Lo studio esamina l'influenza che il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ha avuto sul diritto dell’impresa e delle società commerciali, con specifico riguardo alle s.r.l. Di particolare rilievo, fra le altre innovazioni, l’obbligo degli imprenditori e degli amministratori delle società di ogni tipo di accertarsi tempestivamente del venir meno della continuità aziendale e la novellata disciplina dell’organo sindacale nelle società di capitali: da quest’ultima dovranno trarsi significativi spunti di riflessione al fine di delineare una ricostruzione del ruolo e della funzione dei sindaci delle società per azioni e a responsabilità limitata.
This paper examines the influence that the Code of enterprise's crisis and the insolvency has upon Business and Company Law, mainly referring to the Limited Liability Companies. In particular, prominence has the duty of the entrepreneurs and directors of companies of any kind to ascertain as soon as possible a lack of going concern. And moreover the new discipline of statutory auditors of Joint Stock Companies, from which significant consideration should be drown on identifying the new role and task of statutory auditors both of the Limited Companies by Shares and the L.L.C.
KEYWORDS: limited liability company – business crisis and insolvency code – role of the statutory auditors
CONTENUTI CORRELATI: codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - società a responsabilità limitata - ruolo dei sindaci
1. Introduzione. - 2. Il dovere dell'imprenditore di predisporre un’efficiente organizzazione aziendale. - 3. Agli amministratori spetta in via esclusiva la gestione dell’attività della società, qualunque ne sia il tipo. - 4. Altre disposizioni di portata innovativa: la denunzia al tribunale e l’azione creditoria di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori. - 5. L'organo sindacale nelle s.r.l. - 6. Segue: lo status dei sindaci nelle società di capitali. - NOTE
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, emanato in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, peraltro già scaduta) detta numerose disposizioni che hanno un impatto notevole su diverse norme contenute nel Libro quinto del Codice civile. In questo scritto verranno passate in rassegna alcune di tali disposizioni, senza indulgere – anche per comprensibili motivi di spazio – in una ricognizione esaustiva della loro finalità e della loro funzione nell’ambito del diritto concorsuale, circoscrivendone piuttosto l’esame agli aspetti più propriamente attinenti al diritto dell’impresa e al diritto societario.
La principale di tali disposizioni – anche per il riferimento che ad essa vien fatto per ciascuno dei tipi societari, di persone come di capitali, previsti dal nostro ordinamento – è quella che completa, integrandolo, l’art. 2086 c.c. Per vero piuttosto banale, in sé considerata, era la definizione – recata da questa norma – dell’imprenditore, ossia del soggetto “che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” (art. 2082 c.c.), quale “capo dell’impresa” (da intendersi, in questa accezione, non come attività, bensì come struttura organizzativa articolata in forma piramidale) da cui “dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. Era, sì, l’affermazione di un potere, certo non assoluto, al quale non faceva tuttavia pendant alcun dovere espressamente considerato e legislativamente sancito. Si badi che il contenuto originario della norma in esame non era così scarno e lacunoso. Il dovere corrispondente al potere di governo dell’impresa esisteva ed era riconosciuto dalla legge: non era, però, affermato nel Codice civile del 1942, ma in un corpo normativo ad esso preesistente, sul quale la disciplina codicistica in materia di impresa si fondava e da cui traeva linfa ideale ed ispirazione. Si trattava della Carta del Lavoro del 1927, in cui si sostanziava la costituzione economica dell’ordinamento corporativo allora vigente [1], che all’art. VII, comma 2, disponeva: “L’organizzatore dell’impresa [cioè l’imprenditore, diremmo noi oggi] è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva tra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera – tecnico, impiegato od operaio – è un collaboratore attivo dell’impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità” [2]. Le vicende successive sono note: l’ordinamento corporativo è stato abrogato con il r.d.l. 9 agosto 1943, n. 721, ma non è stato sostituito, neppure nelle norme, come quella testè riportata, indiscutibili nella loro modernità per l’epoca e che nessuno, ancor oggi, [...]
Le norme novellate alle quali è stato fatto dianzi riferimento contengono però un altro elemento di estrema importanza. Invero, sia l’art. 2257, comma 1, c.c. per le società di persone, sia il susseguente art. 2475, comma 1, per le s.r.l. – al pari degli artt. 2380-bis, comma 1, e dell’art. 2409-novies, comma 1, per le s.p.a. rette rispettivamente dal modello tradizionale (a cui, sul punto, rinvia la disciplina del modello monistico) e dal modello dualistico di governance – ormai dispongono che “la gestione dell’impresa”, oltre a doversi svolgere nel rispetto della riferita disposizione dell’art. 2086, comma 2, “spetta esclusivamente agli amministratori [ossia, nel modello tradizionale, all’amministratore unico e al consiglio d’amministrazione; nel modello monistico, al solo consiglio d’amministrazione; e nel modello dualistico, al consiglio di gestione], i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale” [5]. Va detto subito, prima di entrare nel vivo della questione principale, che desta perplessità la locuzione “gestione dell’impresa” impiegata per le società – personali (art. 2257), per azioni (artt. 2380-bis e 2409-novies) e a responsabilità limitata (art. 2475) – dal momento che, se l’attività dell’imprenditore individuale non può essere che l’impresa, altrettanto non può dirsi per le società, moltissime delle quali esercitano l’impresa, ma non tutte, essendo ormai ammessa, quanto meno dalla prevalente corrente ermeneutica, l’esistenza di “società senza impresa” [6], di persone come di capitali, siano esse società di godimento dei beni sociali, specialmente immobili, o società tra professionisti (e, fra queste, la società tra avvocati, costituente un tipo autonomo di società personale), o società benefit, o società holding costituite per dare efficacia reale a patti parasociali, specialmente a sindacati di controllo o di voto, od ancora società – per azioni, questa volta – che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, aventi quale oggetto sociale la gestione, ad esclusivo beneficio dei propri soci o di loro ospiti, di servizi sportivi come campi [...]
Fra le altre modifiche che esplicano influenza sul diritto societario, con specifico riguardo alle s.r.l., spicca la reintroduzione (finalmente, è il caso di dire!) della denunzia al tribunale da parte dei soci o dell’organo sindacale [8] quando sussista il fondato sospetto di gravi irregolarità degli amministratori nella gestione della società, suscettibili di arrecare danno alla stessa o a società da questa controllate ex art. 2409 c.c. [9]. Tale ablazione, operata con la riforma societaria del 2003, aveva dato origine – come noto – a una defatigante querelle fra gli interpreti, nel corso della quale era stato, pur con molte critiche, assodato che i soci delle s.r.l. non erano più legittimati – né individualmente né qualora raggiungessero, da soli o di concerto tra loro, una determinata quota di partecipazione al capitale sociale – a sporgere la predetta denunzia, mentre parte della giurisprudenza, di merito come di legittimità, si era pronunciata per il mantenimento di questa potestà in capo all’organo sindacale, contro altra parte che aveva espresso contrario avviso. Ora l’art. 2477, ultimo comma, c.c. stabilisce expressis verbis che alla s.r.l. “si applicano le disposizioni dell’articolo 2409 anche se la società è priva di organo di controllo” (interno, ossia di organo sindacale): il che ha troncato definitivamente il dibattito sul punto. Norma alla quale fa pendant quella dell’art. 92 disp. att. e trans. del c.c. che ormai include fra le società passibili dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. – e fra essi in particolare quello concernente l’amministrazione giudiziaria – anche le società di cui al capo VII del titolo V del libro V dello stesso Codice, ossia appunto le s.r.l., a cui la predetta disposizione ha esteso la potenziale nomina di un amministratore giudiziario. Resta però ancora aperta la questione se, nelle società di questo tipo, i provvedimenti previsti dall’art. 2409 possano venire adottati anche su richiesta del pubblico ministero, come previsto – per le s.p.a. – dall’ultimo comma del suddetto articolo. In una prospettiva tradizionale, nell’ambito della quale le s.r.l. sono società chiuse, non ammesse [...]
La “telenovela” del controllo interno nelle s.r.l. si è arricchita di nuove avvincenti puntate. Dapprima è stato disconnesso, per la nomina del soggetto a cui compete il controllo interno su queste società, il collegamento con la soglia prevista dal Codice civile per la redazione del bilancio d’esercizio in forma abbreviata (art. 2435-bis, comma 1, c.c., richiamato dal previgente art. 2477, comma 3, lett. c), il quale attribuiva detta facoltà alle società non quotate che non fossero tenute alla redazione del bilancio consolidato, o che non controllassero una società obbligata alla revisione legale dei conti, o che per due esercizi consecutivi non avessero superato due dei seguenti limiti: totale dell’attivo 4.400.000 euro; ammontare dei ricavi della gestione caratteristica – vendite e prestazioni – 8.800.000 euro; numero medio di dipendenti 50 unità). Con l’avvento del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (art. 379, comma 1, lett. c) è stato fatto obbligo di nominare tale soggetto, oltre alle s.r.l. tenute alla redazione del consolidato o che controllino una società obbligata alla revisione legale dei conti, anche a quelle che abbiano superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: totale dell’attivo 2 milioni di euro; ammontare dei ricavi della gestione caratteristica – vendite e prestazioni – 2 milioni di euro; numero medio di dipendenti 10 unità (novellato comma 2 dello stesso art. 2477). La soglia dell’obbligo di nomina dell’organo sindacale, dunque, si è così notevolmente abbassata. E – ulteriore differenza – è stato disposto che l’obbligo in questione venga meno non più quando per due esercizi consecutivi non siano superati i limiti indicati dal comma 1 dell’art. 2435-bis– come sancito dal comma 4 del menzionato art. 2477, nella versione anteriormente in vigore – bensì quando nessuno dei suddetti nuovi limiti stabiliti dall’art. 2477, comma 2, cc. venga superato per tre esercizi consecutivi, con ciò introducendosi, nelle s.r.l., una meno agevole eliminazione dell’obbligo di subire il controllo interno ad opera dell’organo o del soggetto all’uopo incaricato (novellato comma 3 del medesimo articolo) [20]. Peraltro, notevoli problemi sono rimasti [...]
Le innovazioni normative suesposte, per quanto di notevole rilievo, non sono peraltro le più importanti fra quelle che interessano l’organo sindacale delle società di capitali: non solo quindi delle s.r.l., ma anche delle stesse società azionarie. Intendo riferirmi al ruolo che, in virtù delle disposizioni del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, i sindaci hanno assunto nell’organizzazione societaria e al loro stesso status giuridico. Com’è noto, specie in un passato non molto recente, era stato assai dibattuto il ruolo del collegio sindacale (l’idea del sindaco unico era ancora di là da venire) nelle società di capitali. Qual era – si chiedevano gli interpreti – l’interesse tutelato dal collegio sindacale? E, a seconda della risposta che si opinasse dare a tale quesito, ne risultavano affermate una funzione piuttosto che un’altra dell’organo e una qualificazione soggettiva piuttosto che un’altra dei suoi componenti. A fronte di una dottrina tradizionale un tempo largamente condivisa – ma ora decisamente superata – la quale sosteneva che i sindaci tutelassero gli interessi della maggioranza della compagine sociale, dalla quale promana la loro nomina, v’era chi attribuiva ad essi una funzione di garanzia dei soci di minoranza attraverso la vigilanza sull’operato degli amministratori, che sono espressione della maggioranza (Galgano). Altri autori configuravano, a fianco della tutela dell’interesse sociale, una funzione di tutela di interessi diversi – extrasociali – e fra questi specialmente dei creditori (De Gregorio, Greco, Graziani, Colombo) o addirittura di salvaguardia del pubblico interesse ad una corretta gestione societaria e ad un soddisfacente funzionamento del sistema economico complessivamente considerato (Mossa, Frè, Portale), fino ad intravvedere nel controllo sindacale una funzione di generale tutela di tutti i terzi comunque interessati alle sorti della società (Franceschelli). Non mancava inoltre una corrente più estrema che si era spinta al punto di considerare talora legittima e doverosa un’azione del collegio sindacale volta a garantire interessi perfino contrastanti con quelli dei soci, nell’intento di assicurare ad ogni costo il comportamento giuridico della società (ancora Graziani e, dopo di lui, [...]