Il contributo si prefigge primariamente l'obiettivo di risolvere i principali problemi interpretativi insorti in merito al perimetro soggettivo di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento introdotte dal Capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3, con l'ausilio del canone teleologico e alla luce della loro collocazione sistematica nel nostro attuale ordinamento concorsuale. Quest'ultimo è contraddistinto da un ordine di valori fortemente mutato rispetto al passato, in cui è divenuta dominante una nozione "debole" di procedura concorsuale, incentrata sull'obiettivo di consentire al debitore incapiente di accedere a soluzioni della crisi atte a determinare effetti esdebitatori e opponibili a tutti i creditori, rimanendovi subordinata la finalità di rafforzare la tutela del ceto creditorio, che ormai trova spazio in misura significativa, seppure declinante, solo nel fallimento. La nuova "concorsualità" debtor oriented supera la tradizionale contrapposizione fra imprenditori commerciali medio-grandi e non, suffragando la configurazione di plurime tipologie di procedure concorsuali, ciascuna commisurata alle caratteristiche specifiche del debitore. In questo quadro sono di norma esclusi dalle procedure di cui agli artt. 6 ss. della legge n. 3/2012 gli enti pubblici e gli enti privati non lucrativi ove siano per essi previste altre procedure concorsuali in senso "debole", mentre il favor legislativo per le prime giustifica interpretazioni estensive nel senso di ritenere che abbia facoltà di accedervi anche il socio illimitatamente responsabile di società fallibile e possa assumere la qualificare come "consumatore" pure un imprenditore. Qualche considerazione finale è dedicata alle criticità del modello in questione, che non appare aver dato sin qui buona prova in termini di efficienza.
The purpose of the contribution is primarily to solve the main interpretative problems arising in relation to the subjective scope of application of the procedures for the settlement of the over-indebted crises introduced by Chapter II of the Law of 27 January 2012, n. 3, through the teleological canon and in the light of their systematic collocation in our current insolvency order. This is characterized by an order of values strongly changed with respect to the past, in which a "weak" notion of bankruptcy procedure has become dominant, focused on the objective of allowing the debtor unable to access solutions to the crisis that could cause deficits and opposable to all creditors, remaining subordinated to the purpose of strengthening the protection of the creditor class, which now finds significant, albeit declining, space only in bankruptcy. The new debtor oriented system of collective procedures overcomes the traditional contrast between medium-large and non-commercial entrepreneurs, supporting the configuration of multiple types of bankruptcy procedures, each commensurate with the specific characteristics of the debtor. In this context, public bodies and non-profit private bodies are normally excluded from the procedures set out in Articles 6 ss. of the law n. 3/2012 and are subject to other insolvency proceedings in the "weak" sense, while the legislative favor for the first justifies extensive interpretations in the sense that it may also be accessed by the unlimited liability member of a fallible company. Some final consideration is dedicated to the critical aspects of the described model, which does not appear to have given so far good evidence in terms of efficiency.
CONTENUTI CORRELATI: procedure concorsuali - crisi dell - insolvenza del consumatore e del debitore civile - insolvency preoceedings - small business bankruptcy - consumer and personal insolvency
1. La disciplina delle crisi da sovraindebitamento: correlazioni fra inquadramento sistematico e ambito soggettivo di applicazione. - 2. Le istanze di tutela del “bisogno di concorsualità” dei debitori non fallibili prima e dopo i lavori di riforma della legge fallimentare del 2005-2007. - 3. L’ondivago iter formativo della legge 27 gennaio 2012, n. 3, e l’approdo all’attuale modello a “concorsualità differenziata”. - 4. Soggetti che possono accedere alle procedure di sovraindebitamento versus soggetti “fallibili”. Il problema dell’esistenza di ulteriori tipologie di procedure liquidatorie o di risanamento. - 5. Il nodo interpretativo della controversa nozione di “procedura concorsuale”. - 6. Enti pubblici ed enti privati non lucrativi nel “frammentato” sistema concorsuale debtor oriented. - 7. L’accesso alla concorsualità a parte debitoris del socio illimitatamente responsabile di società “fallibile”. - 8. La nozione di “consumatore” nella legge n. 3/2012 e la sua estendibilità a imprenditori e professionisti. - 9. Conclusioni sulla razionalità del nostro ordinamento concorsuale. - NOTE
Il presente contributo si prefigge l'obiettivo primario di precisare l'ambito applicativo delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento introdotte dagli artt. 6 ss. della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (novellati dall'art. 18 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in legge 17 dicembre 2012, n. 221), avvalendosi di strumenti ermeneutici di ordine sistematico e teleologico in genere non adeguatamente valorizzati in tal senso. In particolare, si affronteranno i principali problemi interpretativi sollevati dalle norme (tecnicamente mal formulate) concernenti il presupposto soggettivo di dette procedure anche alla luce della collocazione sistematica che queste hanno assunto nel nostro ordinamento concorsuale, il quale risulta ispirato da un ordine di valori fortemente mutato rispetto al passato sia in ragione dei molteplici ritocchi apportati negli ultimi anni alla legge fallimentare, sia appunto per l'avvento della legge n. 3/2012 informata a una concezione della "concorsualità" diversa da quella tradizionale. E' noto che il r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in uno con il coevo codice di procedura civile, avevano confermato il nostro tradizionale sistema "binario", fondato sulla scelta di assoggettare alle procedure concorsuali in senso proprio il solo imprenditore commerciale non piccolo, ogni altro debitore potendo subire solo procedure esecutive individuali (o al più, se entificato, procedure concorsuali in senso lato). Tale modello, che possiamo denominare a "concorsualità riservata", è invero stato messo a discussione dalla nostra dottrina in vari momenti storici (v.infra, § 2). Ma quel che intanto interessa appuntare è che, secondo una accorta catalogazione, agli inizi del terzo millennio nei paesi dell'Unione Europea poteva dirsi prevalente l'opposta tendenza di sottoporre a procedure di esecuzione concorsuale anche il debitore civile, alternativamente in conformità a uno fra i seguenti modelli basilari: 1) sottoposizione a un regime comune o molto simile a quello previsto per gli imprenditori (modello a "concorsualità uniforme assoluta"); 2) sottoposizione a un regime comune, ma con facoltà di scelta per un regime speciale di favore (modello "a concorsualità uniforme temperata"); 3) sottoposizione a un regime speciale separato da quello previsto per gli imprenditori, ma pur sempre dominato dal principio della concorsualità (modello "a concorsualità [...]
In effetti, chi conosce il dibattito storico sulla sottrazione dei debitori civili e degli imprenditori non commerciali al fallimento, particolarmente vivo prima della codificazione, ma mai sopitosi negli anni successivi, sa bene che nel secolo scorso legislatori e interpreti hanno quasi sempre discusso l'alternativa secca del mantenimento del modello tradizionale "a concorsualità riservata" (come detto confermato nel 1942) rispetto all'eventuale avvento del modello "a concorsualità uniforme assoluta". In particolar modo, durante i primi cinquant'anni di vigenza della legge fallimentare - come testimoniano i progetti di riforma elaborati dalle Commissioni Pajardi - le istanze dottrinali si erano semmai orientate nel senso di allargare l'area soggettiva della fallibilità, non certamente nel senso di restringerla. Solo a partire dalla seconda metà degli anni '90 (sulla base di suggestioni comparatistiche) sono stati prospettati i due citati modelli "intermedi", i quali hanno trovato le prime manifestazioni in alcune proposte di legge presentate nella XIII Legislatura e poi nei progetti della Commissione Trevisanato, in cui sono stati variamente riconosciuti e declinati l'esigenza di attrarre l'impresa agricola nell'orbita fallimentare e il bisogno di "concorsualità minore" del debitore civile e del piccolo imprenditore [4]. Negli anni successivi sono quindi cresciuti i consensi a sostegno dell'opzione di politica del diritto per cui i soggetti sottratti al fallimento dovrebbero poter egualmente accedere a una procedura concorsuale semplificata di tipo "premiale" e comunque con effetti esdebitatori, atta a inibire le procedure esecutive individuali promuovibili dai creditori. Una corrente di pensiero argomentava in particolare che il modello "a concorsualità differenziata" fosse quello che incontrava i maggiori favori nell'Unione Europea, e un'uniformazione allo stesso avrebbe avuto il pregio di evitare un'applicazione disarmonica rispetto agli altri paesi membri del regolamento CEE n. 1346 del 2000 sul coordinamento fra procedure di insolvenza principali e secondarie [5]. Altri sostenevano che la ravvisata diffusione del "credito al consumo" (anche in ambito nazionale), e in specie dei casi in cui il consumatore acquista beni o servizi senza dover dare garanzie reali, bensì in correlazione al suo reddito medio, imponesse - non addirittura una piena equiparazione dei consumatori e degli altri [...]
Gli ostacoli di ordine tecnico connotanti la realizzazione di modelli concorsuali realizzati tramite plurimi "segmenti normativi" (generali e speciali) probabilmente concorrono a spiegare perché le istanze volte ad appagare il bisogno di concorsualità dei debitori non fallibili, riproposte in Parlamento subito dopo la riforma della legge fallimentare, si siano stabilmente incentrate sull'obiettivo di predisporre una regolamentazione autonoma e separata, ma tendenzialmente indifferenziata per tutti i soggetti non fallibili. Nel corso della XV Legislatura era stato invero già presentato un progetto di legge (n. C.412 del 3 maggio 2006) per il <<superamento delle situazioni di sovraindebitamento delle famiglie mediante l'istituzione della procedura di concordato delle persone fisiche insolventi con i creditori>>, ai termini del quale qualunque persona fisica che si trovasse in una situazione di insolvenza o di difficoltà finanziaria temporanea e che non fosse soggetta al fallimento, purché percettore di un reddito o titolare di beni, poteva presentare una domanda per la temporanea sistemazione dei debiti contratti per i bisogni della famiglia ad un ente abilitato [16]. Nella parte iniziale della XVI Legislatura altro disegno di legge (c.d. "Centaro"), anche qui riguardante ogni soggetto sottratto alle procedure concorsuali − dunque, non solo il debitore civile, ma anche il piccolo imprenditore e l'imprenditore agricolo − purché percettore di un reddito o titolare di beni o crediti, era stato approvato dal Senato della Repubblica il 1° aprile 2009, salvo arenarsi per lungo tempo nell'altro ramo del Parlamento (con la numerazione C.2364) anche a seguito delle critiche ricevute, riguardanti sia singoli profili di disciplina idonei a far pronosticare uno scarso successo del nuovo istituto [17], sia l'opzione del legislatore di volere disciplinare unitamente insolvenza civile e insolvenza del piccolo imprenditore [18]. Nondimeno, il testo in questione, con i limitati emendamenti apportati dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nel luglio 2010 - non propriamente sufficienti a sopperire alle predette censure - veniva improvvisamente fatto confluire dal Governo nella prima parte di un decreto legge sulla giustizia civile, il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212 [19]. Ai fini della conversione il Governo aveva invero predisposto un emendamento che arricchiva [...]
Completata la ricognizione del movimento di pensiero e delle vicende concrete che hanno condotto alla versione corrente degli artt. 6 ss. della legge n. 3/2012, conviene ora svolgere una cernita dei principali problemi interpretativi concernenti l'individuazione dei soggetti legittimati ad accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (più in sintesi "procedure di sovraindebitamento"), a mente dei già cennati artt. 6, comma 1, e 7, comma 2, lett. a), per cui non può esservi ammesso colui che sia <<soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate nel presente Capo>>. Certamente in ragione di tale prescrizione possono accedere alle procedure di sovraindebitamento: a) gli imprenditori individuali e le società esercenti attività non commerciali, compresi gli imprenditori agricoli in forza della già illustrata volontà legislativa espressa nell'art. 7, comma 2-bis [36]; b) gli imprenditori individuali e le società ricadenti sotto i parametri di cui all'art. 1, comma 2, l. fall. [37], non anche quelli per cui sia carente il mero requisito processuale di cui all'art. 15 l. fall. [38]; c) le persone fisiche e le società che avevano la qualità di imprenditore commerciale dopo il decorso di un anno: c') dalla cancellazione dal registro delle imprese, fatto salvo che un creditore o il pubblico ministero dimostrino che l'effettiva cessazione dell'attività d'impresa è avvenuta in un momento successivo nelle ipotesi previste nel capoverso dell'art. 10 l. fall. [39]; c'') nel caso fosse mancata l'iscrizione nel registro delle imprese, dalla cessazione dell'esercizio dell'impresa, probabilmente comprovabile dallo stesso debitore; d) le persone fisiche prive della qualità di imprenditore, compresi i professionisti intellettuali, ordinistici e non, anche ricadenti in categorie professionali non espressamente considerate nella legge 14 gennaio 2013, n. 4, sulle "professioni non organizzate" [40]; e) le "società fra avvocati" regolamentate nel d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, in ragione dell'espressa esclusione della soggezione alle procedure di cui alla legge fallimentare operata dall'art. 16, comma 3, di tale decreto [41]; e tendenzialmente anche le nuove "società per l'esercizio della professione forense" disciplinate nell'art. 4-bis, legge 31 dicembre 2012, n. 247 - introdotto [...]
In un passato ormai remoto l'appellativo di "procedura concorsuale" era tradizionalmente riservato alle sole procedure regolamentate nella versione originaria del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in quanto accomunate da un'accezione "forte" del principio di concorsualità, caratterizzata dall'eliminazione dello stato di insolvenza del debitore e soprattutto da una tutela accentuata dei suoi creditori - se non altro comparativamente alle procedure esecutive individuali disciplinate nel codice di procedura civile - principalmente discendente dall'assoggettamento dell'intero suo patrimonio (altresì rimpinguabile mediante l'esercizio delle azioni revocatorie e di responsabilità), e dalla rigorosa applicazione del principio della par condicio [53]. Nel dibattito in materia vi era per vero la consapevolezza che tale ultimo principio, espresso con vocazione generale dall'art. 2741 c.c., designasse solo una regola di tendenza [54], declinata in differenti gradi di intensità in molteplici istituti ove deve farsi luogo alla liquidazione di un patrimonio (ad es., nella liquidazione dei patrimoni delle persone giuridiche private o delle eredità accettate con beneficio di inventario, o nella limitazione del debito dell'armatore), e all'opposto disattesa in altri (ad es., nella liquidazione delle società non insolventi), di massima a seconda che fosse stata accertata o fosse probabile una situazione di incapienza patrimoniale [55]. In quest'ottica, si ammetteva che potesse concepirsi anche una concorsualità in senso "debole", implicante puramente il divieto di azioni esecutive individuali e il perseguimento della par condicio in presenza di una situazione di insufficienza del patrimonio a soddisfare tutti i creditori, elementi appunto già ravvisabili, in ambito civilistico, nei procedimenti regolamentati negli art. 14 ss. d. att. c.c. per la liquidazione generale dei beni delle persone giuridiche, e negli art. 503 ss. c.c. per la liquidazione dei beni dell'eredità beneficiata [56]. Ma come riferito, non si riteneva dai più che questi potessero qualificarsi come "procedure concorsuali" in senso proprio. Per la verità, a partire dalla fine degli anni '70, la regola della par condicio creditorum è stata intaccata nel suo stesso ambito elettivo (della materia fallimentare) in forza delle non poche eccezioni introdotte dalle varie normative succedutesi sull'amministrazione [...]
Su queste basi, appare possibile formulare una motivata risposta circa le posizioni dubbie indicate nella parte finale del § 4. In primo luogo, atteso che la liquidazione coatta amministrativa, se non altro come modellata in linea generale negli art. 195 ss. l. fall., è annoverabile certamente fra le procedure concorsuali nel senso "debole" appena chiarito [72] - in misura più marcata laddove sia accompagnata dalla dichiarazione dello stato di insolvenza dell'impresa (dalla quale discende l'operatività delle regole sulle revocatorie fallimentari e sulle responsabilità) - non possono accedere alle procedure regolate nel Capo II della legge n. 3/2012 gli enti che vi siano soggetti in esclusiva, e fra essi segnatamente: "imprese sociali", società cooperative non aventi a oggetto un'attività commerciale, vari tipi di consorzi, oltre a banche, compagnie di assicurazione, intermediari finanziari, etc. La stessa conclusione vale rispetto agli enti pubblici esercenti imprese, che risultassero sottoposti alla liquidazione coatta amministrativa in termini conformi all'archetipo di cui agli artt. 195 ss. l. fall. Qualora invece fossero soggetti a procedure differenti per struttura ed effetti, a indirizzo liquidatorio o anche di risanamento, laddove a queste non potesse ascriversi nemmeno una connotazione concorsuale "in senso debole", poiché prive del carattere della cogenza nei confronti di tutti i creditori, si dovrebbe accordare agli enti in questione la facoltà di accedere alle procedure di sovraindebitamento. Questo esito interpretativo può non persuadere in ragione della violazione della c.d. "riserva di amministrazione", oltre che per le altre argomentazioni sopra ricordate addotte dagli interpreti che l'hanno avversato. Ma il dato normativo depone nitidamente in tal senso. E d'altronde non si può negare che il legislatore contemporaneo ha già infranto il tabu dell'ingerenza dell'Autorità giudiziaria ordinaria nella sfera di azione della Pubblica Amministrazione, laddove (come detto) ha riconosciuto che le società a partecipazione pubblica sono assoggettabili al fallimento. Venendo all'ultimo gruppo di casi controversi, deve all'inverso ritenersi che non possano accedere alle procedure da sovraindebitamento le associazioni e le fondazioni dotate di personalità giuridica, in quanto, come già evidenziato dalla dottrina più risalente [...]
Una disamina ulteriore postula il caso più spinoso e controverso, concernente la posizione del soggetto che non sia già "fallibile" in forza dell'esercizio di un'impresa individuale, ma abbia la qualità di socio illimitatamente responsabile di una s.n.c., s.a.s. o s.a.p.a., la quale sia assoggettabile a fallimento (o all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi) in quanto esercente attività commerciale e non ricadente sotto le soglie di cui all'art. 1, comma 2, l. fall. [74]. In questa ipotesi, abbiamo a che fare con un soggetto che non può essere dichiarato fallito (o insolvente) in via diretta e autonoma in forza della sua qualità di imprenditore commerciale medio-grande, ma solo "in via di estensione" in forza del disposto di cui all'art. 147 l. fall. (o degli artt. 23-25 del d. lgs. n. 270/1999, qualora la società abbia acceduto all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi). L'elemento differenziale della soggezione a fallimento solo "di rimbalzo" è stato ritenuto da alcuni di per sé solo giustificativo della facoltà per i soci illimitatamente responsabili di accedere alle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012 [75]. Altri hanno invece motivato nella stessa direzione che il requisito di inammissibilità di cui alla lett. a) dell'art. 7, comma 2 (invero nella versione precedente alla novella), logicamente dovrebbe operare solo con riferimento alle procedure "attivabili su iniziativa dello stesso debitore" [76]. Sul piano dell'interpretazione letterale, si è tuttavia replicato che nell'ambito del dato positivo corrispondente agli attuali artt. 6, comma 1, e 7, comma 2, lett. a), della legge n. 3/2012, l'elemento preclusivo dell'assoggettabilità a procedure concorsuali <<diverse>> non contempla alcuna distinzione correlata a che possa pervenirsi a queste in via diretta o meno, in via volontaria o meno [77]. E' chiaro che, se si mantiene la disputa sul piano meramente formale, non si può approdare a risultati incontrovertibili; né, come si è anticipato, in questo caso ci può aiutare la ridefinizione della nozione di "procedura concorsuale" sopra svolta nel § 5. Occorre quindi confrontare le due contrapposte interpretazioni in relazione alle conseguenze funzionali che determinano e alla loro rispondenza alle finalità perseguite dal [...]
Si è esposto nella parte finale del § 3 che, a mente dell'inciso <<anche consumatore>> riportato a esordio dell'art. 7, comma 2, appunto anche il "consumatore", per essere legittimato ad attivare la particolare procedura regolamentata negli artt. 6 ss. (favorita specie sotto il profilo che il piano non è subordinato all'approvazione dai creditori), deve rientrare nel novero dei soggetti non assoggettabili a procedure concorsuali <<diverse>> da quelle regolate nel Capo II della legge n. 3/2012. Completata nei paragrafi che precedono la ricognizione di tale area soggettiva "generale" − rilevante in proposito specie per quanto concerne il socio illimitatamente responsabile persona fisica − possiamo da ultimo approfondire i contorni della categoria "speciale" in parola, per i quali pure potrebbero manifestare una qualche utilità le considerazioni di ordine sistematico e teleologico sopra svolte. La nozione di "consumatore" assunta nell'art. 6, comma 2, lett. b), della legge n. 3/2012 appare più ristretta di quella di cui all'art. 3, comma 1, lett. d) del Codice del consumo, in quanto, oltre a prescrivere anch'essa che deve trattarsi di una persona fisica, la prima disposizione pone il selettivo requisito che le obbligazioni cui si riferisca la sua situazione di sovraindebitamento derivino esclusivamente − non più prevalentemente, come ritenuto sufficiente nel d.l. n. 212/2011 − da atti compiuti <<per scopi estranei all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta>>. Ciò implica che, a differenza che con riferimento alla nozione contemplata nel Codice del consumo, la prospettiva di giudizio non è quella del singolo rapporto, dovendosi considerare la generalità dei rapporti contrattuali intrattenuti; inoltre, non occorre indugiare sui criteri di valutazione degli atti compiuti per scopi "promiscui" o "misti" [90]. Per quanto concerne gli altri elementi della fattispecie, l'ovvia propensione a cercare ausilio nell'elaborazione svolta dagli studiosi del Codice del consumo deve confrontarsi col dato che le finalità delle due normative non coincidono, l'altra presupponendo di massima una situazione di "debolezza" fondata su uno strutturale deficit informativo nei rapporti negoziali. Ma sembra ragionevolmente estendibile al nostro attuale ambito di studio almeno la affermatasi preferenza per una [...]
L'obiettivo primario del presente contributo può dirsi essere stato conseguito nei paragrafi che precedono, ove sono esposti gli approdi interpretativi della ricostruzione svolta. Vale peraltro la pena di formulare qualche considerazione finale sulla razionalità complessiva del nostro attuale ordinamento concorsuale. Si è sopra osservato che esso risulta ormai dominato dalla nozione "debole" di procedura concorsuale di cui si è riferito al § 6, il cui minimo comune denominatore si correla all'obiettivo di prevedere soluzioni dell'insolvenza o della crisi di un soggetto giuridico contemplanti riduzioni o dilazioni dei suoi debiti ovvero effetti esdebitatori, che siano opponibili a tutti i creditori. Nella maggior parte delle procedure concorsuali tale obiettivo risulta sovraordinato alla finalità di rafforzare la tutela del ceto creditorio, fatta tuttora eccezione per il fallimento, ove tale finalità ispira un complesso di regole radicanti una forma (recessiva) di "concorsualità forte". D'altro canto, la "concorsualità" debtor oriented consta superare la tradizionale contrapposizione fra imprenditori commerciali medio-grandi e soggetti non fallibili, in quanto implica che qualsivoglia debitore incapiente possa avere accesso ad almeno una procedura concorsuale nel senso precisato, fra i vari modelli che il legislatore foggia in conformità alle sue specifiche caratteristiche ed esigenze. Se questa è la strada intrapresa, in fondo non si comprende perché non si dovrebbe in futuro giungere a creare un regime nettamente differenziato per gli imprenditori non fallibili e per i debitori civili - a prescindere dalla trasversalità della nozione di consumatore - o anche ulteriormente frammentato, ad es. con riguardo agli imprenditori agricoli. Si dubita infatti che le poche norme speciali per i primi rinvenibili nella legge n. 3/2012 siano idonee ad appagarne le esigenze, nel senso che la presenza di un'impresa avrebbe dovuto (dovrebbe) suggerire forme procedurali e istituti ad hoc, più prossimi a quelli "alternativi" al fallimento regolamentati nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ovviamente con alcune semplificazioni [99]. L'esperienza pratica sta in effetti dimostrando che molte delle regole caratterizzanti le procedure di sovraindebitamento, prevalentemente concepite a misura del debitore civile, si adattano con difficoltà alle imprese minori e alle imprese [...]