Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Riflessioni su responsabilità per eterodirezione dell'impresa e procedure concorsuali (di Massimo Miola)


Lo scritto si propone di esaminare criticamente le varie tecniche utilizzabili per aggredire il patrimonio della società  capogruppo, nel caso di sottoposizione delle società  eterodirette a procedure concorsuali e di insufficienza del loro patrimonio attivo, che sia riconducibile agli abusi nell'eterogestione, a soddisfare i rispettivi creditori.

Dopo aver rilevato come sul piano comparatistico sussistono molte resistenze all'adozione di tecniche di consolidazione sostanziale delle masse attive e passive delle società  coinvolte nella crisi, si evidenzia come la soluzione prevalentemente accolta risulta essere quella del ricorso ad istituti facenti leva sulla responsabilità  risarcitoria della capogruppo nei confronti dei creditori per gli abusi di eterogestione.

Questa soluzione, sancita nel nostro ordinamento dagli artt. 2497 ss. c.c., si trova tuttavia affiancata da altre tecniche, da tempo elaborate dalla dottrina o applicate dalla giurisprudenza, fondate sulla sottoposizione a fallimento della stessa società  capogruppo, in via autonoma o in estensione di quello delle società  eterodirette, ai sensi dell'art. 147 l. fall., e che quindi sono configurabili in termini di responsabilità  patrimoniale.

Tali tecniche presentano caratteristiche assolutamente peculiari e pertanto non possono essere utilizzate, come tuttavia talora la giurisprudenza è stata indotta a fare, per ravvisare automaticamente, a seguito del fallimento della società  capogruppo, le condizioni per l'accertamento e la quantificazione del danno da eterodirezione abusiva: con la conseguenza di ammettere al passivo del fallimento della capogruppo l'importo cosi genericamente quantificato a prescindere da ogni accertamento della effettiva ricorrenza di un'eterodirezione abusiva e dell'effettiva incidenza svolta dall'attività  di direzione e coordinamento esercitata dalla capogruppo, e quindi anche senza tenere conto dei possibili vantaggi compensativi.

Sommario/Summary:

1. Delimitazione dell’ambito della trattazione: le tecniche per affrontare la crisi dei gruppi di società nel panorama comparatistico, tra coordinamento delle procedure concorsuali e consolidamento sostanziale. - 2. L’approccio nel nostro ordinamento: il gruppo insolvente nelle procedure concorsuali speciali ed i riflessi in sede fallimentare della responsabilità da direzione e coordinamento. - 3. Responsabilità risarcitoria v. responsabilità patrimoniale per eterogestione abusiva degli «pseudogruppi» alla luce dei consolidati filoni interpretativi: a) il fallimento in estensione ai sensi dell’art. 147 l. fall. - 4. (Segue): Fallimento della «super-società» ed eterodirezione abusiva. - 5. b) Il fallimento «autonomo» della holding individuale o società di fatto. - 6. Le applicazioni «congiunte» di responsabilità risarcitoria e patrimoniale da eterodirezione abusiva. - 7. (Segue): l’incongruenza dell’utilizzazione della responsabilità da direzione e coordinamento per raggiungere risultati analoghi al fallimento in estensione ex art. 147 l. fall. La distinzione tra i due rimedi ed il rischio di svalutare la portata dell’introduzione degli artt. 2497 ss. c.c. - 8. Precisazioni in ordine all’individuazione dell’eterogestione abusiva nella crisi del gruppo. - NOTE


1. Delimitazione dell’ambito della trattazione: le tecniche per affrontare la crisi dei gruppi di società nel panorama comparatistico, tra coordinamento delle procedure concorsuali e consolidamento sostanziale.

Il tema, sin troppo ambizioso, di questo contributo si colloca all'intersezione tra due ampi settori del diritto dell'impresa quali sono, da un lato, la disciplina della direzione e coordinamento di società e, dall'altro, quella delle procedure concorsuali che coinvolgono in senso lato le imprese in forma societaria, e quindi a prescindere dalla ricorrenza di legami di gruppo tra di esse. Ed infatti, la responsabilità da eterodirezione è chiaramente destinata ad operare, nell'intenzione del legislatore, anche e soprattutto a prescindere dall'apertura di una procedura concorsuale che coinvolga una o più delle società del gruppo. Questo in quanto l'obiettivo è di colpire gli abusi di direzione e coordinamento che vengono posti in essere dalla capogruppo nei confronti delle società eterodirettein bonisnel corso del normale svolgimento dell'attività di impresa, al fine di prevenire ed evitare che le manifestazioni patologiche dell'eterodirezione siano addirittura capaci di condurre alla crisi le società che vi siano sottoposte. Così come, al contrario, è indubbio che, quanto meno in linea teorica, il più ampio tema delle modalità con cui vanno affrontate le situazioni di stato di insolvenza, e prima ancora di stato di crisi, in cui in vario modo si trovino coinvolte più società appartenenti ad uno stesso gruppo -  che si presenta da tempo all'attenzione dei giuristi secondo una varietà di prospettive - prescinde dalla ricorrenza in concreto anche degli estremi di una responsabilità da eterogestione.  Non è certo ignoto che, in sede di interpretazione o di prassi operative, si ritenga in tali circostanze quanto meno di operare alcuni adeguamenti o correttivi, a seconda dei casi, alla disciplina di diritto comune, al fine non solo di realizzare il migliore funzionamento delle varie tipologie di procedure, sia più strettamente liquidatorie, sia e soprattutto con funzioni di risanamento, che vengono applicate in tali circostanze, ma anche di governare la fase, per certi versi ancora più delicata, che precede la formale apertura di una procedura.  Tuttavia, l'opportunità e gli stessi contenuti di un intervento normativo in materia, per quanto riguarda i profili ed i termini secondo cui esso dovrebbe differenziarsi rispetto al diritto comune applicabile alle società atomisticamente considerate, [...]


2. L’approccio nel nostro ordinamento: il gruppo insolvente nelle procedure concorsuali speciali ed i riflessi in sede fallimentare della responsabilità da direzione e coordinamento.

Questa impostazione si trova pienamente confermata nel nostro ordinamento, a partire dall'introduzione della disciplina sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (d.l. 95/79: c.d. legge Prodi), a giusta ragione individuata come la prima espressione del riconoscimento da parte del legislatore delle esigenze del «gruppo insolvente»[8], ed il cui tratto caratterizzante consisteva nell'utilizzare la direzione unitaria quale giustificazione teorica dell'obiettivo di realizzare, attraverso l'estensione della procedura alle altre società insolventi del gruppo, la «gestione unitaria dell'insolvenza». In sostanza, si tende a sfruttare i collegamenti di natura economica e produttiva intercorrenti tra le società per effetto della direzione unitaria per procedere ad un risanamento nell'ambito del gruppo, anche se non necessariamente a favore di tutte le società che lo compongono[9], e dunque per realizzare forme di unificazione del gruppo sul piano procedurale. Questa impostazione è stata poi sostanzialmente confermata dalla successiva evoluzione legislativa, a partire come è noto dalla completa risistemazione dell'istituto intervenuta con il d.lgs. n. 270/1999, sino al decreto c.d. Marzano (d.lgs. n. 347/2004), e dalle ulteriori discipline del gruppo insolvente contenute nella legislazione speciale[10]. In quelle procedure trovavano per la prima volta elaborazione nel nostro ordinamento la categoria della direzione unitaria e la previsione di una responsabilità per il suo abuso, pure se limitatamente agli organi gestori della capogruppo e in collegamento all'apertura dell'amministrazione straordinaria, e dunque quale disciplina speciale del gruppo insolvente, che poi troverà generale riconoscimento nella riforma del diritto societario.  Di fronte a questa impostazione, confinata alle imprese di grandi dimensioni ovvero appartenenti a settori speciali, spicca maggiormente l'opposta soluzione adottata dalla legge fallimentare, nella quale anche a seguito della riforma non si è ritenuto di introdurre alcuna specifica disciplina relativa al gruppo insolvente, nel quadro di un'attenzione ridotta riguardo lo stesso fallimento delle società, risultando la disciplina del fallimento ricostruita essenzialmente intorno alla figura dell'imprenditore individuale[11], e nonostante le accentuate esigenze della gestione unitaria e del coinvolgimento delle varie [...]


3. Responsabilità risarcitoria v. responsabilità patrimoniale per eterogestione abusiva degli «pseudogruppi» alla luce dei consolidati filoni interpretativi: a) il fallimento in estensione ai sensi dell’art. 147 l. fall.

Occorre a questo punto tenere conto dei diversi meccanismi da lungo tempo presenti nel nostro ordinamento e rivolti a colpire gli abusi da eterogestione, al punto che la mancata introduzione nella legge fallimentare di una specifica disciplina relativa al gruppo insolvente, piuttosto che il riconoscimento dei risvolti applicativi che la disciplina della direzione e coordinamento presenta anche in sede fallimentare, risulta la conferma di una contrapposizione che si è andata gradualmente sviluppando nel nostro ordinamento tra due modelli attraverso cui affrontare la crisi che coinvolge un gruppo di società: vale a dire, da un lato, la responsabilità risarcitoria da abuso di direzione e coordinamento e, dall'altro, la responsabilità patrimoniale da eterogestione abusiva. Si allude alle ben note ricostruzioni volte a consentire di aggredire, mediante la sottoposizione a fallimento, il patrimonio dei soggetti a cui siano imputabili fenomeni di eterodirezione abusiva dell'altrui impresa, facendo scaturire una responsabilità illimitata a carico di soci c.d. «tiranni» originariamente a responsabilità limitata, sul presupposto dell'abuso dello strumento societario così perpetrato. Non è certo, tuttavia, intenzione di questo scritto ripercorrere, nemmeno in minima parte, la vasta e cangiante serie di tecniche che si sono offerte nel corso di decenni al ruolo creativo della giurisprudenza, unificate dallo specifico obiettivo di colpire, mediante la sottoposizione a fallimento dei soggetti cui sia imputabile l'eterogestione abusiva, fenomeni di artificioso frazionamento dell'attività di impresa riconducibile ad una stessa o alle stesse persone fisiche, e dunque dietro cui si cela un'unica impresa ed un unico imprenditore, tali da realizzare situazioni di vero e proprio abuso della persona giuridica [31] e di confusione dei relativi patrimoni: dunque, in una parola, qualificabili in termini di «pseudogruppi», che appaiono avulsi dall'elaborazione di un'organizzazione di gruppo funzionale alla ripartizione del rischio di impresa tra le varie entità, e piuttosto tali da integrare essenzialmente fenomeni di interposizione reale nell'esercizio dell'impresa [32]. Le finalità perseguite sono ben più limitate e specifiche, pure se presentano ugualmente una valenza sistematica ed applicativa di un qualche rilievo, alla luce dell'evoluzione normativa. Si tratta di [...]


4. (Segue): Fallimento della «super-società» ed eterodirezione abusiva.

L'espresso riconoscimento, effettuato dalla riforma del diritto societario nell'art. 2361 c.c., dell'ammissibilità dell'assunzione di partecipazioni di società per azioni - e probabilmente anche di s.r.l. - (anche) in società di persone ha da un lato eliminato gli ostacoli che in via di principio si frapponevano alla configurazione di una società di capitali socia di una società di persone. Dall'altro, la disciplina in questione risulta circondare tale partecipazione di una serie di requisiti formali, che sembrerebbero limitarne l'utilizzabilità ai gruppi strutturati, e non certo alla diversa situazione che vede la ricostruzione in via successiva da parte dei giudici fallimentari di una società di fatto partecipata anche (o solo) da società di capitali. Sono stati numerosi i tentativi della giurisprudenza di superare gli ostacoli rappresentati dal trattarsi in questi casi a tutti gli effetti di una società di fatto, e come tale non iscritta nel registro delle imprese: ne discendono i limiti all'applicabilità dell'art. 2361, comma 2, c. c, alla partecipazione in società di fatto, anche in caso di mancanza dei requisiti formali e quindi di una delibera assembleare di autorizzazione all'assunzione della partecipazione e, ma in termini meno convincenti, in mancanza dell'informazione sulla partecipazione in questione da fornire nella nota integrativa al bilancio, richiesta dall'art. 111-duodecies disp. att. [38]. E così, si è sostenuto che l'assenza di una formale delibera assembleare che autorizzi l'assunzione della partecipazione costituisce fonte di responsabilità degli amministratori, ma non essendo previsto espressamente la nullità della stessa e comunque dovendo da essa scaturire effetti solo ex nunc, non si impedisce che la partecipazione sociale sia comunque produttiva di effetti; il tutto secondo un principio di effettività, che conduce ad attribuire rilevanza all'attività di impresa effettivamente svolta e quindi al suo fallimento (anche) in estensione, in parallelo a quanto sostenuto in tema di impresa illecita, pure se con il rischio di sconfinare nella non coincidente figura della società apparente: in altri termini, sarebbe rinvenibile una partecipazione assunta non mediante una delibera espressa, ma per fatti concludenti, che in sostanza sarebbe l'unica ammissibile, ad onta dell'art. 2361, comma 2, c.c., quando si [...]


5. b) Il fallimento «autonomo» della holding individuale o società di fatto.

D'altro canto, e proprio in considerazione dei limiti posti nel nostro ordinamento al fallimento in estensione, gli spazi per configurare una responsabilità da eterogestione di tipo patrimoniale continuano a presentarsi attraverso la soggezione a fallimento in via principale del dominus a cui gli abusi di eterogestione siano imputabili. E' il caso della sottoposizione a fallimento del dominuspersona fisica [55], in quantoholding individuale, utilizzata per colpire condotte simmetriche a quelle consistenti nell'abuso nell'attività di direzione e coordinamento, alle quali si riferisce la responsabilità di cui all'art. 2497 c.c. L'esigenza di ricorrere alla dichiarazione di fallimento dellaholdingindividuale in quanto esercente un'autonoma impresa commerciale, a seconda dei casi di sola direzione e coordinamento (holdingpura) o anche di natura industriale o finanziaria (holdingoperativa), deriva dalla formale limitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 2497 c.c. alle sole società o enti, limitazione che, come è noto, ha suscitato notevoli riserve, anche in relazione al percorso che ha condotto all'introduzione della controversa sottrazione della persona fisica dalla responsabilità da direzione e coordinamento. In sostanza, a prescindere dalla ricerca delle cause e dallaratiodi questa esclusione, può ritenersi che il legislatore abbia fatto di tutto per non affrontare e risolvere, attraverso la disciplina della direzione e coordinamento, il problema del «socio tiranno» persona fisica. Non sorprende, pertanto, che si sia cercato in vario modo di sottoporre comunque ad una responsabilità di tipo risarcitorio la persona fisica in conseguenza dell'esercizio professionale e con stabile organizzazione dell'attività di direzione e coordinamento delle società partecipate, magari sul presupposto che sia comunque configurabile una holding, e quindi senza che possa giungersi a configurare tout courtuna responsabilità del socio di controllo [56]. In particolare, si è fatto leva sulla responsabilità «aggiuntiva» di cui all'art. 2497, comma 2, c.c., per chiamare a rispondere in via solidale «chi», e quindi anche le persone fisiche, abbia concorso nel fatto lesivo scaturente dall'attività di direzione e coordinamento, o ne abbia consapevolmente tratto beneficio, nei limiti del vantaggio ricevuto dai poteri esercitati [57]: questo, [...]


6. Le applicazioni «congiunte» di responsabilità risarcitoria e patrimoniale da eterodirezione abusiva.

Rompendo questo consolidato schema, di natura teorica prima ancora che interpretativa, alcune soluzioni giurisprudenziali diverse e più incisive, emerse sulla scia delle suggestioni avanzate da una recente dottrina [62], hanno fatto leva proprio sull'introduzione della responsabilità da direzione e coordinamento di cui all'art. 2497 c.c., utilizzandone gli elementi costitutivi al fine di facilitare, come conseguenza ulteriore dell'eterogestione abusiva, lo scaturire di una responsabilità patrimoniale per effetto dell'accertamento di unaholding individuale o società di fatto e del suo conseguente fallimento. In sostanza, si mira a ricostruire sotto varie intensità e modalità una sorta di collegamento tra i requisiti richiesti per l'individuazione di un'attività di direzione e coordinamento, ai sensi dell'art. 2497 c.c., e quelli richiesti per l'individuazione dellaholdingindividuale o società di fatto, al punto che la responsabilità da direzione e coordinamento giunga a costituire ilpriusda cui ricavare la presenza anche dei secondi e farne pertanto scaturire, attraverso la dichiarazione di fallimento, la soggezione a responsabilità patrimoniale. A tale fine, si parte dall'affermazione secondo cui l'eterodirezione abusiva - o, come anche è stata definita, in linea con l'impostazione accolta, la «direzione tirannica» - si caratterizza, in contrapposizione alle teorie del fallimento in estensione fondate sull'art. 147 l. fall., per tracciare una linea netta di demarcazione fondata sulla responsabilità risarcitoria, ai sensi dell'art. 2497 c.c. [63]. Tuttavia, non ci si accontenta di ciò, in quanto non risulta precluso anche lo scaturire di una responsabilità patrimoniale in caso di insolvenza della holding [64], il cui accertamento, di regola discendente dall'attività imprenditoriale da essa svolta con il conseguente fallimento, è in qualche modo semplificato o, più correttamente, sostituito e assorbito, da quello a sua volta condotto rispetto al fallimento della società eterodiretta. Questo avviene allorché l'insieme dei debiti ammessi al passivo della società eterodiretta venga tout court imputato alla società che si asserisce avere esercitato l'eterodirezione abusiva, in quanto ritenuto automaticamente e per l'intero conseguenza della stessa e quindi tale da dare luogo ad un obbligo di [...]


7. (Segue): l’incongruenza dell’utilizzazione della responsabilità da direzione e coordinamento per raggiungere risultati analoghi al fallimento in estensione ex art. 147 l. fall. La distinzione tra i due rimedi ed il rischio di svalutare la portata dell’introduzione degli artt. 2497 ss. c.c.

Questa soluzione, fondata su di una discutibile equiparazione sul piano sostanziale tra responsabilità risarcitoria e responsabilità patrimoniale, che non è prevista dalla legge [77], è ancora meno convincente, laddove si passi a considerare le modalità attraverso cui la giurisprudenza procede in concreto ad operare il collegamento tra le due figure, al fine di pervenire alla dichiarazione di fallimento.  In effetti, la responsabilità da direzione e coordinamento implica che il soggetto che eterogestisce sia chiamato a rispondere, nei confronti dei creditori delle società eterogestite, del pregiudizio patrimoniale arrecato alla società loro debitrice per la violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale che ne abbia reso il patrimonio insufficiente al soddisfacimento delle proprie ragioni: ciò a prescindere da qualsiasi rapporto negoziale intrattenuto in nome proprio con costoro, e quindi anche a prescindere dalla spendita del nome, trattandosi di obbligazioni di natura risarcitoria e quindi non volontarie, oggetto come tali di accertamento e liquidazione giudiziaria [78].  E', dunque, assolutamente corretto asserire che, in sostanza, una parte, anche se non necessariamente l'intero ammontare, del passivo fallimentare della società eterodiretta sia rappresentato da debiti e perdite provocate (anche) dall'abuso di direzione e coordinamento: e pertanto, che i creditori di tale società, qualora il danno conseguente all'eterogestione abusiva sia stato giudizialmente accertato, siano legittimati ad inserire il relativo credito anche al passivo della società che dirige e coordina, ovvero, ove tale azione non sia stata già promossa dai creditori, il curatore sia legittimato a promuovere l'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2497, ult. comma, c.c.[79]. Azione che, peraltro, risulterebbe possibile in quanto l'intervenuto fallimento della società eterodiretta renderebbe automaticamente rispettato il requisito della «sussidiarietà» della responsabilità da direzione e coordinamento della capogruppo, rispetto a quella posta a carico della prima dall'art. 2497, comma 3, c.c., dovendosi considerare dimostrata la sua incapacità ad adempiere [80].  Ma rispetto a questo assunto, è ben altro sostenere che, in conseguenza dell'astratta previsione dell'azione di responsabilità di cui [...]


8. Precisazioni in ordine all’individuazione dell’eterogestione abusiva nella crisi del gruppo.

Le tendenze rinvenibili nella prassi, sin qui ricostruite, sono indicative delle difficoltà ad abbandonare, nonostante l'introduzione della disciplina della attività di direzione e coordinamento di società, soluzioni del tutto peculiari destinate ad affrontare i fenomeni di eterogestione abusiva in situazioni di crisi concernenti gli «pseudogruppi». In effetti, il percorso argomentativo che accoglie in via di principio, e quindi anche per questi ultimi, l'istituto della responsabilità risarcitoria introdotto dall'art. 2497 c.c., depone in favore di una complessiva tendenza al superamento, per effetto della riforma, delle tecniche fondate sulla responsabilità di tipo patrimoniale: tuttavia, ciò avviene solo in prima battuta, in quanto l'accertamento della responsabilità risarcitoria appare strumentale al risultato finale dell'«estensione»» del fallimento della società che eterogestisce, combinazione questa che, nel suo insieme, è paragonabile ad un sostanziale superamento della personalità giuridica. E' spontaneo porsi il dubbio se questa combinazione rappresenti uno sviluppo razionale delle tecniche di repressione degli abusi da eterogestione, o non costituisca piuttosto un'impropria eterogenesi delle finalità originarie del legislatore. Nel quadro di questa più ampia cornice si pone poi la questione se la distinzione tra gruppi veri e gruppi finti, con tutte le sue problematicità, ma anche con il bagaglio di situazioni e di schemi organizzativi che la prassi ha contribuito ad elaborare nel corso di decenni e con la sua incidenza anche nell'individuazione della tipologia di soluzione da adottare in concreto, sia destinata a rimanere inalterata a seguito della riforma, o piuttosto uno degli scopi della stessa, a questo punto rimasti irrealizzati, fosse proprio di pervenire ad una complessiva unificazione, attraverso la categoria della direzione e coordinamento di società, delle tecniche utilizzabili a tale fine. E' difficile rispondere approfonditamente a queste complesse e stratificate tematiche. Si può solo, in sintesi, tentare di svolgere alcune riflessioni di principio sul ruolo, tutto da approfondire, della direzione e coordinamento nella crisi dei gruppi e della sua capacità di fare sorgere una responsabilità risarcitoria da eterogestione, specie ove questa venga intesa nella pienezza dei suoi [...]


NOTE