L'articolo analizza in dettaglio la disciplina della revoca dello stato di liquidazione di cui all'art. 2487-terc.c. Sebbene l'introduzione di tale norma nel 2003 abbia avuto il merito di sancire in modo chiaro e definitivo la revocabilità dello stato di liquidazione delle società di capitali, molti altri aspetti restano ancora in ombra. Fra questi ultimi, assumono particolare rilievo: (i) la possibilità di revocare lo stato di liquidazione nelle società di persone; (ii) l'ambito di applicazione temporale della disciplina in esame; (iii) le interconnessioni tra il recesso dei soci dissenzienti e lo scioglimento della società; (iv) le modalità di preventiva eliminazione di talune cause di scioglimento; e (v) gli interessi sottesi alla facoltà di opposizione dei creditori. Sotto tale ultimo profilo, peraltro, l'autore ritiene preferibile adottare, in una prospettiva sistematica, un'interpretazione restrittiva circa l'individuazione dei creditori legittimati.
This article provides a detailed analysis of the Italian regulation concerning the revocation of corporate liquidation pursuant to Article 2487-ter of the Italian Civil Code. Although this Article - enacted in 2003 - stated in an incontrovertible manner the revocability of voluntary liquidation of limited companies, many other related aspects still remain unclear. In particular, the following are examples: (1) the possibility of extending the same legal principle to partnerships; (2) the temporal scope of the application of this regulation; (3) the relationships between the right to withdraw exercisable by dissenting shareholders and the company liquidation; (4) the procedures for the preventive elimination of factors determining the closure of the relevant company; and, (5) the interests underlying the right of opposition for creditors. In this last regard, the author considers a restrictive interpretation about the identification of entitled creditors to be more coherent under a systematic point of view.
CONTENUTI CORRELATI: società - revoca - liquidazione - opposizione - creditori - company - revocation - liquidation - opposition - creditors
1. Introduzione: una panoramica dei nodi interpretativi d’incerta soluzione e qualche considerazione sulla revocabilità dello stato di liquidazione nelle società di persone. - 2. La competenza assembleare in merito alla revoca dello stato di liquidazione: aspetti procedimentali e tutela della minoranza. - 2. 1. Il diritto di recesso in favore dei soci dissenzienti. - 3. Le perduranti incertezze in relazione all’ambito temporale di applicazione dell’art. 2487-ter c.c. - 4. La previa (o contestuale) eliminazione delle cause di scioglimento. - 5. La tutela dei creditori sociali attraverso l’opposizione alla revoca dello stato di liquidazione: un tentativo d’interpretazione sistematica. - NOTE
Sin dalla sua introduzione a seguito della riforma del 2003, l'art. 2487-ter c.c. è stato salutato dagli interpreti come una delle più rilevanti innovazioni legislative relative al procedimento di scioglimento e liquidazione delle società di capitali. Sotto tale profilo, in particolare, si è unanimemente sottolineato come la summenzionata norma abbia avuto il merito di porre fine al risalente dibattito circa la revocabilità dello stato di liquidazione ed alla connessa questione inerente il relativo procedimento[1]. Si tratta di tematiche ampiamente note, che pertanto vale la pena ricordare solo a grandi linee: all'interrogativo circa la facoltà per i soci di «riattivare» una società che avesse già iniziato la procedura di liquidazione, previa o contestuale eliminazione della causa di scioglimento, era stata data prevalentemente risposta positiva in dottrina e giurisprudenza, essenzialmente sul duplice presupposto della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e del principio di autonomia contrattuale privata (art. 1322 c.c.)[2]. Sebbene, dunque, su tale essenziale aspetto si fosse sostanzialmente raggiunta un'unanimità di consensi, differenti orientamenti si fronteggiavano in merito alla possibilità che tale revoca fosse assunta con metodo assembleare e principio maggioritario o viceversa a seguito di un consenso unanime dei soci, eventualmente da assumere anche tramite modalità extra-assembleari[3]; pur nel vigore di una disciplina che manteneva intatte, per quanto nei limiti della compatibilità, le prerogative assembleari durante la fase di liquidazione (v. art. 2451 c.c. vecchio testo), tendeva a prevalere, soprattutto a livello giurisprudenziale, la conclusione secondo cui sarebbe stata necessaria l'applicazione del principio unanimistico, in ragione di un presunto intangibile interesse di ogni singolo socio alla percezione della propria quota di liquidazione, una volta apertosi il relativo procedimento[4]. L'art. 2487-ter, invece, risolve nettamente la questione affermando non soltanto - secondo quanto già sostanzialmente pacifico - la revocabilità dello stato di liquidazione, ma altresì l'assunzione di tale decisione in sede assembleare, seppure con le maggioranze richieste per le deliberazioni di modifica statutaria ad opera dell'assemblea straordinaria e con il temperamento derivante dalla previsione di un [...]
L'introduzione dell'art. 2487-ter, secondo quanto già accennato, non soltanto ha contribuito ad affermare in linea generale la revocabilità dello stato di liquidazione nelle società di capitali, ma ha altresì definito il relativoiterprocedimentale, pur con talune residue incertezze. Più nel dettaglio, la norma è esplicita nell'attribuire la decisione circa la revoca della liquidazione all'organo assembleare con le maggioranze previste per le modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto e ferma l'applicazione dell'art. 2436 c.c. (art. 2487-ter, primo comma). Con riferimento alla s.p.a., tali affermazioni portano gli interpreti a concludere nel senso che la relativa competenza sia di spettanza dell'assemblea in sede straordinaria[24]: si tratta, del resto, dell'organo tipicamente competente a deliberare le modifiche statutarie, così come le principali decisioni attinenti alla fase di liquidazione della società (i.e. nomina, sostituzione e poteri dei liquidatori, alle quali - in ragione di un'interpretazione sistematica - si ritiene di dover aggiungere i criteri di svolgimento della liquidazione ex art. 2487 c.c.)[25]. Peraltro, a differenza dell'ipotesi inerente l'assunzione dei provvedimenti iniziali della liquidazione ai sensi del già citato art. 2487 - per la quale permangono ancora incertezze interpretative circa la presenza ed il ruolo da attribuire al notaio [26]-, in tal caso l'applicazione del procedimento di cui all'art. 2436 è esplicita: nessun dubbio, dunque, sussiste in merito alla necessaria assistenza notarile ai fini della verbalizzazione e del relativo controllo[27]; anzi, è opportuno sottolineare come un simile scrutinio debba estendersi alla sussistenza della previa o contestuale eliminazione delle cause dissolutive dell'ente, quale presupposto legale della revoca dello stato di liquidazione, quantomeno ogniqualvolta la sua assenza risulti palesemente dai fatti e/o dagli atti che il notaio è chiamato a verbalizzare[28]. Maggiori perplessità sussistono circa l'inderogabilità della competenza e del metodo assembleare in merito alla revoca dello stato di liquidazione nelle s.r.l., a fronte della possibilità esplicitamente riconosciuta per tale tipo societario di una clausola dell'atto costitutivo che preveda modalità alternative di manifestazione del consenso da parte dei soci (i.e. la consultazione scritta o il consenso [...]
È stato da più parti fatto notare come l'esplicita previsione della possibilità di revocare la liquidazione con una delibera assembleare assunta a maggioranza - seppure rafforzata per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio[50] - abbia posto fine alla dibattuta questione circa la configurabilità di un intangibile diritto soggettivo alla percezione della propria quota spettante al singolo socio a seguito dell'apertura della liquidazione (e/o del verificarsi di una causa di scioglimento, qualora si ritenga che i due momenti non sia coincidenti)[51]. Ciò nondimeno il legislatore ha ritenuto opportuno, ai fini del mantenimento di un equilibrio nella dialettica tra maggioranza e minoranza, prevedere un inderogabile diritto di recesso in favore dei soci dissenzienti rispetto alla relativa decisione assembleare, presumibilmente nell'ottica dell'esigenza di un valido contrappeso al principio maggioritario a fronte di decisioni idonee a determinare significative modifiche all'organizzazione sociale ed alle caratteristiche dell'investimento dei singoli soci[52]. Piuttosto, quel che da più parti è stato evidenziato è che l'attribuzione del diritto di recesso in favore di coloro che non hanno concorso all'adozione della delibera di revoca potrebbe comunque determinare, all'esito del procedimento di liquidazione delle quote dei recedenti, lo scioglimento della società, così trasformando nei fatti l'exitconseguente al dissenso in un vero e proprio veto rispetto alla ripresa dell'attività di impresa: ciò, più nel dettaglio, potrebbe verificarsi a seguito di una decisione assembleare alternativa alla riduzione del capitale sociale oppure per effetto dell'accoglimento dell'opposizione dei creditori sociali alla suddetta riduzione (artt. 2437, sesto e settimo comma, e 2473, quarto comma, c.c.)[53]; così come, in linea teorica, seppur poco plausibile nel caso in esame, potrebbe accadere che sia la stessa società a deliberare lo scioglimento per determinare l'inefficacia del recesso, purché tale decisione - quantomeno per le società per azioni - venga assunta nel termine massimo di 90 gg. (artt. 2437-bis, terzo comma e 2473, quinto comma, c.c.)[54]. In tale ultima ipotesi, peraltro, è pacifico che il recesso del socio dissenziente verrebbe privato di efficacia, con la conseguenza di rendere la posizione di [...]
Nel definire il testo dell'art. 2487-teril legislatore ha perso l'occasione di conferire maggiore certezza interpretativa all'arco temporale di applicazione della relativa disciplina, ed in particolar modo delle tutele dalla medesima previste a favore dei soci dissenzienti e dei creditori sociali. L'espressione «stato di liquidazione» - nelle intenzioni legislative atta a circoscrivere l'ambito applicativo della norma - non è di per sé chiarificatrice, posto che potrebbe essere oggetto di un'interpretazione restrittiva, tale da farne decorrere l'inizio - in modo forse più aderente al dettato letterale della disposizione, ma probabilmente meno attento agli interessi ad essa sottesi - dall'adozione dei provvedimenti iniziali della liquidazione propriamente detta, ed in particolare dalla nomina (ed iscrizione nel registro delle imprese) dei liquidatori; così come potrebbe esserne accolta una nozione più lata, atta a ritenere che di «stato di liquidazione» possa parlarsi sin dal verificarsi di una causa di scioglimento, da interpretare quale prima fase di una fattispecie a formazione progressiva destinata inevitabilmente (salvo, per l'appunto, un provvedimento di revoca) a determinare la liquidazione della società[63]. È evidente che, aderendo a tale ultima opzione, la disciplina in commento - ivi inclusi gli strumenti di tutela degli interessi delle minoranze e dei creditori - troverebbe applicazione dal prodursi degli effetti dell'evento dissolutivo. In proposito, peraltro, i dubbi applicativi sono viepiù complessi ove si consideri che si contendono il campo differenti orientamenti circa il momento cui riconnettere efficacia all'eventuale causa di scioglimento: benché, infatti, il legislatore della riforma sia stato apparentemente chiaro nell'attribuire effetti costitutivi alla relativa iscrizione nel registro delle imprese, alcuni attenti interpreti hanno ritenuto opportuno distinguere i differenti soggetti cui tali effetti dovrebbero essere rivolti, con la conseguente differenziazione circa i profili interni ed esterni all'organizzazione societaria[64]. La soluzione si presenta tutt'altro che agevole; anticipando la nostra propensione per la seconda opzione interpretativa, si procederà comunque al tentativo di delineare più compiutamente i termini della questione ed i differenti scenari che si prospetterebbero nell'uno e nell'altro [...]
Anche in epoca anteriore all'introduzione della disciplina in commento, dottrina e giurisprudenza favorevoli all'ammissibilità di una decisione sociale di revoca dello stato di liquidazione ne subordinavano la validità ed efficacia alla previa (o contestuale) eliminazione dell'evento dissolutivo che alla medesima aveva dato origine. Ed in tal senso si esprime oggi esplicitamente il già più volte menzionato art. 2487-ter, individuando nell'eliminazione della causa di scioglimento il presupposto giuridico per la revoca della liquidazione. Resta inteso, tuttavia, che non sempre sarà necessaria un'apposita decisione atta a rimuovere l'evento dissolutivo, potendo lo stesso venir meno in conseguenza di altri fatti esterni alla società (es. qualora l'impossibilità di realizzare l'oggetto sociale sia stata determinata da un provvedimento normativo poi abrogato), o essendo tale rimozione automatica conseguenza dell'assunzione della medesima delibera di revoca (es. nel caso in cui lo scioglimento abbia tratto origine dall'impossibilità di funzionamento o dalla continuata inattività dell'assemblea)[79]. Prendendo le mosse dall'elencazione contenuta nell'art. 2484 c.c., si osserva piuttosto agevolmente come, a fronte di cause di scioglimento la cui rimozione desta pochi problemi interpretativi, ve ne siano altre che generano più di una incertezza. Appartengono senz'altro al primo gruppo il verificarsi dello scioglimento per decorso del termine (art. 2484, primo comma, n. 1), nonché quello derivante da una deliberazione assembleare di anticipata cessazione (art. 2484, primo comma, n. 6). Quanto alla prima delle summenzionate ipotesi, infatti, l'assemblea può facilmente intervenire con una modifica dell'atto costitutivo e/o dello statuto che proroghi la durata della società: è preferibile, tuttavia, ritenere che, se tale modifica precede la data originariamente stabilita quale termine di durata finale dell'ente, non si sarà tecnicamente in presenza di un'ipotesi di revoca dello stato di liquidazione, sussistendo tale ultima fattispecie soltanto nel caso in cui la posticipazione del termine originario avvenga successivamente alla sua scadenza[80]. Si fa notare, peraltro, che - a differenza di quanto consentito nelle [...]
Sin dai primi commenti successivi alla riforma del 2003, il fondamento giuridico della tutela apprestata dal legislatore ai creditori sociali in caso di revoca dello stato di liquidazione ha generato un ampio dibattito, sovente in chiave critica, suscitando peraltro differenti orientamenti interpretativi su alcuni aspetti più squisitamente procedimentali relativi alle modalità attraverso le quali proporre l'opposizione e agli strumenti a disposizione della società per impedirla ex ante e/o per ottenere, generalmente in via cautelare, l'autorizzazione a procedere da parte dell'autorità giudiziaria. In sintesi, la disciplina attuale prevede che la delibera di revoca dello stato di liquidazione produca i suoi effetti solo dopo sessanta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese, salvo che i creditori anteriori abbiano acconsentito a tale operazione ovvero siano già stati pagati dalla società[113]. In assenza di tali presupposti ed entro il termine legislativamente previsto, dunque, i suddetti creditori potranno proporre opposizione con la conseguente applicazione dell'art. 2445 c.c., alla stregua del quale il tribunale potrebbe comunque autorizzare la revoca dello stato di liquidazione, nel caso in cui ritenga infondato il pericolo di pregiudizio lamentato dagli attori oppure la società interessata acconsenta a prestare idonea garanzia (art. 2487-ter, co. 2). Come anticipato, tale disposizione è stata oggetto di numerose critiche in relazione alla difficoltà d'individuare un interesse meritevole di tutela in capo ai creditori sociali anteriori alla delibera assembleare di revoca della liquidazione[114]. Si è convincentemente sostenuto, infatti, che - a differenza di quanto accade a seguito dell'apertura delle procedure concorsuali - l'inizio della fase di liquidazione non determina un mutamento delle pretese dei creditori, né nel senso della loro attualizzazione e/o cristalizzazione alla data del verificarsi della causa di scioglimento, né sotto il profilo della necessità del rispetto della par condicio creditorum da parte dei liquidatori. A ciò si aggiunga che non sembra ravvisabile neppure un incremento del loro potere decisionale in relazione ai cd. atti di impulso della liquidazione (i.e. nomina e determinazione dei poteri dei liquidatori e fissazione dei criteri di liquidazione), né tantomeno in relazione alle scelte inerenti la concreta [...]