Lo scopo di questo lavoro consiste nell’interpretare le nuove regole tenendo doverosamente in considerazione le specificità delle società di persone. Il dovere di predisporre adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, previsto dal nuovo art. 2086, secondo comma, c.c. richiamato dall’art. 2257, primo comma, c.c. difetta di qualsiasi forma di controllo interno (salvo l’eventuale controllo individuale del socio ex art. 2261 c.c.); la presenza di questo dovere, inoltre, impone di rivedere la tradizionale ricostruzione delle prerogative degli amministratori nel regime legale di amministrazione disgiunta. L’attribuzione in via esclusiva agli amministratori della gestione dell’impresa pone ulteriori e rilevanti questioni interpretative, che devono essere parimenti risolte partendo dall’analisi del contesto normativo di riferimento.
The partnership management compliant with the new Italian Bankruptcy Code: a first reading of the art. 2257, first paragraph, c.c.
The purpose of this article is to interpret the new rules considering the characteristics of partnerships. The duty to establish adequate internal organizational, administrative and accounting structures (art. 2086, second paragraph, c.c. and art. 2257, first paragraph, c.c.) is exempt from any form of internal control (except for the individual control of the shareholder, art. 2261 c.c.). The presence of this duty requires as well a review of the traditional prerogatives exercised by the directors within the legal regime of the administrative office. The exclusiveness conferred to directors in managing the company raises additional significant issues of interpretation, which must be settled beginning with an accurate analysis of the regulatory context of the partnerships.
Keywords: partnership – management – adequate internal structure
CONTENUTI CORRELATI: società di persone - amministrazione - assetti adeguati
1. Le nuove regole di diritto dell'impresa e la gestione delle società di persone. - 2. Autonomia, imperatività e standard aziendalistici. - 3. Gli "assetti adeguati" nel contesto delle società di persone. - 4. "Assetti adeguati" e amministrazione delle società di persone. - 5. "Assetti adeguati" e (mancanza di) controlli. - 6. Gli amministratori di società di persone e la c.d. "gestione esclusiva". - 7. "Assetti adeguati" e profili di responsabilità degli amministratori. - NOTE
L’attenzione del legislatore, negli ultimi vent’anni, si è prevalentemente concentrata sulle società di capitali: dall’entrata in vigore del t.u.f. (d.lgs. 58/1998), alla Riforma del 2003, per arrivare alla più recente e tumultuosa serie di interventi nei confronti del tipo s.r.l. (si pensi, ad esempio, ai plurimi interventi sull’art. 2477 c.c., in tema di controllo legale dei conti, e alle nuove declinazioni della s.r.l., quali le start-up innovative, le s.r.l. PMI innovative e le s.r.l. piccole e medie imprese), il panorama normativo ha subito profonde modificazioni. Nel frattempo, la disciplina dedicata alle società di persone sembrava, almeno in termini generali, rimanere ai margini della politica legislativa, che tuttavia si preoccupava, con la Riforma del 2003, di riconoscere la contrapposizione fra le due classi di società, in occasione della regolazione delle trasformazioni (artt. 2500 ter e 2500 sexies c.c.), individuando, come ha osservato la dottrina, una sorta di “spartiacque tra le due sottocategorie di società” [1]. La mancanza di una diretta attenzione del legislatore societario non ha impedito una vivace evoluzione delle società di persone sul piano della disciplina applicabile: la Riforma del 2003, infatti, ha finito per assumere anche il valore di un “intervento trasversale nel diritto delle società di persone” [2], tramite il quale, ad esempio, si consente alla società di persone di passare al tipo capitalistico con decisione adottata dalla maggioranza dei soci computata secondo la partecipazione di ciascuno agli utili (art. 2500 ter) [3]; si offre ai soci di società di persone, come ai soci di s.r.l., la possibilità di ricorrere al c.d. “arbitrato economico” per risolvere i contrasti che dovessero insorgere “tra coloro che hanno il potere di amministrazione” (art. 37 d.lgs. 5/2003) [4] e, in contrasto con un divieto di lunga tradizione, si consente alle società di capitali di partecipare alle società di persone (art. 2361, secondo comma, c.c. e art. 111 duodecies disp. att. c.c.), con la conseguente possibilità, per la società di persone partecipata da una società di capitali, di nominare quale amministratore una persona giuridica [5]. Sul piano interpretativo si è, inoltre, realizzato un [...]
Poste queste premesse, potrebbe farsi strada l’idea che la previsione del dovere di predisporre “assetti adeguati” nelle società di persone rappresenti l’esito di un procedimento lineare, necessario e privo di conseguenze problematiche. La realtà, invece, presenta questioni di non poco conto, che prendono forma non appena ci si appresti a calare la nuova disciplina introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel contesto dei modelli personalistici. Con il nuovo art. 2257, primo comma, l’organizzazione delle società di persone, infatti, tradizionalmente affidata all’incontro tra le volontà dei singoli, privo di formalità e adempimenti di carattere organizzativo o procedurale, risulta ora soggetta ad una norma imperativa, il cui adempimento passa dall’applicazione di tecniche di derivazione aziendalistica [16]. Ciò implica che l’organizzazione interna della società personale non possa essere lasciata al caso, ma debba essere il risultato di processi decisionali tracciabili che, a loro volta, come vedremo, rappresentano il criterio di valutazione della responsabilità degli amministratori [17]. Più nel dettaglio, la disposizione appena citata presenta, sostanzialmente, due facce. Da una parte, l’obbligo di predisporre “assetti adeguati”, giusta il rinvio all’art. 2086, secondo comma, non è suscettibile di deroga o di limitazioni da parte dell’autonomia statutaria, trattandosi di una norma posta a tutela dell’interesse generale, volta non solo a rilevare tempestivamente situazioni di crisi, ma anche a promuovere una migliore gestione dei rischi, dell’organizzazione e dei procedimenti decisionali interni [18]; l’imperatività, in questo contesto, risulta coerente con la stretta relazione di complementarietà che intercorre tra impresa e programma, posto che, come osserva la dottrina, “non si può fare impresa senza una pianificazione aziendale, intesa come individuazione degli obiettivi strategici, anche se non formalizzata in un documento” [19]. Dall’altra, però, il disposto dell’art. 2086, secondo comma, presenta un contenuto non perfettamente delimitato, in quanto impone l’osservanza di regole non giuridiche e standard flessibili per la corretta gestione [...]
Come si diceva, il dato normativo tace sul concreto contenuto degli assetti, per i quali il legislatore si limita a prescrivere l’adeguatezza. A questo proposito soccorre la dottrina, che individua negli “assetti organizzativi” la presenza di un idoneo e dettagliato organigramma della società, con la previsione dell’attribuzione delle funzioni, dei poteri e delle relative responsabilità; gli “assetti amministrativi” indicano, invece, le procedure atte ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle singole fasi e, infine, gli “assetti contabili” sono rappresentati da un efficiente sistema di rilevazione contabile, dalla redazione di un budget almeno annuale e da un controllo periodico dei saldi contabili e bancari [23]. La predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili implica, come rileva la dottrina, una procedimentalizzazione delle varie fasi dell’attività [24], con l’effetto che ogni momento, decisionale o esecutivo, risulta rispondere a parametri predeterminati e riconoscibili [25]. L’attività, così strutturata, è sottratta più facilmente ad improvvisazioni che mettano a repentaglio la continuità aziendale, essendo presenti strumenti di previsione (budget, piani industriali, analisi dei cash-flow prospettici, ecc.) che consentono una consapevole e informata decisione gestoria, a favore sia di una maggiore “solidità” dell’impresa, sia del tempestivo accertamento dei prodromi della crisi. Per quanto concerne l’attività delle società di persone, che può esigere forme di organizzazione minimali o elementari, o persino indurre a ritenere ultronea la predisposizione di forme di programmazione e procedure interne, occorre ribadire che l’art. 2086, secondo comma, al quale come si diceva l’art. 2257, primo comma, fa rinvio, distingue nettamente due diversi piani: l’oggetto dell’obbligo, vale a dire il concreto significato di assetto amministrativo, organizzativo e contabile, e la misura dell’obbligo medesimo, che deve rapportarsi “alla natura e alle dimensioni dell’impresa”; fatta questa distinzione, dunque, si può osservare che il sistema così risultante impone a qualsiasi impresa, [...]
A questo punto, la questione principe su cui focalizzare l’attenzione è la nuova fisionomia che l’amministrazione nelle società di persone viene ad assumere a seguito di quanto ora previsto dall’art. 2257, primo comma. Secondo la dottrina, la costante presenza dell’obbligo di predisporre “assetti adeguati”, nelle disposizioni che riguardano tutte le imprese collettive, comporta l’espressa estensione a tutte queste iniziative imprenditoriali, comprese le società di persone, del principio di corretta amministrazione, inteso come conformità delle scelte imprenditoriali ai criteri di razionalità economica [31]. Tra le prime ricadute dell’applicazione di questo principio vi è, certamente, l’inammissibilità della sottoposizione dell’organizzazione ad improvvisazioni e rischi riconoscibili ex ante: la previsione dell’obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati comporta necessariamente l’adozione di consapevoli tecniche “di governo del rischio” [32], anche in contesti, come appunto quello dell’amministrazione delle società di persone, tradizionalmente lasciati dal legislatore alla completa discrezionalità dei soggetti preposti, vale a dire dei soci amministratori. Un’ulteriore conseguenza è la necessità che l’impresa collettiva sia amministrata in modo informato: infatti, presupposto imprescindibile perché sia adempiuto l’obbligo ex art. 2086, secondo comma, è l’assunzione delle necessarie informazioni, in mancanza delle quali l’adempimento del prescritto dovere sarebbe del tutto impossibile. Il dovere degli amministratori di agire in modo informato, previsto per le s.p.a. nell’ultimo comma dell’art. 2381, e che la dottrina estende anche alle s.r.l. [33], riguarda anche gli amministratori delle società di persone, quantomeno con riferimento a quelle informazioni che si rendono necessarie perché sia concretamente possibile predisporre un minimo di organizzazione. Gli amministratori, dunque, hanno il dovere di assumere le necessarie informazioni prima di agire, svolgendo un’indagine preventiva del contesto e attuando una pianificazione in termini di organizzazione, contabilità e amministrazione; il tutto, naturalmente, commisurato alle condizioni, alle [...]
Sempre sotto il profilo informativo, ma con riguardo alle prerogative del socio non amministratore, il possibile esercizio del diritto individuale di controllo ex art. 2261 può avere ad oggetto la predisposizione degli assetti ex art. 2086, secondo comma. Gli aspetti relativi all’organizzazione interna, dunque, possono essere oggetto di riscontro da parte del socio, il quale agisce nell’esercizio del proprio individuale diritto all’informazione [42], senza che gli amministratori possano opporre le dimensioni minime o la scarsa complessità dell’attività. La presenza del diritto individuale di controllo comporta, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di predisporre adeguati assetti amministrativi e se la natura e la complessità dell’attività esercitata lo richiedano, la predisposizione di procedure interne volte a consentire un efficace e sicuro esercizio del diritto del socio ex art. 2261, con il conseguente tempestivo adempimento delle legittime richieste individuali dei soci [43]. L’individuazione di queste procedure interne può naturalmente variare in ragione di ciò che può essere considerato “adeguato” nel caso concreto [44]. Com’è noto, la prerogativa individuale assegnata al socio di società personale, al pari del diritto di informazione e controllo ex art. 2476, secondo comma, attribuisce al singolo la facoltà di attivarsi, nel proprio interesse, per reperire le informazioni alle quali è interessato, senza che si possa ravvisare in capo al socio un dovere di iniziativa, né tanto meno un obbligo di provvedere a tutela di interessi diversi dai propri [45]. Manca, perciò, nelle società di persone, la previsione di un “momento valutativo” necessario in ordine alla predisposizione di “assetti adeguati”. Se si guarda, più in generale, alla disciplina che regola questo dovere con riferimento agli altri tipi societari, l’assenza di ogni riferimento ad un momento successivo di accertamento e verifica degli assetti, escluse le iniziative individuali, quali appunto il diritto di controllo ex art. 2261, risulta del tutto singolare. In tema di s.p.a., infatti, il dovere di predisporre assetti adeguati arricchisce l’organizzazione interna di un’articolata ripartizione [...]
Il nuovo art. 2257, primo comma, oltre a prevedere il rinvio all’art. 2086, secondo comma, introduce la regola secondo cui la gestione “spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Nell’attribuire in via esclusiva agli amministratori la gestione della società, la norma introduce per la prima volta, nelle società di persone, una netta ripartizione di competenze fra coloro che sono dotati della qualifica di amministratore e i soci non amministratori [51]. Come avviene per il rinvio all’art. 2086, secondo comma, anche l’attribuzione della c.d. “gestione esclusiva” ricorre in termini analoghi con riferimento ai diversi tipi societari [52]: si veda l’art. 2257, primo comma, per le società di persone; gli artt. 2380 bis e 2409 novies per le s.p.a. e l’art. 2475 per le s.r.l. Anche in questo caso, come appunto si è avuto modo di osservare in merito alla disposizione in tema di “assetti adeguati”, la nuova regola assume una specifica fisionomia, ponendosi in relazione con la realtà normativa in cui risulta immersa. Ciò risulta particolarmente evidente se, per un momento, si amplia lo sguardo a ciò che contemporaneamente avviene nelle società di capitali: nel contesto delle s.p.a., infatti, non si registrano particolari contraccolpi rispetto al passato, in quanto la competenza esclusiva degli amministratori per la gestione assume rilievo tipologico nella società azionaria [53]; diversamente, per la s.r.l. il disposto dell’art. 2475, primo comma, (“la gestione dell’impresa (…) spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”) presenta non facili problemi di coordinamento con le regole che presuppongono l’ingerenza dei soci nella gestione, quali l’art. 2479, primo comma, in tema di decisioni dei soci, l’art. 2468, terzo comma, in tema di diritti particolari dei soci anche relativi all’amministrazione e l’art. 2476, settimo comma, in tema di responsabilità dei soci per la decisione o autorizzazione di atti dannosi per la società i soci o i terzi [54]. Guardando nello specifico alle sole società di persone, si deve [...]
L’art. 2257, primo comma, nel delineare il vincolo di esclusività della gestione a favore degli amministratori e nell’imporre a costoro il compito di predisporre “assetti adeguati”, non dà alcuna indicazione in merito alle conseguenze di un eventuale inadempimento. Per questo, risulta naturale individuare i profili di responsabilità degli amministratori nell’art. 2260, secondo comma, trattandosi dell’adempimento degli obblighi imposti dalla legge. L’accertamento della responsabilità per la violazione degli obblighi di predisporre assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati impone un supplemento di indagine, in quanto ciò che la norma richiede non appartiene affatto al novero degli adempimenti precisi e puntuali: essa, come si diceva, ponendosi quale clausola generale, lascia all’interprete l’individuazione della concreta fisionomia degli “assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, i quali a loro volta devono rispondere ad un criterio di “adeguatezza”. La condotta che gli amministratori sono obbligati a tenere, dunque, confluisce in una scelta concreta che viene effettuata dai medesimi fra le possibili varianti: essi devono, dunque, provvedere all’analisi della concreta situazione, per la quale si rende necessario assumere almeno informazioni essenziali, e giungere alla scelta degli assetti che vorranno predisporre, selezionati fra quelli astrattamente disponibili e parimenti adeguati [67]. La discrezionalità che necessariamente accompagna le scelte degli amministratori impone di verificare i limiti entro i quali i giudici possono sindacare l’adeguatezza degli assetti: vi è, infatti, la necessità di comprendere se lo schema amministrativo, organizzativo o contabile, concretamente adottato, tra le diverse opzioni a disposizione degli amministratori, possa essere oggetto di un sindacato ex post dal giudice, oppure se l’accertamento giudiziale incontri i limiti derivanti dalla Business Judgement Rule [68]; e il quesito risulta tanto più centrale, in concreto, se si considera la già richiamata assenza, nelle società di persone, di qualsiasi fisiologico momento valutativo o di riscontro “interno” in ordine gli assetti. Per meglio inquadrare la questione della possibile responsabilità degli amministratori per i [...]