L’articolo cerca di dare risposta ad alcuni interrogativi suscitati dalla recente introduzione delle procedure di allerta, di cui al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 145/2019), offrendo una chiave di lettura che, di là dal carattere premiale ed incentivante delle disposizioni previste in caso di loro osservanza, ne sottolinea il carattere di doverosità, tentando di individuare il punto di raccordo tra le suddette procedure ed i doveri degli organi di gestione e controllo destinati a sorgere o ad intensificarsi in prossimità della crisi o dell’insolvenza.
This paper try to give an answer some questions raised by the recent introduction of the new early warning tools, within the Business Crisis and Insolvency Code (d.lgs. n. 145/2019), offering an interpretation which, apart from the rewarding and incentive nature of the provided provisions in the event of their compliance, it underlines the dutifulness, looking for to identify the connection point between these tools and directors’ and auditors’ duties destined to arise or to intensify in vicinity of crisis or insolvency.
Keywords: early warning tools – business crisis and insolvency Code – directors’ and auditors’ duties in vicinity of crisis or insolvency
CONTENUTI CORRELATI: procedure di allerta - crisi d’impresa - insolvenza
1. Premessa: alcuni interrogativi preliminari. - 2. L'inserimento delle procedure di allerta e di composizione della crisi nel contesto delle tecniche preesistenti di allarme rispetto all'approssimarsi della crisi. - 3. Segue: le ragioni alla base dell’introduzione del nostro ordinamento delle procedure di allerta. - 4. L'incidenza delle procedure di allerta sui doveri e sulle responsabilità degli organi di amministrazione e controllo. I settori dell'ordinamento in cui possono ritenersi già vigenti specifiche procedure di allerta. - 5. Segue: l'estensione dei modelli di allerta disciplinati nei settori speciali attraverso le procedure di allerta previste dal codice della crisi. - 6. Segue: gli interessi protetti. - 7. La codificazione dei criteri di quantificazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità e l'insufficienza dei rimedi risarcitori quali deterrenti rispetto alle condotte opportunistiche in prossimità dell’insolvenza. Le possibili soluzioni anche in una prospettiva de jure condendo. - 8. Business judgment rule e adeguatezza organizzativa dell'impresa. - NOTE
Come è noto, il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi: c.c.i.i.), di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, emanato in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, ha introdotto nel nostro ordinamento, sulla falsariga di quello francese, le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi [1]. Si tratta, più precisamente, delle procedure previste dagli art. 12 ss. del capo I del titolo II del suddetto codice, applicabili, con talune eccezioni [2], ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, mediante le quali il Governo ha esercitato la delega ad esso assegnata dall’art. 4 della legge sopra citata. Certamente, come è stato da più parti evidenziato, la previsione di procedure di natura non giudiziale e di carattere confidenziale [3] intende assolvere il compito, assegnato dal d.m. 28 gennaio 2015, con il quale venne istituita la Commissione di riforma, di introdurre misure idonee a incentivare l’emersione della crisi. In sostanza si intende introdurre (o forse solo specificare) il principio secondo il quale la crisi e l’insolvenza non devono solo essere gestite, ma anche prevenute. In tal modo, si legge nella Relazione allo schema di legge delega della commissione [4], si è inteso rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’Unione Europea – si vedano la più volte richiamata Raccomandazione della Commissione Europea 2014/135/UE [5], il Regolamento UE 2015/845 sull’insolvenza transfrontaliera – muovendosi, peraltro, sulla falsariga dei principi della model law elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) [6]. Si giunge così ad esiti che dovranno ora essere confrontati con gli obiettivi indicati dalla direttiva UE/2019/1023 del 20 giugno 2019, di recente promulgazione [7], con modifiche non prive di rilevanza, in particolare in ordine al tema in oggetto, rispetto alla precedente Proposta del 22 novembre 2016 [8]. In sostanza, il leitmotiv di tutte tali sollecitazioni può essere individuato in quello di creare un quadro giuridico che incentivi il debitore a procedere alla ristrutturazione dell’impresa in una fase precoce, prima cioè che subentri l’insolvenza, e ciò in considerazione [...]
Innanzitutto, andrebbe attentamente chiarito se, e in che termini, l’inserimento nella disciplina di misure di allerta e di composizione assistita, elaborata seguendo la falsariga della disciplina francese [10], pur con alcune non trascurabili differenze [11], sia stato davvero necessario. Come da più parti rilevato [12], si può ritenere che tecniche di allerta siano già presenti o siano comunque ricostruibili nel nostro ordinamento a prescindere dalle procedure introdotte dal codice della crisi. Il riferimento è, in primo luogo, ai doveri del collegio sindacale, con particolare riguardo al dovere di vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2403 c.c.) [13]; ovvero ai poteri-doveri dei sindaci di chiedere notizia agli amministratori circa l’andamento delle operazioni sociali (art. 2403-bis, secondo comma, c.c.) e di convocare l’assemblea qualora, nell’espletamento del loro incarico, ravvisino fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406, secondo comma, c.c.) [14], sino ad arrivare al potere-dovere di denuncia al Tribunale in presenza di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori, che possano arrecare danno alla società o alle società controllate (2409 c.c.) [15]. Poteri che, come sovente si ricorda, sono potenziati nel caso di società quotate, in connessione con una maggiore intensificazione degli obblighi dell’organo di controllo (artt. 149 ss. t.u.f.) [16]. Un controllo, quello dei sindaci, che una notazione diffusa intende ormai emancipato dal ruolo di mera verifica ex post, essendo divenuto «elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa», come avvertito dalla dottrina all’esito della riforma di diritto societario [17] e prima ancora di quella delle società quotate introdotta dal t.u.f. [18]. Il che assume significativi risvolti proprio in situazioni di crisi, ove quei poteri-doveri trovano spesso il loro terreno elettivo di esercizio [19], in specie in punto di verifica dei fatti idonei a pregiudicare la continuità aziendale, nonché di sollecito agli amministratori ad adottare le opportune misure idonee a porvi rimedio, come del resto messo in luce e specificato dalle Norme di comportamento [...]
Tanto acclarato, si può tentare di affrontare il primo interrogativo. A tal riguardo, appare d’uopo prendere le mosse dalle parole della Relazione allo schema di legge delega, richiamate pure dalla Relazione allo schema di decreto legislativo e dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 14/2019, in ordine a recenti studi empirici sull’incapacità delle imprese italiane – specie piccole e medie – di promuovere autonomamente processi di ristrutturazione (per una serie di fattori, quali: il sottodimensionamento, il capitalismo a condizione familiare, il personalismo autoreferenziale, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi, l’assenza di monitoraggio e di pianificazione anche a breve termine, ecc.). Sempre la stessa Relazione fa riferimento ad un problema di tipo culturale, concernente la diffidenza con la quale sono viste le procedure concorsuali dagli imprenditori, intese quale male da allontanare ad ogni costo, ciò che spiegherebbe anche il motivo per il quale il concordato preventivo sia stato utilizzato per lo più da imprese in stato di irreversibile decozione [34]. In realtà alcune di queste osservazioni non costituiscono risposte davvero soddisfacenti al quesito di cui sopra, evidenziando semmai un atteggiamento di inerzia dei soggetti chiamati a ricoprire le cariche dirigenziali societarie rispetto agli obblighi di pianificazione e di elaborazione strategica in funzione della prevenzione dell’insolvenza su costoro gravanti. E dunque ci si dovrebbe interrogare sui motivi della scarsa deterrenza, per gli operatori, svolta dalla disciplina dei doveri e delle responsabilità degli organi di gestione e di controllo. E, a tale stregua, domandarsi se il rimedio risarcitorio svolga davvero un efficace ed esaustivo ruolo in tale direzione, ovvero se sia lecito immaginare di introdurre altri e più efficaci strumenti coercitivi (black list dei cattivi pagatori, disqualification, ecc.: ma anche su questo punto si avrà modo di ritornare). Tra tutte le possibili spiegazioni, quella più probabile può forse essere ricercata nel fatto che raramente la crisi può essere affrontata (solo) mediante iniziative unilaterali, attraverso, cioè, una mera riprogrammazione interna, occorrendo più spesso il coinvolgimento a tal fine dei creditori nei procedimenti di ristrutturazione [...]
Se si conviene su quanto sin qui esposto, si può a questo punto tentare di offrire una risposta al secondo quesito, chiedendosi quale sia l’incidenza della nuova disciplina rispetto ai doveri e responsabilità sopra indicati. Più specificatamente, si tratta di verificare in che modo la suddetta disciplina sia destinata ad inserirsi nel sistema delineato delle responsabilità degli organi di gestione e di controllo, e ciò anche al fine di valutare se le misure siano idonee allo scopo prefissato, evitando o minimizzando il rischio della mancata osservanza dei rispettivi doveri (di reazione alla crisi) da parte dei destinatari. A tale stregua, si deve partire da un dato, costituito dalla mancata previsione nel decreto legislativo che ha introdotto il codice della crisi, e a monte nella legge delega, di sanzioni in caso di inadempienze da parte degli organi di controllo e dei revisori dell’obbligo su questi gravante di avvisare immediatamente l’organo amministrativo circa l’esistenza di fondati indizi della crisi e su quello, insorgente nel caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, di informare tempestivamente l’organismo di composizione della crisi. In entrambi i casi, la legge stabilisce l’esonero dalla responsabilità solidale degli organi di controllo con i componenti dell’organo amministrativo, per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal suddetto organo, e sempre che sia stata effettuata la tempestiva segnalazione all’OCRI nelle ipotesi prima citate [si veda l’art. 14 c.c.i.i., in attuazione dell’art. 4, lett. c) ed f), l. n. 155/2017]. Le uniche sanzioni previste sono quelle poste a carico dei creditori qualificati in caso di inadempimento degli obblighi di segnalazione su questi incombenti, contemplando l’art. 15 c.c.i.i. [in attuazione dell’art. 4, lett. d), l. n. 155/2017], l’inefficacia del titolo di prelazione che assiste i crediti di cui sono titolari l’Agenzia delle Entrate e l’Inps, e l’inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione dell’agente della riscossione, laddove i suddetti creditori omettano di dare avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un determinato [...]
Questi risultati, in punto di emersione di obblighi di condotta degli organi di amministrazione e controllo rispetto alla crisi, appaiono suscettibili di essere generalizzati proprio alla luce delle novità contenute nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Tanto in considerazione della già accennata modifica, costituita dall’art. 2086, secondo comma, c.c., in ordine ai doveri ed alle conseguenti responsabilità che gravano, prima ancora che sugli organi di gestione e controllo, ovvero sui revisori, sull’imprenditore societario o collettivo [57]. Con la conseguenza di rileggere in controluce (ed in negativo) le disposizioni premiali ed incentivanti, giungendo così alla conclusione che la mancata, intempestiva o inadeguata risposta dei predetti organi alla crisi d’impresa, sub specie del mancato rispetto degli obblighi ivi previsti, e prima ancora la mancata predisposizione degli assetti finalizzati a rilevarla, costituiscano o concorrano a costituire le gravi irregolarità integranti, anche solo se potenzialmente dannose, il presupposto di una denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. ad istanza dei soggetti legittimati (da attivare se del caso successivamente alla convocazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., o dell’art. 151 t.u.f., ed all’impugnazione delle eventuali deliberazioni assembleari): istituto, questo, divenuto, proprio a seguito del codice della crisi, nuovamente applicabile alla s.r.l., anche se priva di organo di controllo, e ciò in virtù di apposito richiamo contenuto nell’art. 2477 c.c., come modificato dall’art. 379 c.c.i.i. [58]. Le medesime condotte potrebbero altresì reputarsi foriere di responsabilità gestorie per il relativo danno [59], e ciò anche a prescindere dalla sussistenza degli estremi per addebitare la responsabilità da omesso accertamento della causa di scioglimento o da gestione non conservativa (artt. 2485-2486 c.c.). Un danno risarcibile se ed in quanto correlato alla violazione di un più generale dovere di risanamento dell’impresa, da condurre se del caso nel quadro della procedura di composizione, che nelle menzionate previsioni sembrerebbe ricevere un fondamento normativo ulteriore rispetto a quello desumibile in loro assenza [60]; ovvero derivante dalla stessa prosecuzione [...]
Qui peraltro si giunge forse ad un punctum dolens della disciplina, costituito dall’assenza di specificazione al suo interno degli interessi che gli amministratori siano tenuti a perseguire o a proteggere in situazioni di crisi, in specie laddove si tratti di adottare iniziative in funzione del recupero della continuità aziendale e del risanamento dell’impresa, al di fuori di una procedura di regolazione della crisi. In effetti, è questo un aspetto destinato ad emergere ogniqualvolta ci si confronti con i poteri-doveri di iniziativa e di attivazione nei confronti della crisi. Un problema che in rapporto agli strumenti di allerta e di composizione assistita, può così essere impostato: quale è l’interesse che deve essere salvaguardato da parte degli amministratori allorquando, sollecitati nei modi previsti, si accingano a promuovere percorsi di risanamento e/o di riorganizzazione funzionali alla rimozione delle cause della crisi ed al recupero della continuità aziendale, eventualmente per il tramite di accordi con i creditori nell’ambito della procedura di composizione assistita? Continua ad essere l’interesse dei soci, oppure è ormai quello dei creditori? Si può individuare un interesse alla continuazione dell’impresa in sé? Al riguardo, appare innanzitutto necessario chiarire se per gli amministratori sia legittimo o addirittura doveroso perseguire, in presenza di una situazione di crisi o di insolvenza, in aggiunta all’interesse dei soci o in sua sostituzione, un interesse differente, e segnatamente quello dei creditori. In argomento, sono ben note le posizioni che, sulla scia delle riflessioni presenti in alcuni orientamenti anglo-statunitensi, tendono a rispondere positivamente alla domanda da ultimo sollevata. Un tema, questo, che si inserisce nella più ampia problematica circa l’estensione dell’interesse sociale a favore degli altri soggetti interessati alle sorti dell’impresa [68]. Senza ripercorrere l’intero dibattito, che meriterebbe ben altro spazio, ciò che occorre evidenziare è che la questione risulta affrontata non sempre con la dovuta consapevolezza, e soprattutto trascurando che gli orientamenti di cui si diceva, peraltro recessivi alla luce dei più recenti sviluppi [69], pur affermando che l’interesse sociale in situazioni di crisi sia permeato da quello [...]
Tuttavia, anche a far emergere e ad accentuare la doverosità della condotta degli organi di amministrazione e controllo in occasione dell’attivazione degli strumenti di allerta, e conseguentemente configurando le varie ipotesi di responsabilità discendenti dai vari inadempimenti sinora considerati, il fine di incentivare ulteriormente la prevenzione dell’insolvenza non sembra pienamente conseguito. Resta, infatti, solo in parte risolto l’altro punctum dolens delle azioni di responsabilità degli amministratori di gran lunga dibattuto nelle aule di giustizia, costituito dalla quantificazione del danno risarcibile. Un tema sovente affrontato dalla giurisprudenza, che, in assenza di dati normativi, si è sovente fatta carico del problema di conciliare le esigenze di riparazione del danno con la necessità di accertare in modo rigoroso il nesso di causalità tra evento e danno, così da giungere, dunque, a pronunce di condanne risarcitorie rispettose del principio del danno effettivo. Certo, entro certi limiti, relativamente al danno prodotto dalla violazione del dovere di gestione conservativa, si potrà e dovrà fare riferimento ai consueti criteri di quantificazione adoperati dalla giurisprudenza; i quali hanno acquisito, a seguito delle modifiche apportate al codice civile dal d.gs. n. 14/2019, una specifica rilevanza normativa, con l’aggiunta di un nuovo comma all’art. 2486 c.c., ad opera dell’art. 378, secondo comma, c.c.i.i. Aggiunta rivelatrice, peraltro, dell’intento di politica legislativa di agevolare la posizione processuale dell’attore – e dunque, in caso di fallimento, del curatore – nei giudizi di responsabilità contro gli organi di gestione, e di conseguenza, contro gli organi di controllo. Ci si riferisce, in primo luogo, al criterio dei netti patrimoniali, che ora la legge, opportunamente, pone quale oggetto di una presunzione semplice, laddove – è il caso di precisare – sia stata accertata la responsabilità per violazione del dovere di gestione conservativa [77]. Salvo prova di diverso ammontare, infatti, il danno sarà quantificabile nella misura pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura, e il patrimonio netto [...]
Dalle linee sinora tratteggiate appare evidente che il disegno complessivo sotteso al codice della crisi, in piena continuità con la riforma del diritto societario del 2003, sia dominato dall’adeguatezza organizzativa dell’impresa, quale regola di diritto dell’impresa, funzionale al governo del rischio dell’attività ed alla sua conservazione nel medio-lungo termine [88]. Regola quest’ultima destinata, però, a fare i conti con il principio cardine della responsabilità gestoria, costituito dalla business judgment rule. Si applica tale principio in ordine alle valutazioni svolte dagli organi di gestione e di controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, sull’adeguatezza degli assetti e sull’idoneità dei piani di risanamento al superamento della crisi? Rispetto al primo profilo, ferma restando la responsabilità degli amministratori (e della stessa società) in caso di omessa predisposizione degli assetti [89], in specie alla luce della disciplina tratteggiata dall’art. 2086, secondo comma, c.c., trattandosi della violazione di un dovere specifico ancorché a contenuto indeterminato, si tratta di discernere se l’elasticità del canone richiesto dalla disciplina – l’adeguatezza da rapportare alla natura ed alle dimensioni dell’impresa – sia sintomatica dell’assegnazione all’organo gestorio di un ambito di discrezionalità insindacabile ex post dal giudice se non nei limiti del modus decidendi [90]; ovvero se tale discrezionalità, per quanto ampia, sia in astratto di natura prevalentemente tecnica, sindacabile almeno nei limiti in cui si accerti che l’assolvimento dell’obbligo sia avvenuto in violazione delle regole desumibili dalle scienze dell’economia aziendale, oltre che dalla prassi professionale di settore [91]. Senza voler qui approfondire l’intera tematica, che meriterebbe ben altro spazio non consentito nel presente scritto, il problema sembra suscettibile di essere ridimensionato, considerato che difficilmente l’inadeguatezza organizzativa potrà di per sé causare un danno risarcibile. Al più il danno deriverà dalla scelta che sia stata poco informata in dipendenza dell’inadeguatezza degli assetti, rilevando quest’ultima quale argomento per sostenere il mancato [...]