da imporre alle banche obblighi addirittura tutori della propria clientela, deresponsabilizzandola e annullando la portata “educativa”, e pedagogica, che è possibile attribuire alla funzione informativa della trasparenza. Infatti, ogni disciplina dei consumatori che tenda ad assicurare la massima tutela al più sprovveduto finisce poi per gravare il consumatore più accorto dei maggiori costi che inevitabilmente le imprese dovranno perciò sostenere. Inoltre, ogni scelta legislativa in tema di informazione della clientela deve necessariamente confrontarsi con la differenziazione e la personalizzazione dell'informazione, e se questa debba conformarsi ad un unico modello di tutela ovvero a tipologie diverse, e più adeguate alle esigenze del singolo cliente, non solo aggravando in tal caso i relativi oneri a carico delle banche ma rendendoli anche più facilmente contestabili. Ricordavo anche che alcuni degli interventi giurisprudenziali più discussi in materia sono stati tacciati di populismo giudiziario e di eccessiva imprevedibilità e [...]
La dialettica tra le varie finalità via via attribuite negli anni agli obblighi di trasparenza bancaria, pur riconducibile a scelte interpretative molto diverse, può trovare la sua efficace sintesi da un lato nell’ampiezza e nella durata degli obblighi informativi a carico delle banche, che si colloca tra un momento addirittura anteriore alla conclusione del contratto e continua fino alla completa esecuzione dello stesso; e dall’altro nella consapevolezza che l’informazione non è sinonimo di trasparenza, e che la riduzione delle asimmetrie informative non basta da sola a riequilibrare la disparità delle posizioni contrattuali delle parti, né a consentire al cliente di cogliere i costi ed i rischi insostenibili per lui: con la duplice conseguenza che il formale adempimento da parte della banca di obblighi informativi sempre più pervasivi e numerosi non è comunque da solo sufficiente ad integrare un comportamento conforme alle clausole generali di buona fede e di correttezza, come richiamate, per i consumatori, dall’art. 127 t.u.b., e che in definitiva nessuna informazione è sufficiente se non è fornita con l’intento di informare, e che pertanto non conta la quantità di informazioni rese o ricevute, bensì rileva la qualità e il contenuto delle stesse e soprattutto l’atteggiamento soggettivo con il quale sono rese: in una parola, la correttezza e la buona fede della banca. Si tratta di una conclusione di cui occorre verificare la coerenza con il minuzioso apparato normativo, che si preoccupa di indicare specificamente la miriade di singole informazioni che le banche devono fornire alla propria clientela: se in definitiva la giurisprudenza si riserva di valutare la diligenza della banca e di verificare il carattere completo ed esaustivo delle informazioni rese, anche andando oltre il formale adempimento degli obblighi legali e regolamentari, ciò significa che esiste un margine di discrezionalità dei giudici ampio, che in definitiva finisce con l’estendere la portata di quegli obblighi. Tuttavia, prima di considerare come eccessiva la discrezionalità in concreto esercitata dalle corti italiane, o di ritenere che i modi di soluzione alternativi delle controversie recepiti in Italia proprio in attuazione della disciplina della trasparenza, abbiano adottato un approccio troppo penalizzante [...]
In effetti, andando oltre la complessità, a volte inutilmente ridondante, di tale legislazione, detti principi sono piuttosto elementari, e le decisioni più convincenti – anche delle corti comunitarie – sono proprio quelle che, al fondo, si ispirano ad essi. In estrema sintesi, e per tentare di fornirne una chiave di lettura unitaria, si può affermare che la funzione informativa, di cui si parlava, svolta dalla disciplina in esame prima della stipula o al momento di questa del contratto, tende ad assicurare che il cliente della banca sia reso effettivamente consapevole dei costi e dei rischi che si assume, mentre, una volta stipulato il contratto, è rivolta a mettere il cliente in grado di controllare in ogni momento che i costi ed i rischi che sono gravati su di lui nel corso dello svolgimento del rapporto corrispondano effettivamente a quelli che gli erano stati illustrati e in relazione ai quali si era convinto a stipulare il contratto. Gli strumenti attraverso i quali si realizza detta funzione informativa mutano pertanto considerevolmente a seconda della fase del rapporto nella quale si innestano, essendo nella fase anteriore alla stipula o in quella della stipula stessa, costituiti dal contenuto e dalla qualità delle notizie fornite ai singoli clienti, mentre in quella successiva alla stipula un ruolo decisivo assume la documentazione inerente alle informazioni in precedenza erogate. Di certo la funzione informativa non è agevolata andando a rendere nota al cliente la scomposizione analitica, molto spesso artificiosa quando non pretestuosa, dei costi che la banca dichiara di sostenere a lato di quelli creditizi, con la pretesa di giustificare oneri che si vanno ad aggiungere a questi ultimi. Mentre, al contrario, per il cliente è essenziale essere consapevole del costo complessivo di ciascuna delle operazioni creditizie che conclude, per poterne valutare la compatibilità con il proprio reddito ed il proprio patrimonio e per poter eventualmente reperire sul mercato proposte alternative. Ne consegue inoltre che la funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale, che pure la disciplina in esame effettivamente svolge, è il logico corollario della funzione informativa, nel senso che essa costituisce la fase rimediale al mancato rilascio di una adeguata informazione. E ne consegue altresì che, nell’assolvimento della citata funzione di [...]
A riprova delle conclusioni appena proposte, citerò alcuni esempi tratti da sentenze recenti, che hanno ritenuto insufficiente la trasparenza sui costi gravanti sulla clientela bancaria. Mi limiterò ad un paio di questioni emblematiche, non disponendo nel tempo necessario per riferire della varietà dei casi che la pratica quotidianamente offre. La prima questione è relativa a quello che potremmo definire il costo per eccellenza, vale a dire il tasso annuo effettivo globale (TAEG), o indicatore sintetico di costo (ISC) in relazione a contratti bancari riguardanti il credito al consumo, tema sul quale, in primo luogo, vorrei ricordare la recente decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF 8 novembre 2018 n. 23293 (est. Maugeri), che invero ha fornito, attraverso un richiamo ampio ad una sentenza del 2018 della Corte di Giustizia UE, la soluzione alla questione sottopostale, sul se fosse sufficientemente trasparente l’indicazione del TAEG attraverso l’indicazione in contratto della sola equazione matematica che consentiva di calcolarlo. La soluzione individuata nella sentenza C-448/17 della Corte di giustizia UE 20/09/2018 si fonda sulla constatazione che, già secondo la direttiva 87/102, il contratto di credito deve essere concluso per iscritto e tale documento scritto deve contenere, in quanto informazione di importanza essenziale, l’indicazione del TAEG nonché le condizioni a cui quest’ultimo può essere modificato. La medesima direttiva stabiliva le modalità di calcolo del TAEG, calcolo che deve essere effettuato «al momento in cui si conclude il contratto». La Corte di Giustizia conclude perciò che la mancata indicazione del TAEG in un contratto di credito costituisca un elemento decisivo affinché il giudice nazionale possa stabilire se la clausola contrattuale relativa al costo del credito sia formulata in modo chiaro e comprensibile e per valutarne il carattere vessatorio. Alla mancata indicazione del TAEG va perciò assimilata la situazione in cui il contratto contenga soltanto un’equazione matematica di calcolo di tale TAEG priva degli elementi necessari a effettuare tale calcolo, situazione nella quale non si può ritenere che il consumatore abbia piena conoscenza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione, e, conseguentemente, che [...]
L’orientamento interpretativo che però, in assoluto, mi sembra più significativo è quello, costante, che nel tempo ha sempre più ampliato la portata sistematica della disposizione contenuta nell’art. 119, quarto comma, t.u.b., per la quale “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”. Si tratta di una norma la cui portata era stata inizialmente sottovalutata, tenuto conto che generalmente al cliente è comunque consegnata copia della documentazione inerente al proprio rapporto contrattuale con la banca, con la conseguenza che il riconoscimento del diritto del cliente di ottenerne, in un arco temporale di dieci anni, una nuova copia poteva apparire come una inutile superfetazione. In realtà, la norma si è rivelata essere uno degli architravi dell’intera disciplina della trasparenza bancaria, grazie anche all’interpretazione che ne ha costantemente fornito la giurisprudenza. Uno dei punti nodali dell’interpretazione della norma concerne la limitazione della documentazione di cui può essere richiesta copia a quella inerente a “singole operazioni”. Con la conseguenza che ogni richiesta generica o priva di riferimento ad una specifica operazione era parsa in una prima fase interpretativa inidonea ad essere accolta. Erano state perciò considerate come esplorative, e perciò non meritevoli di essere accolte, le richieste, per lo più avanzate dagli eredi del cliente defunto ovvero dal curatore fallimentare chiamato a occuparsi del patrimonio del fallito, volte genericamente ad ottenere copia di tutta la documentazione bancaria dell’ultimo decennio. Questo iniziale orientamento si è però venuto modificando ormai da oltre un decennio in senso più favorevole alla clientela. L’attuale punto di arrivo sembra essere la sentenza Cass. 8 febbraio 2019, n. 3875 (est. Dolmetta), nella quale innanzitutto si ribadisce, alla stregua del notevole precedente contenuto già in Cass. 12 maggio 2006, n. 11004 (est. Schirò), il [...]