Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo pdf fascicolo


Proxy Advisors, esercizio del voto e doveri (di Marco Maugeri)


Lo scritto esamina taluni profili giuridici concernenti il servizio di proxy advisory in favore degli investitori istituzionali. La figura dei proxy advisors ("PA") è espressamente presa in considerazione dalla Proposta della Commissione Europea di modifica della direttiva sui diritti degli azionisti (nel testo che tiene conto sia degli emendamenti proposti dal Consiglio Europeo, sia della posizione espressa dal Parlamento Europeo nel luglio 2015). Tale Proposta muove dall'assunto che la consulenza nel voto sia istituto appartenente all'area tematica del diritto societario e che la sua funzione consista nel ridurre i costi di agenzia indotti dal disallineamento tra interesse dei soci e interesse degli amministratori.

Nel sottoporre a revisione critica questo approccio, e in particolare i tentativi di ravvisare nell'attività  dei PA un fenomeno di separazione tra interesse e voto (c.d. "empty voting") o di influenza sugli esiti assembleari potenzialmente fonte di una responsabilità  "deliberativa" verso l'emittente, ilpaperavanza la tesi che l'interesse da proteggere sia piuttosto quello dei clienti finali dell'investitore istituzionale che ricorre ai servizi dei PA e propone, in questa prospettiva, di applicare al rapporto tra PA e investitore istituzionale il diritto della gestione collettiva del risparmio e, segnatamente, le norme in materia di esternalizzazione di funzioni aziendali essenziali o importanti.  

The paper analyses the legal aspects of the proxy advisory service for  institutional investors. The figure of proxy advisors ("PA") is expressly considered by the European Commission's proposal to amend the Shareholder Rights Directive (the "Draft Directive", in the version including both the amendments proposed by the European Council and the position of the European Parliament as of July 2015). The Draft Directive assumes that the advice on the vote is an institution belonging to the thematic area of  corporate law, aiming at lowering  agency costs caused by the misalignment between the shareholders' and the directors' interests.

The paper disputes  the approach of the Draft Directive, and particularly the attempt to view  the PA's activity as either a case of separation between economic interest and voting right (so-called "empty voting") or a case of influence on the shareholders' meetings outcomes which could cause a PA "deliberative" responsibility toward the issuer.  It is argued  that the interest to be protected would instead be that   of the final clients of the institutional investor being advised by the PA. On this basis the paper suggests that the relationship between the PA and the institutional investor should be governed by  European and domestic laws and regulations on collective asset management and, especially, by the provisions relating to the outsourcing of essential or important business operations, services or activities.

KEYWORDS: asset management company – proxy advisors – exercise of voting rights – fiduciary duties of asset managers

Sommario/Summary:

1. Il problema. - 2. I proxy advisors come tecnica di riduzione dei costi transattivi del gestore. - 3. Proxy advisors e diritto societario. - 4. Proxy advisors e diritto del mercato finanziario: l’azione di concerto. - 5. (Segue): il parallelismo con le agenzie di rating. - 6. Proxy advisors e diritto della gestione collettiva del risparmio: il voto come dovere «organizzativo» della Sgr. - 7. (Segue): una proposta di disciplina. - NOTE


1. Il problema.

Il fenomeno della partecipazione della Sgr alle assemblee delle società emittenti i titoli nei quali è investito il patrimonio del fondo esibisce una precisa tensione sistematica: quella originata dalla circostanza secondo cui un atto fondamentalmente libero (nell'an) e discrezionale (nel quomodo) come l'esercizio del diritto di voto [1] diviene il contenuto di un obbligo di comportamento tipicamente rivolto al perseguimento di un interesse altrui [2]. Una consimile tensione pare rintracciabile anche nell'impostazione della recente Proposta di modifica della direttiva sui diritti degli azionisti la quale, muovendosi nel solco del Piano di azione sul diritto europeo delle società del 2012 [3], si prefigge l'obiettivo di «aumentare il livello e la qualità dell'impegno dei proprietari e dei gestori degli attivi nei confronti delle società partecipate», nel presupposto che un siffatto impegno costituisca «un elemento rilevante del modello di governo delle società quotate, basato su un sistema di pesi e contrappesi tra i diversi organi e i diversi portatori di interesse» [4]. Alla figura tecnica dell'obbligo di voto del gestore [5] viene assegnata, così, una duplice funzione: da un lato, quella di contribuire al monitoraggio sull'andamento della società emittente e di minimizzare i costi di agenzia nascenti dal rischio di un disallineamento tra interessi degli amministratori e interessi dei soci; dall'altro, quella di contribuire ad orientare la strategia di investimento del gestore alle aspettative di rendimento dei partecipanti ai fondi e di minimizzare i costi di agenzia nascenti dal rischio che la Sgr si serva delle prerogative di azionista per perseguire interessi propri o di società del gruppo di appartenenza [6], ad es. ove si tratti di consolidare eventuali relazioni d'affari con la società emittente.   Altrettanto note sono, però, le difficoltà alle quali si espone il tentativo di dare concretezza operativa ad un siffatto obbligo. Tali difficoltà risiedono, in primo luogo, negli elevati oneri economici connessi alla acquisizione ed alla elaborazione delle informazioni necessarie ad un consapevole esercizio dei diritti amministrativi inerenti alle azioni detenute, con i conseguenti problemi di azione collettiva e di free riding che insorgono ogni qualvolta i benefici derivanti dalla fruizione di una risorsa non sono ripartiti [...]


2. I proxy advisors come tecnica di riduzione dei costi transattivi del gestore.

E' nel contesto appena evidenziato che si inserisce l'emersione dei c.d. "consulenti in materia di voto" (proxy advisors, di seguito anche "PA"), i quali possono intendersi come una delle istituzioni elaborate spontaneamente dal mercato per risolvere i problemi di azione collettiva e di asimmetria informativa che strutturalmente gravano sulle scelte degli investitori [15]. E in vero tali consulenti, fornendo un servizio professionale consistente nell'esaminare le proposte di voto indicate all'ordine del giorno delle assemblee di società aventi sede nei più diversi ordinamenti e nel valutarne la rispondenza alle migliori pratiche di governo societario, consentono agli investitori istituzionali che si avvalgano di quel servizio di risparmiare in misura significativa sui costi, altrimenti proibitivi, di raccolta e analisi delle informazioni necessarie ad un consapevole esercizio del voto e di creare, anzi, la possibilità di un efficace coordinamento assembleare con altri investitori, ove si tratti di osteggiare l'assunzione di deliberazioni potenzialmente pregiudizievoli per il valore della partecipazione: un vantaggio, quello offerto dai PA, tanto più prezioso se si pone mente al fatto che il deciso incremento delle masse gestite può rendere assai impervia alla singola Sgr sia la strada della sistematica partecipazione a quelle assemblee (spesso concentrate in un solo periodo dell'anno, specialmente quando si tratti di rinnovo dell'organo amministrativo), sia la strada del disinvestimento, se non a prezzi e termini penalizzanti per il fondo [16]. Vi è anzi da considerare come il ruolo dei PA quali intermediari dell'informazione societaria sia, in realtà, duplice. Essi, infatti, non solo permettono, come si è appena visto, di risparmiare sui costi transattivi indotti dalla esigenza di valutare qualità e contenuti delle proposte deliberative formulate dagli amministratori, così canalizzando un flusso informativo verso gli investitori istituzionali, ma fungono nel contempo da meccanismo di aggregazione delle preferenze di questi ultimi in ordine ai temi del governo societario e delle politiche di remunerazione, così canalizzando un flusso informativo verso gli emittentie orientandone le determinazioni finali su quei temi [17].


3. Proxy advisors e diritto societario.

A questa funzione di contenimento dei costi transattivi corrisponde, tuttavia, anche l'eventualità che i proxy advisors rendano più acuti i costi di agenzia immanenti sia al rapporto sociale [18], in ragione della separazione tra potere di gestione (spettante agli amministratori) e rischio di perdita dell'investimento (gravante sui soci), sia al rapporto di partecipazione al fondo, in ragione, ancora una volta, della separazione tra potere di gestione (spettante alla Sgr) e rischio di perdita dell'investimento (gravante sui partecipanti al fondo). Da un lato, infatti, è stata da tempo registrata la tendenza degli investitori istituzionali ad adempiere i propri doveri fiduciari in materia di voto mediante una recezione acritica delle raccomandazioni formulate dai PA [19]; dall'altro, si è sottolineato come tali raccomandazioni siano suscettibili di essere viziate da situazioni di conflitto di interessi ogni qualvolta il PA che le ha rilasciate abbia attribuito, dietro compenso, un rating al modello di governo societario dell'emittente cui quelle raccomandazioni di voto si riferiscono o presti addirittura in suo favore servizi di assistenza nella definizione di quel modello [20]. Ne consegue, stando a queste impostazioni, uno scenario nel quale i PA finiscono con l'esercitare indirettamente una influenza significativa sugli esiti stessi del procedimento assembleare, con il rischio che ciò avvenga ora in senso pregiudizialmente favorevole alle proposte articolate dall'organo amministrativo della società emittente, ove questa si avvalga delle prestazioni offerte dai PA, ora in senso pregiudizialmente contrario, in assenza di ogni relazione commerciale con questi ultimi. Si comprende, pertanto, alla luce delle superiori considerazioni la tendenza di taluni Autori ad allocare il nucleo logico dei problemi sollevati dall'utilizzo dei proxy advisorsnel campo del diritto societario e ad evocare ora un fenomeno di scissione tra voto e interesse analogo a quello che si suole comunemente definire di "empty voting" [21], ora a porsi l'interrogativo se sia configurabile una forma di responsabilità "deliberativa" del proxy advisor che abbia emanato raccomandazioni di voto inesatte in quanto prive di uno specifico riscontro nelle caratteristiche operative dell'emittente o nel contesto giuridico di riferimento [22]. In realtà, il fenomeno di dissociazione tra interesse e potere cui darebbe luogo la [...]


4. Proxy advisors e diritto del mercato finanziario: l’azione di concerto.

Volendo spostare il discorso sul terreno della potenziale rilevanza dell'attività dei PA per il diritto del mercato finanziario, ci si potrebbe interrogare sulla eventualità che l'adesione degli investitori istituzionali alle raccomandazioni espresse dallo stesso proxy advisor realizzi gli estremi di una «azione di concerto» ai sensi della disciplina europea e domestica delle offerte pubbliche di acquisto. Come noto, tale eventualità costituisce uno dei principali ostacoli alla instaurazione di forme di coordinamento tra gli azionisti di minoranza titolari di partecipazioni significative [27]: non è un caso, del resto, che negli ordinamenti in cui la nozione normativa di concerto appare affievolita e comunque meno stringenti risultano essere gli obblighi giuridici conseguenti al suo accertamento l'evidenza empirica attesti un dinamismo assai più accentuato dei fondi speculativi attivisti [28]. Qualunque sia la effettiva portata pratica del problema appena menzionato, deve escludersi, per gli scopi di queste brevi riflessioni, che il rapporto di consulenza intercorrente tra il PA e la Sgr sia idoneo a integrare la fattispecie dell'«accordo» prevista dall'art. 101 bis-comma 4, TUF. Gli è infatti che: (i)da un lato, le raccomandazioni di voto rivenienti dall'advisorrimangono confinate al rango di una mera proposta la quale, lasciando del tutto libero il destinatario di aderirvi, impone di escludere la sussistenza dell'elemento costitutivo del concerto, vale a dire l'impegno delle parti a dare attuazione a un programma preventivamente concordato [29], mentre (ii) dall'altro, l'"intesa" tra PA e investitore istituzionale alla base del rapporto di consulenza si presenta tipicamente rivolta all'abbattimento delle asimmetrie informative immanenti all'esercizio dei diritti di voto attribuiti dalle partecipazioni gestite dall'investitore istituzionale per conto altrui: una funzione, dunque, ben lontana da quella finalità di acquisizione, rafforzamento o conservazione del controllo che è alla base della figura di accordo rilevante per la disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio obbligatorie [30].


5. (Segue): il parallelismo con le agenzie di rating.

Sotto altro profilo, vengono spesso sottolineate le similitudini esistenti tra i servizi di proxy advisory e quelli forniti dalle agenzie di rating, non solo sul piano funzionale, trattandosi in entrambi i casi di intermediari dell'informazione, ma anche sul piano strutturale, attesa la natura sostanzialmente oligopolistica dei due mercati [31] e il pericolo che la concentrazione di potere negoziale che ne consegue induca sia una eccessiva standardizzazione delle valutazioni espresse ("one-size-fits-all"), sia una mancanza di trasparenza delle metodologie impiegate per la formulazione di quelle valutazioni. Non sorprende, pertanto, che per il servizio di consulenza nel voto si ipotizzino schemi disciplinari in larga misura modellati sul calco delle proposte di volta in volta delineate per regolamentare l'attività delle agenzie di rating: dalla costituzione di un organo pubblico deputato a fornire ai privati il medesimo servizio di advisory offerto da ISS e Glass Lewis, al fine di incrementare il tasso di concorrenza nel mercato, alla istituzione di una vera e propria Autorità di Vigilanza sull'attività dei PA; dalla adozione di codici di comportamento recanti l'individuazione delle best practices condivise dagli operatori del settore [32], alla imposizione di obblighi di trasparenza sulle procedure e i metodi applicati nella elaborazione delle raccomandazioni di voto e sulle principali fonti informative utilizzate [33], sino ad arrivare alla configurazione di principî di separazione "soggettiva" della divisione preposta alla prestazione dei servizi di consulenza in materia di voto in favore dei clienti istituzionali dalla divisione preposta alla prestazione di servizi di assistenza agli emittenti in materia di valutazione della qualità del sistema di governo societario adottato [34]. E tuttavia neppure l'equivalenza funzionale istituita con le agenzie di rating appare sino in fondo convincente. Non solo, infatti, è diverso l'oggetto della valutazione, trattandosi, in un caso (quello del rating), di valutare il grado di solvibilità futura dell'emittente e quindi la qualità del suo capitale "di debito", nell'altro (quello dei PA) il contenuto di una deliberazione assembleare e quindi la qualità (del governo) del suo capitale "di rischio". Radicalmente diverso è anche il modocon il quale agenzie di ratinge PA intervengono a colmare le asimmetrie informative presenti sul mercato: in [...]


6. Proxy advisors e diritto della gestione collettiva del risparmio: il voto come dovere «organizzativo» della Sgr.

Proprio quest'ultimo rilievo induce a spostare il centro logico della analisi sul significato di quel dovere di voto e a porre, quindi, in relazione con le modalità del suo adempimento il conferimento da parte della Sgr di un incarico di consulenza al proxy advisor. In questa prospettiva, dovrebbe risultare evidente come l'interesse meritevole di essere protetto da una (qualsiasi) disciplina dei PA non possa intestarsi né all'emittente, né all'investitore istituzionale [37], bensì solo ed esclusivamente in capo ai clienti finali di quest'ultimo: ciò che induce a sottolineare come la dimensione operativa del problema sollevato dall'impiego dei PA non sia quella del diritto societario (e neppure quella, generica, del mercato finanziario) bensì quella della disciplina della gestione collettiva del risparmio. Per rendersi conto di tale affermazione pare opportuno prendere le mosse dalla peculiare tecnica di cui si avvale l'ordinamento per conformare l'obbligo di voto del gestore nelle assemblee delle società partecipate dal fondo. A differenza di quanto è a dirsi per altri vincoli di comportamento della Sgr - e, segnatamente, per i limiti alla concentrazione funzionali ad assicurare la diversificazione del rischio - i quali si traducono in precetti caratterizzati da una specifica individuazione della fattispecie (rule), il dovere di voto della Sgr viene delineato dalla legge mediante ricorso a una clausola generale (standard) e allora in termini di inevitabile elasticità della fattispecie [38]. Ma quel che più interessa rilevare è che, in piena coerenza con una simile conformazione tecnica della fattispecie, l'ordinamento delinea l'esercizio del voto da parte della Sgr nelle assemblee delle società partecipate dal fondo alla stregua di un dovere di tipo organizzativo: se si vuole, come una obbligazione di mezzi e non di risultato. Si consideri, in primo luogo, il dato ricavabile dall'art. 35-decies, comma 1, lett. e), TUF a mente del quale le Sgr, le Sicav e le Sicaf che gestiscono i propri patrimoni «provvedono, nell'interesse dei partecipanti, all'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli Oicr gestiti, salvo diversa disposizione di legge» (enfasi aggiunta) [39]. Si consideri, soprattutto, l'indicazione ricavabile dal Regolamento delegato UE n. 231 del 19 dicembre 2012, recante integrazioni alla [...]


7. (Segue): una proposta di disciplina.

Se si condivide quanto precede, e cioè che l'interesse alla cui tutela dovrebbe volgersi una qualsiasi disciplina dell'attività dei PA è in realtà quello dei clienti finali dei gestori che si avvalgono dei loro servizi, possono forse immaginarsi modelli di regolamentazione alternativi rispetto a quelli sinora avanzati e consistenti preminentemente, come si è visto, nell'impiego di regole autodisciplinari o nella imposizione di obblighi di trasparenza [54]. Una prima possibilità consiste nel riportare la prestazione di raccomandazioni in materia di voto entro l'alveo della disciplina europea dei servizi di investimento e, più in particolare, nell'assoggettarla alle regole di comportamento previste dalla direttiva MiFID e dalle misure di secondo livello in ordine alla «consulenza in materia di investimenti» [55]. Come noto, la nozione europea di consulenza ruota intorno al concetto di «raccomandazione» e ne presuppone la rilevanza ai fini della disciplina MiFID quando, per un verso, essa presenti natura "personalizzata", tenga cioè conto delle «caratteristiche del cliente» e, per altro verso, abbia a oggetto «una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario» [56]. Una tale qualificazione richiede, peraltro, un espresso intervento del legislatore, poiché, allo stato attuale, non sembra possibile far ricadere la raccomandazione di voto del proxy advisor entro i confini del servizio di consulenza. Da un lato, infatti, la raccomandazione di voto si presta ad esser considerata "personalizzata" solo in quanto tenga conto delle caratteristiche del singolo emittente cui si riferisce, e non invece di quelle del cliente che l'ha sollecitata (secondo quanto previsto, invece, dalla disciplina in materia di consulenza agli investimenti); dall'altro, essa si incentra sugli esiti di una deliberazione assembleare, cioè su di un valore giuridico, non invece sugli esiti di una operazione di investimento, cioè su un valore economico [57]. Il trattamento giuridico del servizio di proxy advisory in chiave di «servizio di investimento» consentirebbe, comunque, di porre le premesse per imporre al proxy advisor il rispetto di quei requisiti di indipendenzae di adeguatezza nonché di registrazione presso la Consob che gravano oggi su chiunque presti il servizio di consulenza in materia di [...]


NOTE