L'articolo raccoglie alcune prime considerazioni sul possibile inquadramento giuridico del fenomeno economico e sociale, di recente emersione, dellasharing economy, osservato da una prospettiva di diritto dell'impresa ed ordinato attorno alle tematichelato sensuproprietarie.
La configurazione delle piattaforme collaborative impone una ridefinizione dei connotati classici della fattispecie impresa, al fine di accertare se essi si modificano in ragione del coinvolgimento a vario titolo dei prestatori di beni e servizi erogati dalla piattaforma (quando non, addirittura, degli stessi fruitori degli stessi) nella gestione dell'impresa. Nella prima parte del lavoro i temi di rilievo sono ordinati intorno alla nozione, più problematica che dogmatica, dell'impresa collaborativa come fase terminale e per certi versi irreversibile dell'evoluzione dell'impresa capitalistica.
Nella seconda parte il lavoro si sofferma sulle diverse accezioni della «proprietà» nell'impresa collaborativa, ordinate secondo la triplice prospettiva della proprietà dell'impresa, dei mezzi produttivi e dei risultati dell'attività, evidenziando una serie di problemi bisognosi di soluzioni armoniche con il diritto dell'impresa.
La terza parte del lavoro contiene alcuni spunti di riflessione sui «nuovi beni» che caratterizzano le imprese collaborative le quali, grazie all'innovazione tecnologica e digitale, sono ormai una fucina di nuovi beni in precedenza fuori mercato o aventi mercati fortemente delimitati per struttura e ambito territoriale; questi nuovi mercati presentano connotati peculiari rispetto ai mercati tradizionali, con evidenti ricadute sul piano del diritto dei contratti, dei rapporti con i produttori-consumatori, delle regole di concorrenza. Tra questi nuovi beni possono collocarsi anche fiducia e reputazione,big data, valute complementari e beni comuni.
This paper collects some initial considerations on the possible legal framework of sharing economy as a social phenomenon recently emerging, observed from an enterprise law perspective and ordered around ownership issues.
On line platforms impose to redefine the classic features of the enterprise, in order to ascertain if it changes as it involves suppliers of goods and services provided by the platform, as well as users themselves, into the management of a collaborative enterprise. In the first part of the work the relevant themes are organized around the notion, that is more problematic than dogmatic, of the collaborative enterprise as a terminal, someway irreversible phase of the evolution of the capitalist enterprise.
In the second part, the work focuses on the different meanings of «ownership» in the collaborative enterprise, ordered according to the threefold perspective of the ownership of the company, the productive means and the results of the activity, highlighting a series of problems requiring harmonious solutions with enterprise law.
The third part of the work contains some food for thought about new goods in collaborative enterprises which, thanks to technological and digital innovation, are now a forge of new goods previously out of the market or having markets strongly delimited by structure and area; these new markets have peculiar characteristics compared to traditional markets, with evident effects on contract law, producer-consumers dynamics and competition rules. Among these new assets can also be placed trust and reputation, big data, complementary currencies and common goods.
KEYWORDS: sharing economy - collaborative enterprise - on-line platforms
CONTENUTI CORRELATI: sharing economy - impresa collaborativa - piattaforme on-line
1. Introduzione - 2. Dall’economia del possesso all’economia dell’accesso - 3. Dalla sharing economy all’impresa collaborativa - 4. Imprese collaborative e proprietà dei mezzi produttivi - 5. Spunti sui «nuovi beni» delle imprese collaborative - 6. La «proprietà» ed il ruolo della piattaforma - 7. Il prestatore di servizi: dalla dialettica professionista-consumatore al «prosumatore» - 8. I rapporti tra la piattaforma, il prestatore ed il fruitore - 9. Il rapporto piattaforma-prestatore come attività intermediaria, ausiliaria e dell’ausiliario-commesso - 10. Proprietà e responsabilità dell’impresa collaborativa tra collaborazione e cooperazione - NOTE
Questo scritto si propone di osservare come le tematiche lato sensu proprietarie reagiscono a contatto con le imprese della c.d. sharing economy, delle quali in primo luogo si tenterà un inquadramento ed una classificazione. Un paradosso si intravede sullo sfondo: proprio queste nuove imprese, che fanno vessillo del superamento di una concezione proprietaria dei fenomeni economici, pongono i problemi più delicati dal punto di vista della proprietà e dei beni sotto molteplici profili, che possono in via di prima approssimazione ordinarsi lungo almeno tre direttrici. Da un lato, a livello di teoria generale ci si deve porre il problema della «proprietà» dell'impresa e dei fattori produttivi da essa impiegati, che potrebbe portare a ridefinire i connotati della fattispecie. Dall'altro, queste nuove imprese utilizzano e producono «nuovi beni» e creano nuovi mercati, con ricadute nuove sul piano del diritto dei contratti, dei rapporti con i produttori-consumatori, delle regole di concorrenza. Infine - ma il tema può essere in questa sede solo accennato - condivisione e collaborazione si prestano non solo a nuove forme di ricerca del profitto, ma anche al più efficiente ed efficace sfruttamento collettivo dei «beni comuni» come alternativa sia all'impresa tradizionale, sia al welfare statale.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento, il modello studiato da Coase e Chandler dell'impresa di grandi dimensioni, integrata verticalmente, è entrato in crisi; il principale fattore scatenante è stato l'innovazione tecnologica, che ha determinato l'affermazione di nuove modalità di produzione, soprattutto in ragione dell'accresciuta facilità di acquisire e scambiare informazioni e della maggiore possibilità di coordinare le risorse disperse, abbattendo i costi transattivi di queste cruciali attività[1]. Tra l'impresa gerarchica, codificata nel nostro codice all'art. 2086[2], e gli scambi di mercato non organizzati in forma d'impresa si vanno affermando strutture intermedie o ibride come le reti di imprese, la ricerca collaborativa e l'impresa sociale. L'ultimo, forse definitivo, approdo di questa evoluzione è quella che viene comunemente definita sharing economy[3]. Accanto, in concomitanza ed in connessione con l'emersione delle nuove forme di impresa di cui sopra, sempre grazie alle reti tecnologiche, si stanno affermando nuove forme e modalità di consumo, incentrate su attività come l'affitto, il prestito, lo scambio, il baratto o il regalo, oppure condividendo prodotti su scala precedentemente non immaginabile: si parla al riguardo di consumo collaborativo (o partecipativo)[4]. Il fattore aggregante che consente l'incontro dei nuovi modi di produzione con i nuovi modi di consumo è la rete internet, evolutasi nell'ultimo decennio da vetrina statica di contenuti fruiti in modo passivo dagli utenti, nel c.d. web 2.0, ossia in una rete caratterizzata dal coinvolgimento attivo degli utenti, sia come fruitori sia come produttori di contenuti. Ciò ha avviato una nuova era del web basata sulla condivisione[5]. L'evoluzione tecnologica e la rivoluzione digitale hanno altresì determinato un drastico abbattimento dei costi del capitale fisico ed un'accresciuta centralità del capitale umano, della creatività e dell'innovazione, il che porta a selezionare sul mercato le iniziative produttive che meglio riescono a reperire capitale umano minimizzando i costi di transazione, determinando così la preminenza della produzione decentrata e collaborativa rispetto alla produzione tradizionale. Questa trasformazione della produzione e del consumo sta progressivamente sostituendo il possesso di beni per uso personale, il denaro contante e il lavoro dipendente a [...]
L'espressione sharing economy impone alcune premesse lessicali sulle nuove forme di integrazione e collaborazione nella fruizione di beni e servizi mediate da internet e dalle nuove tecnologie. Nel 2015 l'Oxford Dictionary ha definito la sharing economy come «an economic system in which assets or services are shared between private individuals, either free or for a fee, typically by means of internet»[12]. In italiano il termine è tradotto con l'espressione economia collaborativa nella Comunicazione della Commissione europea del 2 giugno 2016 al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata appunto «Un'agenda europea per l'economia collaborativa»[13], ed è definita dalla precedente Comunicazione della Commissione europea del 28 ottobre 2015 «Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e le imprese» come «un complesso ecosistema di servizi a richiesta e di uso temporaneo di attività sulla base di scambi attraverso piattaforme online»[14]. Altri la definiscono come «…un "nuovo" sistema economico con radici antiche, caratterizzato dall'elemento della condivisione, della fiducia e della relazione, che si esprime in un rapporto normalmente tra pari, mediato da una piattaforma digitale. Un sistema che, attraverso una circolazione delle informazioni più efficiente, aumenta sensibilmente la produttività dei beni e servizi a cui si ha accesso e riduce l'impiego delle risorse, tutelando l'ambiente»[15]. Quelle appena passate in rassegna sono solo alcune delle possibili definizioni o, comunque, quelle più accreditate perché di derivazione istituzionale. Ciononostante, prima ancora della definizione, ad apparire controversa è la stessa espressione economia collaborativa utilizzata dalla comunicazione n. 2016/356. Altrove si preferisce adoperare l'espressione economia della condivisione, caricandola di significati ulteriori, più incentrati sulla tutela delle istanze solidaristiche che sul modello imprenditoriale innovativo[16], ovvero ancora di platform economy per enfatizzare il ruolo dell'intermediario digitale e della piattaforma da lui messa a disposizione dei prestatori del bene o del servizio e degli utenti degli stessi, che rappresenta il connotato caratteristico e, forse, essenziale, delle nuove forme di produzione e consumo finora [...]
Una compiuta ricognizione dei tratti salienti delle imprese collaborative non può prescindere dal dibattito sorto in questi ultimi anni intorno a fenomeni globali quali Uber e AirBnb ma neppure può essere schiacciata su di essi. In effetti, questi ultimi hanno un po' monopolizzato, per non dire cannibalizzato, l'analisi ed il dibattito sulla sharing economy, al punto da rischiare di incorrere nell'equivoco della sineddoche. All'opposto, alcuni propongono di escludere Uber e Airbnb dal perimetro della sharing economy in senso stretto, etichettandola come rental economy dato che manca, nella prestazione che si condivide, un interesse personale del prestatore il quale, perciò, andrebbe a soddisfare un interesse non comune al fruitore ma esclusivo di quest'ultimo, collocando così il servizio nell'ambito di un segmento economico puramente commerciale per quanto low cost[20], nel senso che il minor costo che si riesce a spuntare per il servizio deriva dalla messa a disposizione di un bene di cui l'impresa che eroga il servizio non è proprietaria e del quale, pertanto, non paga i costi di acquisto, funzionamento e manutenzione. In questa prospettiva, la rental economy non comporta condivisione ma puro sfruttamento del godimento di un bene in cambio di denaro, il tutto reso possibile dalla mediazione di una piattaforma tecnologica, cosa che costituirebbe l'unico tratto in comune con la sharing economy vera e propria[21]. A ben vedere, l'assunto per cui non si può parlare di sharing economy se c'è passaggio di denaro dagli utenti alla piattaforma ed un intento speculativo del gestore di questa, delimitando il campo alle sole attività svolte a beneficio di gruppi o comunità locali, appare un po' troppo radicale. Anche le opinioni che privilegiano una declinazione più orientata al sociale del fenomeno riconoscono che possono individuarsi diversi «quadranti» entro cui collocare le diverse forme di condivisione. In uno di questi quadranti si colloca appunto il c.d. netarchical capitalism, ovvero l'utilizzo delle piattaforme di condivisione al fine di estrarre profitti, in modo talvolta anche crudo e spietato, come momento iniziale di una transizione verso forme di condivisione più sociali[22]. Ad oggi, tuttavia, si punta il dito sull'evoluzione più radicale del fenomeno, rappresentandolo a volte come la degenerazione plutocratica del capitalismo più bieco: Uber [...]
Quanto ai «nuovi beni» creati o utilizzati dalle imprese collaborative, si può provare, pur con i limiti che queste prime considerazioni impongono, a stilarne un elenco, sintetico piuttosto che analitico e certamente non esaustivo. Il termine «bene» va ovviamente inteso non nell'accezione statica e proprietaria, per non dire ottocentesca e curtense, di «cose che possono formare oggetto di diritti» dettata dall'art. 811 cod. civ. quanto piuttosto in quella, dinamica e funzionale, novecentesca e mercantile, degli assets «organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa» scolpita dall'art. 2555 cod. civ.. Si tratta di beni per lo più immateriali, intangibili, talvolta addirittura intrasferibili e, comunque, sempre connotati da un'intrinseca volatilità. Dal sommario elenco che segue si possono trarre alcune conferme di come le tematiche lato sensu proprietarie consentano di inquadrare meglio le imprese collaborative. a) Valutazione tra pari, fiducia e reputazione Il successo di un'impresa collaborativa riposa in gran parte sulla reputazione generata dalla community degli utenti, prestatori e fruitori[33]. Maggiore è la vastità della community, maggiore è la fiducia degli utenti nei beni e servizi offerti dall'impresa; maggiore sarà, parimenti, l'affidabilità delle valutazioni (feedback) degli utenti, marginalizzando e diluendo le possibilità di manipolazione ed ingenerando un circolo virtuoso che crea la reputazione dell'impresa, ossia il suo capitale relazionale, mediante meccanismi peer to peer[34]. Tutto questo costituisce un forte incentivo per l'impresa collaborativa a far sì che gli scambi intermediati sulla sua piattaforma riscontrino per quanto possibile un elevato tasso di soddisfazione, più ancora delle imprese tradizionali[35]. In più, il modello di business facilita lo shopping comparativo, eliminando buona parte dei costi transattivi[36]. Tutto ciò costituisce un efficiente sistema di regolamentazione ex post in grado di rivaleggiare e, in prospettiva, sostituirsi al sistema, tipico delle imprese tradizionali (guarda caso, proprio dei settori economici del trasporto, del turismo e della ricettività, nei quali le imprese collaborative hanno avuto l'impatto più dirompente) e situato idealmente al polo opposto, basato su licenze, autorizzazioni e standard [...]
Non è pensabile un'impresa collaborativa senza la titolarità e l'uso di una piattaforma elettronica[57], la cui funzione precipua è di mettere in comunicazione i prestatori di beni e servizi con i fruitori, agevolando o rendendo possibili gli scambi di beni sottoutilizzati o prima non esistenti. Bisogna tuttavia distinguere piattaforme collaborative e non collaborative, ossia i modelli imprenditoriali nei quali, seppur basati su una piattaforma ed una community, il servizio è erogato dall'impresa che gestisce la piattaforma piuttosto che da prestatori terzi. Ad esempio, Car2go o Enjoy sono imprese tradizionali il cui modello di business si basa sulla concessione in uso piuttosto che in proprietà (in pratica, passando dalla intermediazione nella proprietà del bene automobile all'intermediazione nel suo godimento per spostamenti all'interno di un centro abitato). Il quid pluris della sharing economy e delle imprese collaborative vere e proprie sta nel consentire a soggetti (in linea di principio) non professionisti di agire sul mercato come attori economici[58], rendendo in altre parole attori di quella specie di kolossal cinematografico che è il mercato quelli che prima ne erano gli spettatori. Per restare nella metafora, si tratta di vedere se con un ruolo da protagonisti o di comparse… Ma la funzione della piattaforma in un'impresa collaborativa non si esaurisce nella mera intermediazione; non è soltanto un espediente tecnico per rendere accessibili beni e servizi nuovi, ma è anche un luogo virtuale dove prendono corpo e significato giuridicamente rilevante valori apparentemente di non immediata rilevanza economica quali le relazioni, la reputazione, la fiducia sociale, la creazione di una comunità[59]. È, dunque, anche esaminando la funzione e la struttura della piattaforma che si comprende appieno la tipologia di impresa collaborativa, le sue caratteristiche e la sua maggiore o minore distanza dall'impresa tradizionale. Sul versante di chi crea ed organizza la piattaforma, la finalità può essere di trarre un guadagno dalla stessa e quindi lucrativa pura, di conseguire un'utilità diversa quale un beneficio lato sensu mutualistico o, infine, totalmente disinteressata e volta a realizzare scopi ideali. Il ruolo e la funzione del gestore della piattaforma condizionano l'assetto dell'operazione economica per come si pone sul mercato. Con riguardo ai [...]
L'impresa collaborativa mette in discussione le tradizionali categorie di professionista e consumatore[66]. Infatti, il fruitore non è più mosso tanto dalla volontà di possedere qualcosa o di acquistare un servizio, quanto piuttosto di godere di un bene o di un servizio necessari a soddisfare determinate sue esigenze di «semplice individuo, utilizzatore, fabbricante, produttore, creatore, progettatore/designer, collega di lavoro, artigiano digitale o agricoltore urbano»[67]. L'assenza di una disparità di potere economico tra fornitore e fruitore del servizio, il decentramento e la deprofessionalizzazione di quest'ultimo, la multilateralità dei rapporti e delle transazioni che si innestano sulla piattaforma suggeriscono di incentrare l'attenzione su un soggetto che non è più né professionista né consumatore o, se si preferisce, che è entrambe le cose contemporaneamente, un «pari» che agisce ed interagisce con altri «pari» (peer to peer) ovvero, per utilizzare un termine ormai in voga anche nel linguaggio paralegislativo, un «prosumatore»[68]. Un esempio dello spiazzamento ingenerato dalla produzione collaborativa negli operatori pratici, abituati a muoversi entro i confini conosciuti della dialettica professionista-consumatore, lo si percepisce con forza nella vicenda Uber Pop, quando il Tribunale di Milano è stato chiamato in via d'urgenza a pronunciarsi sulla messa al bando della citata applicazione di trasporto condiviso: in fase di reclamo, le associazioni di consumatori intervenute nel giudizio hanno assunto posizioni diametralmente opposte tra loro[69]. Ciononostante, rimane ineliminabile la necessità di delimitare i casi in cui il prestatore di servizi può ragionevolmente ritenersi un professionista. La comunicazione 2016/356 detta al riguardo alcuni parametri[70]. 1) Frequenza della prestazione dei servizi collaborativi: i prestatori che offrono i propri servizi collaborativi a titolo occasionale, vale a dire in maniera marginale e accessoria anziché regolare, avranno meno probabilità di essere qualificati come professionisti; nell'ordinamento italiano l'occasionalità esclude la professionalità e, di conseguenza, la fattispecie impresa a norma dell'art. 2082 cod. civ., fermo restando [...]
I rapporti tra la piattaforma, il prestatore ed il fruitore dei servizi dell'impresa collaborativa si possono inquadrare in diversi modi a seconda che il fruitore paghi o meno per l'intermediazione ed a seconda che la prestazione caratteristica sia erogata dalla piattaforma o dal prestatore. Due precisazioni, tuttavia, s'impongono. La prima è che, a livello europeo, la nozione di «servizio della società dell'informazione», nella quale in linea di principio rientra l'attività delle imprese collaborative, prescinde dalla presenza o meno di un corrispettivo, rientrandovi tutti i servizi prestati «normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi»[77]. La seconda - che a ben vedere costituisce una spiegazione della prima - è che, nelle transazioni via internet, incluse quelle con le imprese collaborative, si può affermare che non esiste una forma di prestazione gratuita dei servizi della piattaforma e che una forma di corrispettività tra fruitore e piattaforma esiste sempre poiché, anche quando in apparenza non è previsto alcun pagamento diretto al gestore della piattaforma, il fruitore «paga» cedendo i propri dati personali, che hanno un grande valore per la piattaforma in quanto aggregati[78]. La distinzione, allora, si deve porre tra pagamento solo «in natura» mediante l'autorizzazione al trattamento dei propri dati personali e pagamento anche mediante un equivalente monetario sotto forma di commissione o di corrispettivo del servizio, che può essere in tutto o in parte trattenuto e la restante parte girata al prestatore quale esecutore finale della prestazione. In caso di pagamento solo in natura, cioè in assenza di altro pagamento in denaro al gestore della piattaforma, quest'ultimo è stato qualificato come un semplice mediatore[79], con conseguente applicabilità della giurisprudenza che responsabilizza il mediatore in forza del principio di buona fede, esponendolo al risarcimento dei danni che siano derivati al cliente dall'insufficiente informazione fornitagli[80]. L'ipotesi ricostruttiva in esame è insoddisfacente sotto diversi profili. In primo luogo, la responsabilità del mediatore non si estende ai profili tecnico-giuridici dell'affare intermediato[81], il che indebolisce notevolmente il quadro delle possibili tutele del fruitore [...]
Come sopra accennato, non tutte le piattaforme on line funzionano nello stesso modo, potendosi distinguere in base al bene o servizio fornito ed alla prestazione caratteristica. Vi sono, infatti, piattaforme che consentono di accedere a beni e servizi che si possono tenere facilmente distinti dal bene o servizio erogato dal prestatore finale, che sarebbero accessibili anche in forma tradizionale e che possono tuttavia essere erogati in maniera più rapida, efficiente ed economica grazie all'intermediazione digitale. Ad esempio, le piattaforme di prenotazione di strutture ricettive e servizi di trasporto e di viaggio rispetto alle tradizionali agenzie viaggi[94]; i servizi di consegna a domicilio di cibo o di altri beni rispetto al tradizionale fattorino incaricato dallo stesso rivenditore; le applicazioni per la prenotazione di ristoranti rispetto alla prenotazione diretta effettuata telefonicamente. In tutti questi casi rimane percepibile, agli occhi del fruitore finale, una distinzione oggettiva e soggettiva tra intermediario e prestatore del bene o del servizio: chi organizza la ricerca e la prenotazione della struttura ricettiva o del servizio di trasporto e chi eroga tale servizio; chi organizza la consegna del cibo e chi prepara il cibo; chi consente la prenotazione ed il ristorante. Fino a quando questa distinzione è riconoscibile dal fruitore, la prestazione di intermediazionelato sensudella piattaforma si distingue nettamente da quella erogata dal prestatore intermediato. Pertanto, non sarà possibile appiattire quest'ultimo ed il suo operato sulla piattaforma medesima, né sotto il profilo dell'esecuzione della prestazione di intermediazione, né sotto quello dei rimedi in caso di non corretto adempimento. Altre volte, invece, l'intermediario crea un servizio in tutto e per tutto nuovo, senza il quale i prestatori non potrebbero erogare il servizio ed i fruitori avvalersene, del quale egli determina integralmente le condizioni essenziali tra cui il prezzo, la riscossione del corrispettivo, lo storno di parte di esso al prestatore, il controllo sulla qualità dei prestatori ed il loro comportamento, al punto da poter disporre unilateralmente la loro esclusione dalla piattaforma in caso di recensioni negative della community dei fruitori. Controllo e centralizzazione fanno sì che anche il servizio finale, svolto con la collaborazione necessaria del prestatore, sia predeterminato ed influenzato in misura [...]
Volendo provare a tirare le fila di queste prime considerazioni, sembra di poter affermare che, in tutte le tipologie di imprese collaborative cui si è fatto cenno e nella quasi totalità dei casi, la «proprietà» dell'impresa è saldamente in capo al gestore della piattaforma, stante il potere di quest'ultimo di determinare le condizioni del servizio in completa autonomia e senza condizionamento alcuno da parte dei prestatori finali[105]. L'asimmetria di potere tra gestore della piattaforma e prestatori, rafforzando la vulnerabilità di questi ultimi e limitandone l'autonomia, pone il problema della responsabilità connessa al potere proprietario, da un lato, e delle tutele per i prestatori, dall'altro. Sotto il primo profilo, l'esternalizzazione della prestazione caratteristica, ossia la traslazione della fornitura del servizio intermediato dal gestore in capo al prestatore, consente in parallelo l'esternalizzazione dei costi ed il trasferimento dei rischi connessi all'esecuzione. Il risultato finale è che, nonostante le condizioni generali del servizio predisposte dal gestore si soffermino sul fatto che la piattaforma è un semplice marketplace, ossia un luogo virtuale di incontro tra pari che concludono accordi in piena autonomia, e che si tenti di escludere che la piattaforma sia parte del rapporto tra gli utenti, precisando che questa non ha alcun controllo sulla condotta delle parti ed è esonerata da ogni responsabilità, così non è. In realtà, alla fine il prestatore è un operatore front end che si accontenta di guadagni di sussistenza, mentre il gestore back end estrae rendite mediante appropriazione del lavoro altrui ed è controllato su base proprietaria[106]. In altre parole, si viene a creare, da un lato, un grande potere economico senza responsabilità e che estrae grandi profitti e, dall'altro, una massa di lavoratori autonomi ultraprecari, sottopagati e tenuti all'adempimento delle prestazioni, con le conseguenti responsabilità. Sotto il secondo profilo, infatti, lo sfruttamento e l'insicurezza dei prestatori significa concedere loro minori possibilità di superare la precarietà rispetto al lavoro tradizionale, caricandoli di tutti i costi delle carriere imprenditoriali tradizionali senza averne i benefici; non garantisce opportunità imprenditoriali ma condizioni lavorative assolutamente [...]