Le Società tra Professionisti sono state recentemente previste e disciplinate dalla l. n. 183 del 2001 e dal successivo d.m. del Ministero della Giustizia n. 34 del 2013, entrato in vigore il 1° aprile 2013. Le nuove regole, che consentono esplicitamente di costituire Società tra Professionisti secondo i modelli societari delle società di persone, delle società di capitali e delle cooperative, disciplinano taluni importanti aspetti che vanno a qualificare la società, appunto, quale Società tra Professionisti. A tale proposito, il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale dei professionisti deve essere tale da determinare al maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni e decisioni dei soci; la Società tra Professionisti deve garantire il diritto del cliente di designare il socio professionista che eseguirà la prestazione professionale e, inoltre, la Società tra Professionisti è soggetta al regime disciplinare dell'ordine professionale di appartenenza. Nonostante la previsione di apposite regole che tengono conto delle specificità della Società tra Professionisti, taluni aspetti non sono stati tenuti nella dovuta considerazione: la Legge sulle Società tra Professionisti, infatti, non si occupa espressamente dellagovernancedi tali società; tale situazione comporta delle forti ambiguità su questioni fondamentali, quali la composizione e il funzionamento dell'organo amministrativo. Lo scopo del presente lavoro è, dunque, l'analisi, sulla scorta degli elementi posti a disposizione dalla l. n. 183 del 2011, degli aspetti non espressamente regolati, ma essenziali per l'attività delle Società tra Professionisti; tra le questioni non regolate, una particolare attenzione è riservata al tema dell'apertura dell'organo amministrativo ai non professionisti e al problema relativo alla determinazione dell'ampiezza dei poteri degli amministratori sull'attività professionale.
The Italian Lawmaker has recently enacted the Statute that rules Professional Companies (l. no. 183/2011) and the decree of the Ministry of Justice no. 34 of 8th February 2013, in force as of the 1stApril 2013. These rules allow business organizations to be created among professionals. Legal regulations applying to Professional Companies typically differ in important ways from those applying to other companies, due to the identity of the company as a Professional Company. Therefore, shareholders without a professional license and that are taking part in the company only with capital, cannot comprise of more than one third of the shareholders or the capital in a professional company. The Professional Company must guarantee the right of the client to request that the professional engagement to be carried out by the company is entrusted to one or more professionals of the client's choosing, and a Professional Company must adhere to the ethical rules of the Professional Body in which is enrolled. However, the Statute does not rule the governance of Professional Companies. It is ambiguous on specific issues, such as the circumstances concerning the decisions by the board of directors and if the director can be a non professional. In light of this, the aim of this paper is to study the governance of the Professional Companies after the enactment of the Statute.
CONTENUTI CORRELATI: società tra professionisti - governance - organo amministrativo - professional companies - board of directors
1. Le società tra professionisti nel disegno delle liberalizzazioni - 2. La società tra professionisti e i modelli societari codicistici - 3. Le diverse “categorie” di soci e i rapporti di forza - 4. L’amministrazione della società - 5. L’amministrazione delle società tra professionisti di persone - 6. I sistemi di amministrazione nelle società “professioniste” per azioni e a responsabilità limitata - 7. Conclusioni - NOTE
Le recenti regole dettate in materia di società tra professionisti[1], regole che impattano con indubbia veemenza sull'ordinamento delle professioni protette, si inseriscono coerentemente in un più ampio flusso normativo, sinteticamente definito, dal legislatore stesso e dagli operatori, con il termine liberalizzazione. Questo esteso fenomeno, di cui appunto le regole sulle società tra professionisti fanno parte[2], comprende e giustifica interventi eterogenei[3], accomunati dallo scopo ideale di (contribuire a) dare un impulso all'economia, nella convinzione secondo cui il miglioramento generale dell'assetto normativo, o delle "regole del gioco", sia in grado di modificare sensibilmente le attuali condizioni dei ceti produttivi. In questa prospettiva, laliberalizzazione si concretizza nel permetterel'acquisizione dellaqualificaprofessionale, e l'esercizio della relativa attività, a soggetti ulteriori e diversi rispetto a quelli cui tradizionalmente essa spetta. Le società tra professionisti, che ora godono dellostatusprofessionale nei termini che avremo occasione di esaminare[4], sono il frutto di un lungo e tortuoso cammino di avvicinamento al sistema delle società commerciali[5]. In termini più generali, tra i più recenti interventi del legislatore nel senso della liberalizzazione delle attività produttive, coinvolgenti anche l'esercizio di attività professionali, si segnala il d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148: l'art. 3, abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche, al primo comma, sancisce l'obbligo per Comuni, Province, Regioni e Stato di adeguare i propri ordinamenti al principio secondo cui "l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge"[6] e, coerentemente, il successivo quinto comma, alla lett. a), sancisce il principio di liberà di "accesso alla professione", consentendo unicamente le limitazioni che rispondano a ragioni di interesse pubblico[7]. La centralità del principio di libertà dell'iniziativa economica, così solennemente ribadita dal legislatore, è accompagnata dalla prescrizione dell'obbligo di abbracciare un preciso indirizzo interpretativo per superare eventuali dubbi sui casi concreti: indirizzo che si [...]
Il complesso delle regole dedicate alle società tra professionisti dall'art. 10, l. 12 novembre 2011, n. 183, si compone di poche disposizioni, destinate ad integrare le norme di diritto societario "comune" e volte a regolare gli aspetti caratterizzanti della forma giuridica destinata all'attività professionale. Con una tecnica legislativa che evoca quanto è accaduto per le imprese sociali[14], non si è creato un nuovo modello giuridico o un tipo sociale cui ricondurre le caratteristiche specifiche del fenomeno che si intende regolare, ma è stata data la possibilità, entro determinati limiti e con precise regole di salvaguardia dei diversi interessi in gioco, di esercitare un'attività professionale ricorrendo "ai modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile", i quali - ferme restando le caratteristiche dell'organizzazione nella forma giuridica prescelta - risulterannodeclinativerso l'esercizio di tale attività, mediante pochi, ma assai significativi, interventi in punto di disciplina applicabile. L'esito di questa operazione, volta a preservare le peculiarità dell'attività professionale mediante specifici interventi che trovano applicazione indipendentemente dal tipo prescelto, è l'introduzione di una disciplina transitipica, che risulta decisamente complessa sul piano della concreta applicazione delle singole norme (in relazione ai diversi modelli cui può ricorrere l'ente che esercita l'attività professionale); l'interprete è, dunque, chiamato a valutare i diversi aspetti della disciplina dettata in materia di società professionali, affinché le regole "speciali" possano essere correttamente "calate" nella complessiva regolazione del tipo prescelto. La soluzione alle possibili antinomie è data dal ricorso al generale criterio di compatibilità. In effetti, molte disposizioni del diritto societario comune invocano detto criterio: si pensi all'art. 2454, che affida la regolamentazione delle s.a.p.a. alle norme relative alle società per azioni, in quanto compatibili con le disposizioni dettate per il tipo e all'art. 2379, ultimo comma, in tema di deliberazioni nulle, che prevede l'applicazione in quanto compatibili del settimo e ottavo comma dell'art. 2377[15]. Un'espressa clausola di compatibilità si riscontra poi nella disciplina dettata in tema di s.r.l.s. (art. [...]
Prima di affrontare il complesso tema dellagovernancedelle società tra professionisti, secondo i diversi modelli possibili a mente della legge n. 183, è opportuno svolgere talune considerazioni in merito alla compagine sociale e ai rapporti di forza interni alla società. L'accesso alla qualifica di società tra professionistida parte delle società di persone e di capitali non costituisce il mero effetto di un atto di volontà, ma esige il rispetto di una serie di condizioni, in parte contenute nella normativa di rango primario, in parte contenute nella prevista normazione secondaria[20]. Tra queste condizioni si registra la necessità che una parte dei soci sia dotata di specifici requisiti soggettivi professionali[21]. Il socio professionista può essere anche l'unico socio[22] e vede remunerata l'esecuzione dell'incarico per il quale risulta designato[23] tramite la partecipazione agli utili della società, oppure secondo gli accordi con la società medesima, nel caso in cui la prestazione professionale non costituisca oggetto di conferimento[24]. Uno degli aspetti più innovativi della l. n. 183/2011 è legato alla presenza, nella compagine sociale, di soggetti privi della qualifica professionale; al riguardo i non professionisti costituiscono una categoria non omogenea, poiché la loro presenza è giustificata sia "per prestazioni tecniche"[25], sia "per finalità di investimento". Con riferimento a questi ultimi, si apre la possibilità che la s.t.p. sia partecipata dasoci persone giuridiche, rendendosi così possibile una peculiare articolazione per gruppi, limitata o comunque caratterizzata dal fatto che, sul piano delle deliberazioni o delle decisionidei soci,deve essere rispettato il principio della prevalenza del ceto professionale, secondo cuiin ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci(art. 10, quarto comma, lett. b). Si osserva, a tale proposito, che la società che partecipa alla s.t.p. può essere, a sua volta, una s.t.p., dotata della qualifica professionale e conseguentemente iscritta all'ordine o collegio di riferimento[26]. Tale società potrebbe avere interesse ad essere [...]
L'art. 10, quarto comma, lett. b), nel delineare i rapporti di forza tra il ceto professionale e gli altri soci, si occupa espressamente delle sole decisioni dei soci e non dà indicazioni in ordine all'amministrazionedella società: nulla è previsto in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori, né in ordine alla composizione del consiglio di amministrazione[42]. Dalla disposizione appena richiamata si desume che gli amministratori sono, di regola, espressione della volontà del ceto professionale, cui la legge affida la sovranità sulla società, ma non è ricavabile se si possano designare quali amministratori i non professionisti[43]. 4.1 Amministrazione e oggetto sociale della società "professionista". Per poter affrontare la questione dell'amministrazione della s.t.p. è necessario tornare a riflettere sulla natura dell'ente: come si accennava, infatti, il legislatore non crea un modello autonomo, ma rinvia ai "modelli societari" e tale tecnica normativa si presta a più soluzioni interpretative, fra loro molto diverse, fra le quali si può annoverare anche una lettura decisamente "restrittiva" che, lungi dall'aprire alla generale ammissibilità di vere e proprie società, anche di capitali, tra professionisti, a pieno titolo appartenenti al tipo prescelto dai soci in sede di costituzione, ricostruisca il riferimento ai "modelli societari" contenuto nella l. 183/2011 unicamente come un mero rinvio alla (sola) disciplina dei tipi delle società lucrative e delle cooperative (rinvio che, per vero, sarebbe espresso, se così inteso, in termini piuttosto enfatici), in un contesto di piena e assoluta separatezza fra i tipi societari codicistici e le "società" tra professionisti. Se ci si pone nell'appena descritta prospettiva, il richiamo alle regole contenute nei titoli V e VI del libro V del codice civile legittimerebbe solo una ricostruzione per rinviodel funzionamento dell'ente, senza per questo chiarire la natura dello stesso. Nonostante il nomen"società", l'ente in questione, dedicato all'esercizio delle professioni "protette", risponderebbe a principi autonomi, ai quali si dovrebbero per conseguenza piegare le ordinarie norme societarie. Una simile lettura risulta coerente con le molteplici soluzioni conosciute dalla nostra tradizione giuridica e utilizzate dalla prassi quali strumento o ausilio all'attività del [...]
La legge sulle s.t.p. tace anche in merito al regime legale di amministrazione delle società tra professionisti di persone, a differenza di ciò che accade per la società tra avvocati, in relazione alla quale l'art. 23, d.lgs. n. 96 del 2001, l'amministrazione disgiuntiva è indicata quale regime legale[66]. Poiché, diversamente rispetto alle appena citate società tra avvocati, nelle s.t.p. possono assumere la qualifica di socio amministratore anche soggetti privi della qualifica professionale, si pone la questione relativa alla concreta configurabilità di un'amministrazione disgiunta in presenza di soci amministratori non professionisti, dato che, com'è noto, il socio amministratore può adottare le decisioni che ritiene opportune senza le garanzie di carattere procedimentale e informativo che invece caratterizzano il funzionamento dell'organo amministrativo collegiale[67]. In tali circostanze, la soluzione che meglio consente di contemperare i diversi interessi in gioco, in presenza di soci amministratori non professionisti, non risultando praticabile l'estensione della regola della prevalenza del ceto professionale prevista per le decisioni dei soci, consiste nel valorizzare gli obblighi di informazione preventiva, obblighi che si fondano sul principio di buona fede nell'esecuzione del contratto di società. Nell'amministrazione disgiunta delle s.t.p. di persone, infatti, si pone in termini più intensi, rispetto al diritto comune societario, la questione generale relativa al diritto del singolo socio all'informazione preventiva e al correlativo obbligo del socio amministratore, che si accinge a porre in essere un atto o un'operazione, di informare gli altri delle proprie intenzioni[68]. La presenza di un obbligo informativo rinforzato è in grado di potenziare la gestione della s.t.p., perché consente di mettere in luce, al momento dell'assunzione e della distribuzione degli incarichi professionali, eventuali situazioni di incompatibilità tra gli stessi professionisti e, inoltre, favorisce uno svolgimento coordinato dell'attività. All'autonomia statuaria è affidata la scelta di modelli alternativi, quali l'amministrazione disgiunta di alcuni soltanto dei soci, l'amministrazione congiunta di tutti i soci, l'amministrazione congiunta di alcuni soltanto dei soci, e ove si opti per [...]
In tema di società tra professionisti costituite in forma di s.p.a. si osserva che le specifiche qualità personali degli amministratori professionisti e dei non professionisti possono essere valorizzate ricorrendo all'articolazione dell'organo amministrativo in organi delegati ed esecutivi, questi ultimi composti in ipotesi dagli amministratori non professionisti, purché siano garantiti i flussi informativi, previsti dalla legge, fra il consiglio di amministrazione e i delegati, cui si aggiunge il dovere, in capo all'organo amministrativo, di valutare l'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili (art. 2381, commi terzo, quinto e sesto)[70]. Un ulteriore aspetto, anch'esso non preso in considerazione dal legislatore, attiene al possibile conflitto di interessi fra l'amministratore e la società: nella s.t.p. l'interesse dell'amministratore può facilmente esprimersi, in contrasto con l'interesse della società, mediante forme di appropriazione di corporate opportunitiesnel momento dell'affidamento dell'incarico professionale, sia da parte di amministratori professionisti, sia da parte di amministratori non professionisti che, in assenza di una designazione da parte del cliente, attribuiscano l'incarico di eseguire la prestazione professionale ad un socio professionista[71]. Proseguendo con l'analisi, l'amministrazione della s.t.p. può essere articolata secondo uno dei sistemi alternativi previsti per le s.p.a.; in tali sistemi, la messa a punto di una gestione mista - comprendente anche i non professionisti - potrebbe apparireprima faciesemplice ed anzi le caratteristiche del sistema dualistico e monistico sembrerebbero particolarmente adatte a contemperare i diversi interessi dei soci professionisti e dei non professionisti; ciononostante, il legislatore non è intervenuto per rimuovere gli ostacoli che concretamente impediscono alla s.t.p. di avvalersi dei sistemi alternativi. In particolare, il sistema di amministrazione dualistico consentirebbe di rafforzare la presenza, negli organi della società, dei soci professionisti, mediante l'attribuzione agli stessi della carica di consiglieri di sorveglianza: un consiglio di sorveglianza di marcata impronta "professionale", in quanto costituito per intero da soci professionisti, potrebbe esprimere un consiglio di gestione composto da soggetti non dotati dell'abilitazione professionale, ma portatori di caratteristiche utili [...]
Il tema della governance della s.t.p. non è stato affrontato dal legislatore, il quale si è unicamente preoccupato, per il tramite della regola che assicura la prevalenza del ceto professionale nelle decisioni e deliberazioni dei soci, di assicurare che gli amministratori siano espressione del ceto professionale, quando questo risulti compatto e, per conseguenza, si avvalga della maggioranza dei due terzi posta a sua disposizione in virtù della norma contenuta nell'art. 10, quarto comma, lett. b). Il disinteresse, così manifestato, per gli aspetti descritti nel corso di queste pagine risulta vieppiù sorprendente se si tengono in considerazione le origini culturali e gli scopi della riforma in tema di s.t.p., ovvero l'intenzione, sull'onda delle liberalizzazioni, di consentire anche alle società l'accesso al mercato delle professioni protette: il vero elemento di novità, rispetto al tradizionale modo di intendere l'attività professionale, non è rappresentato staticamente dalla sola possibilità per i non professionisti di essere soci di una società iscritta ad un albo professionale; la novità, invero, si esprime in termini dinamici, ovvero nel fatto che, nell'amministrazione di tale "società professionista"[77], entrino in gioco interessi, prassi e modalità di esecuzione provenienti dal mondo non professionale; l'apertura ai soci non professionisti si pone, in questa prospettiva, solo quale antecedente logico rispetto all'ingresso di amministratori non professionisti[78]. Il silenzio del legislatore su aspetti così determinanti per l'operatività delle s.t.p. si riverbererà inesorabilmente sui costi di transazione e, probabilmente, deprimerà la diffusione del nuovo modello, riservandolo alle sole iniziative in grado di far fronte a rischi e spese.