Le disposizioni in materia di direzione e coordinamento di società - costituenti il nuovo capo IX del libro V, introdotto nel codice civile con la riforma societaria del 2003-2004 - offrono alla nostra considerazione un modello di disciplina per "clausole generali", che contiene ed enuncia, esplicitamente o implicitamente, anche taluni innovativi "principi giuridici". Si esaminerà in questo scritto il ruolo, nel contesto della predetta disciplina, degli uni e delle altre; si cercherà altresì di dimostrare come questo tipo di analisi possa fornire un contributo all'interpretazione del dettato legislativo e alla soluzione di taluni dei dubbi che sono stati al riguardo sollevati già nella prime riflessioni sulla novella, all'indomani dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 6/20032.
1. Principi e clausole generali nel nuovo capo IX del codice civile. Piano dell'indagine - 2. La tendenza odierna, confortata dal dato comparatistico, ad una regolazione dei gruppi per principi e per clausole generali. - 3. I principi contenuti nella disposizione dell‟art. 2497, comma 1, c.c.. - 4. LegittimitaÌ dell‟attivitaÌ di direzione e coordinamento e soggezione di tale attivitaÌ ai canoni della correttezza gestionale. - 5. I “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale”; significato e rilevanza della doppia aggettivazione. - 6. Riconoscimento alla capogruppo di un potere gestorio, assistito da una clausola di discrezionalitaÌ. - 7. L'ambiguità del disposto dell'art. 2497, comma 1, ultima proposizione, c.c.: sufficienza delle compensazioni soltanto virtuali ovvero necessità di compensazioni effettive? - 8. Argomenti logici e sistematici a supporto della tesi della necessità per diritto vigente di una compensazione effettiva e congrua. - 9. Rilievi critici fondati sul carattere “ragionieristico” di tale impostazione. Replica: discrezionalitaÌ delle strategie gestionali di gruppo e necessitaÌ di un limite in presenza di sistematici conflitti d‟interessi; l‟obbligo di compensare il pregiudizio arrecato alla singola societaÌ come limite al potere discrezionale della capogruppo. - 10. Analisi di talune questioni dibattute in punto di ambito soggettivo di applicazione della disciplina alla luce dei principi in essa enunciati: a) l‟applicabilitaÌ dell‟art. 2497 alla persona fisica. - 11. Segue: b) il significato dell‟inapplicabilità dell‟art. 2497 c.c. allo Stato. - NOTE
Le disposizioni in materia di direzione e coordinamento di società - costituenti il nuovo capo IX del libro V, introdotto nel codice civile con la riforma societaria del 2003-2004 - offrono alla nostra considerazione un modello di disciplina per "clausole generali", che contiene ed enuncia, esplicitamente o implicitamente, anche taluni innovativi "principi giuridici"(1). Si esaminerà in questo scritto il ruolo, nel contesto della predetta disciplina, degli uni e delle altre; si cercherà altresì di dimostrare come questo tipo di analisi possa fornire un contributo all'interpretazione del dettato legislativo e alla soluzione di taluni dei dubbi che sono stati al riguardo sollevati già nella prime riflessioni sulla novella, all'indomani dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 6/2003(2). La disciplina in esame investe un fenomeno della realtà economica - comunemente identificato in quello dei gruppi di società, sebbene il legislatore si sia astenuto dall'adoperare una siffatta formula lessicale - che, sino alla riforma, era stato oggetto soltanto di interventi normativi di carattere specifico (: relativi a specifici profili o aspetti del problema, come la disciplina dell'insolvenza o quella dell'informazione contabile) o settoriale (: relativi ai gruppi di società operanti in determinati settori economici, per esempio nel settore bancario ed in quello dell'intermediazione finanziaria). Era pertanto da tempo avvertita e segnalata, dalla giurisprudenza teorica e pratica, l'esigenza di un intervento regolatorio di carattere generale, diretto a comporre i diversi interessi che si fronteggiano e che sono variamente coinvolti dalla formazione e dal funzionamento di un gruppo di società; al tempo stesso era stata segnalata la circostanza che i suddetti interventi normativi episodici facevano per lo più riferimento alla fattispecie del "controllo di società" (declinata a sua volta nelle diverse varianti, conosciute almeno in parte già dal codice civile del 1942, del controllo interno, esterno e indiretto), mentre non prendevano in considerazione se non in casi sporadici o in discipline di carattere settoriale l'elemento della direzione unitaria, da molti ritenuto coessenziale al controllo ai fini della identificazione della fattispecie del gruppo di società(3). Com'è noto, non sono mancate, riguardo alle scelte compiute dal legislatore della riforma, valutazioni alquanto [...]
Va anzitutto osservato che il nostro legislatore, in questo primo esperimento di disciplina a carattere non meramente settoriale del fenomeno dei gruppi, si è orientato in una direzione diversa da quella che ha segnato le scelte di altri ordinamenti (mi riferisco in particolare a quello tedesco, spesso additato dagli studiosi come punto di riferimento, se non altro per il suo carattere pionieristico), nei quali è stata assunta come perno della regolazione dei gruppi la dicotomia tra gruppi contrattuali e gruppi di fatto, e si è dettata - per i primi - una disciplina analitica ed alquanto rigida, basata sull'idea che la società controllata possa essere piegata, in virtù di un contratto (e specificamente di un contratto capace di incidere sul profilo funzionale ed organizzativo dell'ente, un Organisationsvertrag, piuttosto che un Austauschvertrag), al perseguimento degli interessi ed all'attuazione delle direttive anche pregiudizievoli della capogruppo e che il medesimo regolamento contrattuale debba apprestare adeguati strumenti di protezione degli interessi "terzi" coinvolti; mentre, al di fuori del contratto (e del rigoroso regime di protezione che esso instaura in favore degli azionisti esterni e dei creditori della società dipendente) l'eventuale esercizio, da parte di un Unternehmensträger, di influenza dominante su una società si arresta di fronte al divieto di infliggere a quest'ultima un pregiudizio che non sia compensato da un vantaggio equivalente. Una siffatta impostazione, che è quella, come poc'anzi si diceva, accolta nella legge azionaria tedesca del 1965, è stata recepita successivamente in altri ordinamenti, anche esterni all'ambito europeo (prima in ordine di tempo fu, com'è risaputo, la legge brasiliana del 1978): si può tuttavia fondatamente sostenere che essa - nel complesso - abbia avuto una limitata fortuna. Nella stessa Repubblica Federale Tedesca, si sono - nel corso degli anni - levate voci critiche riguardo alla costruzione del "gruppo contrattuale", considerata troppo rigida, perciò incapace di soddisfare l'esigenza di flessibilità e duttilità organizzativa che fisiologicamente ispira la scelta, da parte del titolare dell'iniziativa economica, del modello del gruppo societario, e per di più tutt'altro che favorita dallo specifico trattamento tributario previsto per il Beherrschungsvertrag; mentre - [...]
Tornando al diritto oggi vigente nel nostro Paese, osserviamo che l‟art. 2497 c.c. contiene l‟enunciazione dei seguenti principi: legittimità della "direzione e coordinamento" di una pluralità di società da parte di una società o ente: altrimenti detto, l‟esercizio dell‟attività di direzione e coordinamento di società - quale che ne sia il fondamento: partecipativo, ovvero contrattuale (9) - costituisce una legittima esplicazione dell‟iniziativa economica privata, funzionale alla realizzazione di un peculiare modello organizzativo dell‟impresa; appartiene a questo modello il potere dell‟esercente l‟attività di direzione e coordinamento di emanare direttive, in funzione appunto di coordinamento strategico, alle società sottoposte, le quali sono legittimate a darvi seguito se e nella misura in cui esse siano innocue ovvero, se pregiudizievoli, nella misura in cui il danno risulti neutralizzato dall‟attribuzione di un corrispondente vantaggio (vedi infra); soggezione della società o ente che eserciti l‟attività di direzione e coordinamento di una pluralità di società (e quale che sia il fondamento di tale attività: partecipazione, contratto o altro fatto o atto idoneo, ad es. una clausola statutaria: art. 2497-septies) ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale: l‟attività di direzione e coordinamento dev‟essere cioè esercitata in maniera da non ledere, attraverso la violazione degli obblighi di correttezza gestionale societaria e imprenditoriale, i legittimi interessi dei soci delle società eterodirette e dei creditori delle stesse; in caso di inosservanza, responsabilità e conseguente obbligo di risarcimento dei danni singulatim nei confronti dei predetti soci e creditori; insussistenza della responsabilità se la lesione inferta trova una compensazione in un vantaggio corrispondente, capace di eliderlo.
Si è da taluni10 affermato che il baricentro della disciplina testé succintamente richiamata, o comunque il profilo di maggiore novità della stessa, risiederebbe nella circostanza che essa è disciplina dell‟attività (: di direzione e coordinamento), piuttosto che dei singoli atti (di influenza o di interferenza nella gestione delle società sottoposte). Il rilievo è, di per sé, esatto (11): tuttavia, a ridimensionare il profilo della novità, va soggiunto che la scelta del legislatore della riforma societaria era stata preceduta: da numerosi interventi della giurisprudenza teorica, che aveva elaborato - anche in questo caso mettendo a frutto il confronto comparatistico, in particolare con l‟esperienza giuridica tedesca - la nozione di "direzione unitaria" come elemento essenziale, distinto ed ulteriore rispetto al controllo, della fattispecie del gruppo di società (Pavone La Rosa, Jaeger, ed altri) ; ed aveva altresì riflettuto sulla possibilità che tale attività venga legittimamente assunta come oggetto sociale caratteristico (anche se non necessariamente esclusivo) di una società - a cui spetta allora il ruolo di capogruppo rispetto alle società sottoposte -; sui presupposti per l‟eventuale qualificazione di detta attività come impresa; sui meccanismi in base ai quali si poteva, in un ambiente normativo ancora imbevuto del principio di indipendenza della gestione della singola società, giustificare la proiezione dell‟attività di direzione unitaria o di direzione e coordinamento sulle società sottoposte e coerentemente orientare il modello organizzativo e gestionale di queste ultime, sì da rendere effettivo ed efficace l‟esercizio di quell‟attività, riconosciuta come legittima (G. Scognamiglio); da taluni interventi altresì del legislatore, sia pure, come ricordato all‟inizio, sporadici e di carattere settoriale: basti qui ricordare il riferimento alla direzione unitaria di più società e la regola della responsabilità degli amministratori della società sottoposta in solido con quelli della società esercente la direzione unitaria, per i danni cagionati dalle direttive pregiudizievoli impartite dai secondi ed eseguite dai primi [cfr. art. 3, ultimo comma, della prima legge sull‟amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi [...]
E‟ il caso di osservare in proposito che i principi di corretta gestione a cui ha riguardo il comma 1 dell‟art. 2497 c.c., sebbene non siano perfettamente coincidenti con quelli che presiedono alla gestione della singola società indipendente (perché, come si rileverà nel prosieguo, vi sono principi che attengono specificatamente alla corretta gestione del gruppo societario), tuttavia appartengono di sicuro alla stessa "famiglia": si tratta dei canoni, criteri e regole di condotta, la cui osservanza da parte dei preposti alla gestione delle imprese vale ad assicurare, in un dato ambiente normativo, la correttezza di quest‟ultima, e cioè la sua conformità alla legge, la sua coerenza con i valori e gli interessi che la legge (rectius, l‟ambiente normativo nel suo complesso) proteggono con riferimento all‟impresa. Possiamo dunque affermare che il richiamo a quei principi vale ad attrarre l‟attività di direzione e coordinamento di società nella sfera concettuale dell‟attività di gestione dell‟impresa: una gestione "di secondo livello" caratterizzata, e resa particolarmente complessa, dalla circostanza che l‟impresa, su cui essa insiste, è una e multipla al tempo stesso, essendo articolata in una pluralità di società, reciprocamente autonome dal punto di vista giuridico e costituenti, secondo quel medesimo punto di vista, centri di interessi14 distinti e reciprocamente indipendenti, anche se economicamente "collegati". Non vi è dunque bisogno, secondo la proposta da taluni avanzata, di far capo alla nozione, di matrice giurisprudenziale, dell‟amministratore di fatto e di estenderne, un po‟ artificiosamente, l‟ambito di applicazione al di là delle ipotesi peculiari dell‟amministrazione esercitata da un soggetto privo di investitura formale ovvero investito nella carica sulla base di un atto deliberativo viziato e perciò invalido: vi è infatti l‟esplicito riconoscimento, come fattispecie giuridicamente rilevante, dell‟amministrazione unitaria di una pluralità di società giuridicamente autonome l‟una dall‟altra, in funzione del loro coordinamento strategico, e cioè del perseguimento di obiettivi economici totalmente o parzialmente (a seconda della maggiore o minore intensità del legame di gruppo e del maggiore o minor grado di accentramento [...]
Dovrebbe essere ormai chiaro che, secondo la tesi qui condivisa, la "clausola" della correttezza gestionale societaria ed imprenditoriale, contenuta nell‟art. 2497, comma 1, non ha soltanto il significato e lo scopo di rimettere la soluzione dell‟eventuale controversia alla valutazione del caso concreto, rectius alla ponderazione comparativa dei diversi interessi in gioco nel caso concreto, operata ex post dal giudice investito della controversia stessa. Essa rileva altresì come espressione riassuntiva della serie dei doveri e dei canoni di comportamento che s‟impongono al soggetto che esercita la direzione e coordinamento di società e che valgono a disegnare, com‟è stato detto, la figura del "buon capogruppo"(24). In tal modo, la clausola dei "principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale" rivela una valenza ulteriore ed implicita, che consiste nel riconoscere nell‟attività di direzione e coordinamento l‟esercizio, in principio legittimo, di un potere gestorio a carattere discrezionale e, conseguentemente, nel subordinare il controllo di merito su detta attività (volto ad accertare la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dal socio o dal creditore) alla prova della violazione (di una o di alcune) delle regole in cui si concretizzano i principi di corretta amministrazione. Dunque, ciò che la clausola in esame esprime è il principio di insindacabilità nel merito dell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, e cioè della sua insindacabilità fino a quando i predetti principi non siano stati violati e non sia stata comunque fornita la prova della loro violazione. Possiamo allora affermare che anche la gestione di un gruppo societario - quella gestione di secondo livello, rivolta ad una pluralità di soggetti giuridicamente autonomi, che si esprime nella formula organizzativa della "direzione e coordinamento" di società - è assistita da una specifica business judgement rule, operante al livello del gruppo(25); la discrezionalità riconosciuta al soggetto che esercita l‟attività di d. e c. è ampia, in quanto comprende in sé il potere di emettere direttive anche suscettibili di arrecare un pregiudizio ad una o ad alcune delle società eterodirette, purché il pregiudizio venga compensato. Come osservato già in altre occasioni(26), sotto il profilo ora in [...]
Il problema è tuttavia che, almeno alla stregua del suo tenore testuale, la disposizione dell‟art. 2497 si palesa insufficiente sotto il profilo della tecnica legislativa: si tratta infatti di un testo ambiguo e per certi versi fumoso, che non riesce in quanto tale a risolvere i dilemmi in cui la teoria dei vantaggi compensativi(29) si dibatteva, con riferimento al tema specifico dei gruppi di società, anteriormente alla riforma societaria. Era infatti, già prima del 2003 e sulla base delle elaborazioni di detta teoria (allora priva di agganci nel diritto positivo) ad opera della giurisprudenza teorica e pratica, palese il contrasto(30) fra i sostenitori della sufficienza delle compensazioni virtuali o eventuali ed i fautori della tesi opposta, secondo cui "la compensazione della società danneggiata deve essere prevista come elemento specifico della politica di gruppo, con un effettivo trasferimento di vantaggi" specifici e suscettibili di essere stimati secondo criteri di mercato(31). Secondo la prima delle due ricordate prospettive, la teoria dei vantaggi compensativi metterebbe capo ad uno standard (o criterio generale: del tipo "occorre guidare con prudenza"); a voler assecondare invece l‟altra prospettiva, si tratterebbe piuttosto di una rule (o regola specifica: del tipo "è vietato attraversare l‟incrocio in presenza di semaforo rosso"). Collegato al precedente, vi è il contrasto fra chi ritenga soddisfatto il criterio del vantaggio compensativo già in presenza di un generale andamento positivo del gruppo nel suo complesso (che sarebbe di per sé sufficiente a rendere giuridicamente irrilevante il pregiudizio della singola società) e chi, per converso, si dichiari disposto a riconoscere la legittimità delle politiche di gruppo e dell‟ossequio alle medesime da parte degli amministratori delle società controllate, alla sola condizione che siano identificabili, con riferimento alla singola società, specifiche ricadute vantaggiose dell‟appartenenza della stessa al gruppo. Il criterio generale, lo standard, suonerebbe come principio di legittimità delle politiche di gruppo che si traducano in un incremento del risultato complessivo del gruppo stesso, quand‟anche a questo incremento corrisponda il sacrificio di una o più società; la rule impone, in presenza di politiche di gruppo che avvantaggiano talune società [...]
Un esito siffatto sembra in vero urtare contro un argomento di carattere sistematico, tutt‟altro che facile da superare. L‟art. 2497 c.c. è norma delegata rispetto alla legge n. 366/2001, contenente "delega al governo per la riforma del diritto societario": come tale, va interpretata alla luce dei principi di diritto contenuti nella legge di delega, ed in particolare, per quanto qui specificamente interessa, nell‟art. 10, intitolato ai "gruppi". Ora, l‟art. 10, comma 1, lettera a) enuncia il principio onde è imposto al soggetto esercente l‟attività di direzione e coordinamento di contemperare "adeguatamente l‟interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime". Il principio di adeguato contemperamento degli interessi si fonda a sua volta sul principio, implicitamente ma inequivocabilmente ribadito dalla riforma (e presente in tutto l‟ordinamento, anche al di fuori del codice civile, e così per esempio nella legislazione in materia di crisi dell‟impresa: basti pensare al trattamento del gruppo di società nell‟amministrazione straordinaria, artt. 80 ss. d. lgs. n. 270/1999; art. 4-bis, comma 2, d. l. n. 347/2003, conv. in l. n. 39/2004), di separatezza e reciproca autonomia delle società del gruppo, riconosciute come titolari ciascuna di un proprio interesse, da contemperare con quello delle altre e con quello del gruppo nel suo insieme. Discende da questi principi il corollario che la politica di gruppo, se può spingersi fino a realizzare operazioni che avvantaggiano in misura diseguale le diverse società del gruppo o che incrementano il risultato economico dell‟una in misura maggiore rispetto a quello delle altre, non può non trovare un limite nell‟imposizione ad una o più società di un pregiudizio (da intendere, è ovvio, sia come danno emergente, sia come lucro cessante) non compensato da un vantaggio effettivo, certo(38), dimostrabile e proporzionato al pregiudizio, ossia almeno equivalente ad esso: imposizione che contraddirebbe, scardinandolo, il principio o criterio generale del contemperamento degli interessi facenti capo alle diverse società del gruppo e ai rispettivi stakeholders, alla stregua del quale si vuole che dette società, pur partecipi del modello organizzativo della direzione e coordinamento, si preservino come "autonomi centri di profitto", [...]
L‟interpretazione, che si è testé esposta(39), della "teoria dei vantaggi compensativi" secondo la legge di riforma delle società registra, nella nostra dottrina successiva al 2003, diverse adesioni, ma sembra ancora lontana dal riscuotere un consenso unanime. La critica alla concezione "rigorosa" dei vantaggi compensativi e all‟opinione secondo la quale il disposto dell‟art. 2497 andrebbe letto in termini di rule piuttosto che di standard scaturisce sovente dal rilievo di eccessiva, ragionieristica rigidità(40), e perciò di incompatibilità della predetta concezione con la logica e le dinamiche di quel modello peculiare di organizzazione e di gestione dell‟impresa, che denominiamo "direzione e coordinamento" di un gruppo di società. In proposito, va ribadito che l‟argomento sistematico e il richiamo ai principi giuridici enunciati nella norma di delega giustificano un‟interpretazione del dato letterale (in particolare, del riferimento al risultato "complessivo" dell‟attività) in senso restrittivo, e cioè nel senso di escludere l‟efficacia esimente di vantaggi compensativi che non siano effettivi e proporzionati al danno cagionato da una determinata operazione pregiudizievole, nonché l‟efficacia esimente del saldo genericamente positivo dell‟attività di direzione e coordinamento nel suo complesso: il risultato complessivamente positivo, se riferito al gruppo nel suo insieme, è un dato di per sé vago, insufficiente a provare che sia stato preservato l‟interesse economico- patrimoniale della singola società. Si pensi all‟ipotesi della società assicuratrice di gruppo, indotta dal soggetto esercente la direzione e coordinamento a prestare i propri servizi assicurativi a tutte le società del gruppo, a prezzi largamente inferiori a quelli di mercato: in un‟ipotesi siffatta, può ben succedere che il vantaggio complessivamente conseguito dalle società fruitrici dei servizi assicurativi a condizioni di favore sia quantitativamente superiore al sacrificio subìto dalla società assicuratrice "captive" del gruppo; ma è del tutto plausibile che ciò non basti a salvare l‟assicuratrice da un più o meno rapido deterioramento del suo conto economico e poi del suo stato patrimoniale, fino a quando non intervenga, in funzione riequilibratrice, [...]
L‟estrazione dal disposto dell‟art. 2497, comma 1, dei principi giuridici in esso contenuti, è esercizio utile alla soluzione di talune questioni interpretative, che hanno agitato e diviso la dottrina in questi primi anni di vigenza della disciplina della direzione e coordinamento di società, e che attengono all‟ambito soggettivo di applicazione della medesima. In particolare, si è discusso se detta disciplina trovi applicazione (a) nei confronti della persona fisica(43); (b) nei confronti degli enti pubblici e dello Stato, quando esercitano attività di direzione e coordinamento di una pluralità di società: la questione munita di particolare rilevanza pratica al riguardo è se l‟azione di responsabilità "da direzione e coordinamento" possa essere esperita (anche) avverso la persona fisica o l‟ente pubblico.(a)Letteralmente, com‟è noto, l‟incipit della disposizione fa riferimento agli "enti" e alle "società", che esercitano attività di direzione e coordinamento: alla stregua del tenore testuale della norma, la persona fisica sembra dunque estranea al novero dei soggetti a cui essa si applica. L‟assunto pare corroborato dalle lettura dei lavori preparatori, dalla quale si evince che il testo attuale ha sostituito una precedente versione della norma, in cui il soggetto passivo dell‟eventuale azione di responsabilità veniva individuato in "chi" esercita l‟attività di direzione e coordinamento: l‟uso del pronome generico "chi" legittimava sicuramente un‟interpretazione ampia dell‟ambito soggettivo di applicazione della disciplina; interpretazione che aveva suscitato tuttavia, negli ambienti imprenditoriali interessati, preoccupazioni e remore tali da indurre ad una revisione del testo, nel convincimento che la surroga del "chi" con la più specifica previsione relativa agli enti e alle società fosse necessaria, ed anche sufficiente, a scongiurare il coinvolgimento nella responsabilità delle persone fisiche a cui fa capo il controllo di una pluralità di società, secondo lo schema del gruppo "a catena", ovvero secondo il modello del gruppo "a raggiera"(44). Non è sembrata tuttavia ai più ragionevole e sostenibile una soluzione esegetica tale da sottrarre il socio di controllo, o comunque la persona fisica posta al vertice della catena dei controlli, da ogni [...]
b) La discussione relativa all‟applicabilità della disciplina in punto di direzione e coordinamento di società ad enti diversi da quelli privati ha provocato, com‟è noto, un recente intervento del legislatore, d‟interpretazione autentica del disposto dell‟art. 2497 (art. 19, comma 6, d. l. n. 78/2009, convertito in l. n. 102/2009). Alla stregua di detta disposizione, per "enti" ai sensi dell‟art. 2497 s‟intendono "i soggetti giuridici collettivi diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell‟ambito della propria attività imprenditoriale, ovvero per finalità di natura economica o finanziaria". Com‟è noto, già all‟indomani della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del d. lgs. n. 6/2003, si era accesa fra gli interpreti(46) la discussione sul punto se la speciale disciplina della responsabilità del soggetto capogruppo si applicasse all‟ente pubblico detentore di partecipazioni di controllo in una pluralità di società (fattispecie che, com‟è noto, riveste nel nostro Paese una rilevante importanza pratica, in considerazione della sua diffusione nella realtà empirica). Ora, dalla citata disposizione d‟interpretazione autentica, si possono ricavare argomenti nel senso che gli enti pubblici - diversi dallo Stato - rientrano nell‟ambito di applicazione dell‟art. 2497, se ed in quanto le partecipazioni nelle società controllate siano da essi detenute in via strumentale all‟esercizio di un‟attività imprenditoriale, ovvero per finalità di carattere economico-finanziario. La medesima disposizione sancisce, in termini almeno apparentemente univoci(47), l‟estraneità dello Stato all‟ambito di applicazione della disciplina dettata dall‟art. 2497. Secondo la lettura, che allo stato sembra maggiormente accreditata, di detta disposizione, essa sarebbe da intendere come norma di esonero dello Stato dalla responsabilità per i danni inferti ai soci ed ai creditori delle società etero dirette, sancita nel comma 1 dell‟art. 2497. Il dubbio che in proposito la dottrina ha sollevato si riduce esclusivamente alla questione, se la norma di esonero riguardi soltanto lo Stato, o anche gli enti territoriali (regioni, province, comuni)(48), in ipotesi detentori di partecipazioni sociali rilevanti. Così interpretata, la [...]