Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Dall'impresa gerarchica alla comunità distribuita (di Guido Smorto)


Questo saggio offre una panoramica sulle nuove forme di produzione collaborativa, ossia su quei sistemi decentrati di organizzazione produttiva, alternativi tanto al mercato quanto all'impresa, in cui una comunità di soggetti non legati tra loro, con motivazioni diverse e spesso non economiche, conferisce il proprio apporto alla definizione ed al compimento di un dato progetto finalizzato alla creazione di beni comuni (commons) in un regime aperto di accesso alle risorse (es. open software, open hardware, ecc.).

Dopo aver ripercorso la letteratura sui rapporti tra scambio di mercato e impresa gerarchica e sui costi connessi alle diverse alternative istituzionali, il saggio descrive le principali modalità di funzionamento che, pur nell'irriducibile diversità della prassi, ricorrono nell'architettura della produzione collaborativa, ed offre una spiegazione delle ragioni della loro sostenibilità economica.

L'ultima parte propone una prima riflessione sulle ricadute che l'innovazione organizzativa in atto determina sulle regole giuridiche e sui sistemi di governance.

This article describes the emergence of collaborative production systems, that is those decentralized systems, different from markets and firms, where a community a loosely connected people, with a range of diverse and primarily intrinsic motivation, engage in a large scale collaboration whose outputs are governed as commons (e.g. open software, open hardware, etc.).

After a description of the relationship between market system and managerial hierarchy, and the costs connected to each of these systems, the article exposes how peer production is usually organized and identifies the relative advantages of this organizational model over markets and firms under given circumstances.

In the last part, the author makes a first attempt to describe the effects of the ongoing organizational innovation on law and governance.

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. I modelli tradizionali di produzione e scambio: il mercato e l’impresa gerarchica - 3. Costi transattivi e impresa - 4. L’impresa nel Novecento - 5. La disintegrazione verticale e le forme organizzative "ibride" - 6. (segue). Disintegrazione verticale e modelli teorici di spiegazione - 7. Identificazione e allocazione del capitale umano - 8. Modularità dei contributi e forme di coordinamento e controllo - 9. L’appropriazione dei benefici - 10. (segue). La conoscenza tacita - 11. Motivazioni intrinseche, motivazioni estrinseche e crowding-out - 12. Come ripensare le organizzazioni in chiave cooperativa - 13. L’innovazione aperta - 14. Il diritto e le nuove forme di produzione - 15. La proprietà intellettuale ed i constructed commons - 16. Il diritto dei contratti tra allocazione del rischio e governo dell’incertezza - 17. Il diritto societario - 18. Le nuove forme del lavoro on line - 19. Autoregolazione, risoluzione dei conflitti e soft law - 20. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione.

Con l'espressione <<produzione collaborativa>> intendiamo riferirci a quei sistemi decentrati di organizzazione produttiva, alternativi tanto al mercato quanto all'impresa, in cui una comunità di soggetti non legati tra loro, con motivazioni diverse e spesso non economiche, conferisce il proprio apporto alla definizione ed al compimento di un dato progetto finalizzato alla creazione di beni comuni (commons) in un regime aperto di accesso alle risorse.[1] Caratteristiche peculiari della produzione collaborativa sono la centralità di forme di contribuzione di tipo volontario, l'autoselezione dei compiti da svolgere e dei contributi da offrire, forme di controllo e di organizzazione autogestite e la condivisione dei risultati al di fuori delle regole di esclusiva del contratto e della proprietà. Gli esempi di maggior successo riguardano l'open software (Linux), l'open hardware (Arduino) ed in generale l'economia dell'informazione (Wikipedia), ma molti osservatori considerano la produzione collaborativa un modello organizzativo passibile di applicazioni significative ben al di fuori di questi confini.[2] L'espressione inglese più diffusa per descrivere il fenomeno è commons-based peer production o, semplicemente, peer production[3] ma in letteratura esistono molte altre formule utilizzate per rappresentare la stessa gamma di fenomeni:crowdsourcing, distributed manifacturing, collaborative (software) development model, gift economy, global commons ed altre. Questo saggio intende offrire una panoramica sulle forme di produzione collaborativa, descriverne le caratteristiche salienti, proporre una spiegazione delle ragioni della loro sostenibilità economica, e soprattutto avviare una prima riflessione sulle ricadute dal punto di vista delle regole giuridiche e dei sistemi di governance. Il saggio si divide in tre parti. Nella prima ripercorreremo la letteratura sui rapporti tra scambio di mercato e impresa gerarchica e sui costi connessi alle diverse alternative istituzionali, per poi indagare l'innovazione organizzativa in atto negli ultimi decenni, di cui la produzione collaborativa rappresenta uno degli esempi più significativi. Nella parte centrale ci dedicheremo a descrivere le principali modalità di funzionamento che, pur nell'irriducibile diversità della prassi, ricorrono nell'architettura della produzione collaborativa, e di comprendere quali siano i vantaggi di questo [...]


2. I modelli tradizionali di produzione e scambio: il mercato e l’impresa gerarchica

In un'economia di mercato l'allocazione delle risorse avviene in base all'incontro di domanda e offerta ed al meccanismo dei prezzi. Essa è il frutto della <<mano invisibile>> del mercato, ossia della molteplicità delle scelte individuali e decentrate degli agenti economici realizzate attraverso gli scambi, in assenza di qualsiasi tipo di pianificazione, coordinamento o controllo accentrato. L'allocazione delle risorse non avviene, tuttavia, solamente attraverso il mercato. Insieme alla <<mano invisibile>> della metafora smithiana esiste anche la <<mano visibile>> dell'impresa.[4] Una quota significativa delle attività economiche si svolge, infatti, all'interno delle imprese, dove a decidere il flusso delle risorse sono le scelte dell'imprenditore, <<isole di potere consapevole in un oceano di cooperazione inconsapevole, come grumi di burro in un mare di latte>>.[5] Mercato e impresa sono, dunque, strumenti alternativi di coordinamento della produzione: all'esterno dell'impresa ad organizzare la produzione è il movimento dei prezzi derivante dall'incontro di domanda e offerta; al suo interno, sono le scelte dell'imprenditore. Se così è, per ottenere una qualsiasi risorsa l'alternativa che si pone è o produrla all'interno dell'impresa o rivolgersi al mercato, <<make or buy>>. Si tratta di comprendere quando e perché prevale l'una o l'altra. La risposta a tale questione, a lungo rimasta priva di soluzione, è stata formulata per la prima volta da Ronald Coase in un famoso saggio sulla <<natura dell'impresa>>.[6] Ciascuna delle due opzioni - afferma Coase - comporta dei costi. I costi legati all'organizzazione di impresa riguardano la gestione ed il coordinamento centralizzato delle attività di produzione, scambio e distribuzione delle risorse; i costi del mercato sono quelli connessi alla definizione ed all'esecuzione dello scambio. Poiché tanto l'impresa quanto la transazione di mercato implicano dei costi, l'adozione dell'uno o dell'altro modello di organizzazione è molto rilevante ed i soggetti economici tendono ad adottare la forma (organizzativa o contrattuale) che minimizzi i costi di transazione, ossia i <<costi di funzionamento del sistema economico>>.[7] Questa descrizione del mercato e dell'impresa come modelli alternativi di organizzazione della produzione, il cui [...]


3. Costi transattivi e impresa

Prendendo le mosse dal lavoro seminale di Coase, la letteratura ha iniziato ad esaminare le transazioni economiche, cercando di comprendere in che modo i rapporti tra gli agenti economici siano regolati attraverso organizzazioni gerarchiche o contratti e quali siano le circostanze che influenzano i costi di ciascuna scelta. Si è aperto così, soprattutto a partire dagli anni Settanta del Novecento, un ricco filone di studi sulle diverse forme organizzative e sulle variabili che determinano la scelta tra <<acquistare o fabbricare>> una data risorsa. Gli studi di economia dei costi di transazione[13] e quelli di economia dei contratti[14] hanno contribuito, per un verso, a raffinare e qualificare definizioni e limiti della distinzione netta tra mercati e gerarchie; per altro verso, ad elaborare una compiuta teoria sui meccanismi di governo della transazione economica. La ragione principale, individuata da questi studi, che rende costosa la transazione di mercato è l'opportunismo degli agenti economici. Se non ci fossero comportamenti opportunistici le imprese non esisterebbero neppure: <<contracting would be ubiquitous in the face of nonopportunism>>.[15] In assenza di opportunismo, infatti, i costi del mercato sarebbero trascurabili rispetto a quelli dell'organizzazione gerarchica dell'impresa. Il problema dello scambio di mercato è, dunque, principalmente una questione di opportunismo. Se questo rischio è sempre presente nelle transazioni di mercato, alcune circostanze rendono il pericolo di comportamenti opportunistici molto elevato. La frequenza degli scambi, il livello di incertezza e soprattutto la specificità degli investimenti effettuati in vista dell'esecuzione del contratto aumentano il rischio che le parti tengano comportamenti opportunistici, innalzando così i costi e mettendo a repentaglio accordi altrimenti vantaggiosi. In particolare, la questione degli investimenti specifici occupa un posto fondamentale nell'analisi delle forme di organizzazione. Un investimento è considerato <<specifico>> se il suo valore al di fuori del particolare impiego cui è stato originariamente destinato - c.d. <<valore di recupero>> - sia molto più basso di quello originario. L'investimento può riguardare tanto il capitale fisico (ad esempio, la costruzione di macchinariad hoc) quanto il capitale umano (ad esempio, la [...]


4. L’impresa nel Novecento

L'analisi della grande industria del Novecento sembrerebbe confermare la bontà di questo modello teorico ed offrire una spiegazione convincente delle ragioni del successo dell'impresa integrata verticalmente tipica della produzione di massa, la quale ha modificato radicalmente l'organizzazione produttiva negli ultimi centocinquant'anni.[16] Se è vero che il mercante veneziano del quindicesimo secolo non avrebbe avuto difficoltà a comprendere l'organizzazione produttiva dell'imprenditore di Baltimora nel 1790[17], tutto cambia a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Da quel momento, la piccola impresa familiare che si rivolgeva al mercato per ottenere le materie prime e vendere i propri prodotti inizia inesorabilmente a declinare, soppiantata in termini di efficienza dalla grande impresa che assorbe queste funzioni al proprio interno. La letteratura economica ha offerto una sofistica cornice teorica a questa evoluzione storica ed ha dimostrato la superiorità in termini di efficienza - ossia di minimizzazione dei costi transattivi - dell'impresa integrata. L'integrazione verticale - spiega la teoria economica - è stata la risposta alle elevate necessità di investimento che una produzione di massa e le connesse economie di scala impongono. Ed infatti, all'incremento degli investimenti specifici richiesti dalle economie di scala realizzatesi nel corso del Novecento in molti settori industriali - dall'automobile all'agroalimentare - ha corrisposto, sul piano organizzativo, un massiccio fenomeno di integrazione verticale.[18] Forte di questa ricostruzione, la storia dell'industria del Novecento, soprattutto di quella nordamericana, diviene la spiegazione del successo stesso di un modello, e l'esempio del mercato dell'automobile negli anni Venti è oggi un classico della letteratura economica che illustra le ragioni di questo cambiamento epocale.[19] A complemento di un'analisi basata sui costi transattivi, la traiettoria verso forme di integrazione è stata talvolta spiegata anche in base ai meccanismi di trasmissione della conoscenza che essa veicola. La scelta del modello organizzativo - si osserva - trasforma non solamente i rischi di comportamenti opportunistici, ma anche il modo in cui le conoscenze di ciascuno degli agenti sono trasmesse e scambiate, e modella di conseguenza i meccanismi di apprendimento e sviluppo dell'informazioni acquisite.[20] Nel contratto diritti e [...]


5. La disintegrazione verticale e le forme organizzative "ibride"

A partire dagli anni Ottanta del Novecento, tuttavia, il modello di impresa di grandi dimensioni, che ha dominato l'era della produzione di massa, entra in crisi. E' in atto, oramai da qualche decennio, una decisa tendenza alla disintegrazione verticale. In molti settori industriali si affermano imprese di dimensioni minori e specializzate, le quali organizzano la propria attività attraverso accordi di varia natura con soggetti esterni. Sempre più spesso all'integrazione verticale si sostituiscono forme <<ibride>> di organizzazione caratterizzate da forme di coordinamento tra soggetti in competizione tra loro. Queste circostanze contrastano con le teorie convenzionali sui rapporti tra mercato e impresa ed impongono un ripensamento dell'impostazione tradizionale.[23] Innanzitutto, l'integrazione verticale non appare più il punto terminale di un processo verso forme più efficienti in assoluto, una sorta di <<fine della storia>> applicato al mondo dell'impresa, come talune letture sembravano suggerire, ma il frutto di contingenze storiche ben determinate legate ad un recente passato. Le differenti forme organizzative, al contrario, rispondono in modo flessibile all'ambiente circostante e si modificano di conseguenza: si affermano in un dato momento storico e mutano o scompaiono al mutare dei fattori esterni. D'altra parte, si prende atto che la lettura binaria dei modelli di produzione e scambio, articolata sulla dicotomia impresa - contratto, non rende conto della complessità del reale e si denuncia la rigidità di un'analisi che manca di cogliere organizzazioni non riconducibili a questa diade. La riflessione teorica ha oramai preso atto di questo mutamento e si è sforzata di ridefinire i modelli che descrivono le tipologie organizzative della produzione. Per un verso, si mette in discussione l'esistenza di una chiara e biunivoca corrispondenza tra particolari costi transattivi e date strutture organizzative, che l'economia dei costi di transazione aveva tracciato. La risposta ai problemi relativi a singoli costi transattivi non è univocamente individuata in una data organizzazione ma in un ventaglio di alternative. Non esistono conclusioni universali: il peso di ciascuno dei differenti metodi di coordinamento della produzione e dello scambio cambia da settore a settore e da impresa a impresa.[24] Per altro verso, si mette in luce come le alternative non siano [...]


6. (segue). Disintegrazione verticale e modelli teorici di spiegazione

Se le diverse interpretazioni concordano tutte nell'affermare che i cambiamenti in atto siano da ricondurre principalmente al clima di incertezza derivante dall'accelerazione tecnologica degli ultimi anni, esse divergono nell'identificare le connessioni tra progresso tecnologico e disintegrazione.[28] Vediamo allora brevemente quali spiegazioni sono state offerte in letteratura per illustrare i mutamenti di questi decenni. Una prima tesi si focalizza sulle trasformazioni nelle modalità produttive delle imprese ed, in particolare, sull'insorgenza di nuove forme di produzione di tipo <<modulare>>.[29] Attraverso produzioni per <<moduli>> le imprese sarebbero in grado di ridurre in misura significativa la quantità di investimenti specifici, ossia di investimenti produttivi solamente all'interno di un singolo rapporto, a favore di investimenti in grado di trovare impieghi produttivi anche al di fuori del rapporto originario. L'impresa che effettua l'investimento (non più specifico) si sottrae al monopolio della controparte e si affranca dal rischio di comportamenti opportunistici, ben potendo destinare le risorse ad altro impiego nel caso di rottura del rapporto con la controparte. La riduzione complessiva degli investimenti specifici modera il rischio di opportunismo e la conseguente necessità di integrazione verticale: non è più necessaria un'unica impresa ma è sufficiente concludere accordi con soggetti esterni. In questa cornice, la collaborazione tra soggetti diversi sarebbe favorita dalla sostanziale riduzione della quantità di informazioni necessarie al fine di instaurare una collaborazione tra imprese grazie allo sviluppo di standard produttivi adattabili ad una pluralità di contesti. Altre spiegazioni, non necessariamente in contrapposizione alla prima, investono più direttamente gli strumenti di governance. Un importante filone di studi riprende, valorizzandola, la tradizione teorica dei cosiddetti <<contratti relazionali>> (relational contract).[30] Mentre nel diritto contrattuale tradizionalmente inteso le modifiche necessarie per adeguare l'accordo alle sopravvenienze intervenute dopo la conclusione del contratto si fondano esclusivamente sulle clausole sottoscritte ed incluse nell'accordo, nel contratto relazionale il punto di riferimento esclusivo non è più solamente il contratto concluso e formalizzato ma l'intera [...]


7. Identificazione e allocazione del capitale umano

Come abbiamo detto in apertura, la produzione collaborativa è un sistema decentrato di organizzazione produttiva, alternativo al mercato e all'impresa, in cui una comunità di soggetti non legati tra loro conferisce il proprio apporto creativo alla definizione ed al compimento di un dato progetto, in regime di accesso alle risorse aperto alla comunità, secondo la logica dei commons ed in assenza di forme di appartenenza esclusiva. Tra le sue caratteristiche peculiari, un ruolo centrale rivestono i modi di contribuzione, contraddistinti dall'autoselezione dei compiti da svolgere e dei contributi da offrire. Un primo aspetto relativo all'efficienza della produzione collaborativa riguarda proprio l'identificazione e l'allocazione delle informazioni relative al capitale umano a disposizione, ossia all'insieme di conoscenze che contribuiscono al lavoro produttivo. Anzi, la ragione principale per cui le nuove forme collaborative godono talvolta di un vantaggio in termini di efficienza risiede proprio nella maggiore efficacia nel raccogliere e processare queste informazioni.[34] Vediamo perché. Impresa e mercati risolvono il problema dell'informazione necessaria per decidere le azioni da intraprendere, rispettivamente, attraverso l'ordine gerarchico dell'imprenditore ed il sistema dei prezzi. La produzione collaborativa, al contrario, si basa su un modello decentrato di raccolta delle informazioni, basato sull'autonoma identificazione, da parte di ciascuno dei contributori, dell'apporto creativo che è in grado di dare al progetto comune. È la persona stessa che offre il proprio contributo al progetto ad identificare il compito da assolvere, in modo del tutto autonomo ed al di fuori di qualsiasi ordine gerarchico o incontro di domanda e offerta. Questo crea un vantaggio rispetto ai modelli di produzione tradizionali sotto almeno due profili, entrambi legati alla variabilità del capitale umano ed al suo carattere disperso: l'identificazione della creatività individuale e la sua allocazione. Sotto il profilo dell'identificazione del capitale umano, il vantaggio deriva dalla circostanza che il contributore è colui che possiede la migliore informazione su quali compiti sia in grado di svolgere, sulle motivazioni che lo spingono e sull'individuazione di quale possa essere il modo migliore di contribuire al progetto comune. L'autoidentificazione delle capacità individuale è [...]


8. Modularità dei contributi e forme di coordinamento e controllo

Il descritto principio di autorganizzazione, immanente al sistema decentrato di contribuzione individuale che sta alla base della produzione collaborativa, comporta però l'insorgenza di costi connessi al coordinamento delle attività ed all'individuazione di meccanismi efficienti di integrazione dei contributi nel prodotto finale. L'efficienza di un modello di produzione collaborativa dipende, pertanto, dalla capacità di progettare strumenti di coordinamento efficienti, pur in assenza di un sistema di prezzi o di ordini gerarchici.[36] Rimane da verificare, in altre parole, in che modo i contributi prodotti autonomamente dai singoli possano essere combinati in vista del risultato finale e come questo possa modificare l'efficienza complessiva del modello in esame. I meccanismi di integrazione devono svolgere due compiti: verificare la qualità dei contributi (per evitare giudizi erronei da parte dei diretti interessati o tentativi di sabotaggio) e armonizzare i contributi in un prodotto finale. Gli strumenti utilizzati per filtrare e combinare i contributi individuali - c.d. microtask aggregator- sono generalmente riconducibili ad alcuni tipi ricorrenti: forme automatizzate di integrazione gestite attraverso software; verifiche basate su forme di controllo <<diffuso>> tra pari (peer review); forme limitate di controllo gerarchico; norme sociali condivise; ovvero, più spesso, una combinazione di tutti questi metodi.[37] Il coordinamento dei contributi non dipende, tuttavia, solamente da strumenti di verifica ex postma anche da un divisione ex ante dei compiti e dalla corretta strutturazione delle modalità di contribuzione richieste ai singoli agenti: occorre, pertanto, progettare i compiti da assegnare in modo da poter tollerare contributi volti a danneggiare il progetto o semplicemente di bassa qualità, ad esempio introducendo sistemi di verifica peer to peer[38] o prevedendo contributi in eccesso rispetto a quelli necessari.[39] A questo proposito, una caratteristica essenziale dei progetti collaborativi consiste nella <<modularità>> dei contributi.[40] Con questa espressione si fa riferimento alla capacità di un certo progetto di essere parcellizzato in componenti ridotti, o <<moduli>> appunto, eseguibili da soggetti disparati in tempi diversi: tali cioè da poter essere prodotti in momenti e luoghi separati da persone con capacità [...]


9. L’appropriazione dei benefici

Le nuove forme della produzione di tipo collaborativo non sono fondate sull'esclusiva proprietaria dei risultati ottenuti ma sulla condivisione e sullo sfruttamento in comune di saperi, competenze e capacità. Questa modalità si pone in netto contrasto con il modello tradizionale di governo dell'impresa e di scambio di mercato, in cui le forme di conoscenza rilevanti nell'organizzazione produttiva sono da sempre progettate attorno alla proprietà intellettuale (brevetti, marchi,copyright) ed alle forme di disponibilità ad esse connesse (cessione definitiva della titolarità e attribuzione del diritto d'uso di ampiezza variabile). Come abbiamo visto, la conoscenza è per natura un bene non rivale e non escludibile: la sua fruizione non diminuisce l'ammontare della risorsa disponibile e la sua diffusione è di per sé priva di barriere che ne consentano l'esclusione degli utilizzatori.[43] Come tutti i public goods, la conoscenza va incontro ad un problema di offerta, dovuta alla mancanza di incentivi a produrla. Per questa ragione - insegna la teoria economica - è necessario istituire forme di appropriazione di tipo proprietario (ovvero di remunerazione pubblica).[44] In assenza di uno strumento giuridico del genere - si osserva comunemente - il bene informazione potrebbe essere oggetto di appropriazione da parte di chiunque e, di conseguenza, gli investimenti in ricerca e la produzione di informazione sarebbero subottimali, a causa del disallineamento che si verrebbe a creare tra valore individuale per il creatore e valore sociale dell'informazione. La ragione che presiede alla creazione di diritti di proprietà intellettuale sull'informazione è, dunque, che l'attribuzione di prerogative proprietarie consente l'appropriazione dei benefici dell'informazione da parte di colui che l'ha prodotta. In sintesi, i diritti di proprietà intellettuale servono ad internalizzare i benefici della conoscenza e, consentendone l'appropriazione e lo scambio, ad incentivare un livello efficiente di produzione di informazione. La stessa analisi economica, tuttavia, ha messo in luce come la creazione di diritti di proprietà intellettuale sconti alcuni problemi legati al monopolio temporaneo che deriva dall'attribuzione della privativa. Dal punto di vista dell'efficienza, infatti, l'informazione dovrebbe circolare ogni qual volta il fruitore le attribuisca un valore superiore al [...]


10. (segue). La conoscenza tacita

Una delle ragioni che inducono a rivedere l'efficienza dei modelli di apprendimento e di conoscenza di tipo proprietario riguarda proprio la definizione di mezzi efficaci di trasmissione di quelle forme di conoscenza c.d. <<tacita>>. Tanto l'impresa gerarchica quanto lo scambio di mercato richiedono un certo livello di formalizzazione dell'informazione, al fine di stabilire un prezzo o di precisare una decisione gerarchica all'interno dell'impresa. Questo processo di standardizzazione necessario nelle forme di governance tradizionali si fonda su una stretta definizione del proprio oggetto in funzione di controllo, basato su un sistema di privative imperniato su contratto e proprietà. Alcune forme di conoscenza, tuttavia, sono tacite, variabili in relazione al contesto e al settore in questione, e come tali difficilmente codificabili. Possono essere apprese e trasmesse solamente attraverso esperienze personali.[57] Le clausole di un contratto o le forme di appropriazione basate sulla proprietà intellettuale si prestano poco ad inglobare queste forme di conoscenza non verbalizzabili e trasmissibili solamente attraverso l'interazione personale.[58] La difficoltà di codificare talune conoscenze, e l'inevitabile incompletezza dei contratti che hanno ad oggetto la produzione e lo scambio di conoscenze di tipo tacito e idiosincratico (come quelle legate ai processi di innovazione tecnologica), creano il rischio di comportamenti opportunistici.[59] Quand'è così, il ricorso a contratto e proprietà può comportare la perdita di alcuni tratti essenziali della conoscenza e risultare inadeguato.[60] Al contrario, un sistema di governance che, facendo a meno di contratto e proprietà, evita i processi di formalizzazione dell'informazione, può rivelarsi più efficiente, poiché in grado di mantenere una maggiore ricchezza informativa. Uno dei potenziali vantaggi della peer production è proprio la capacità di incorporare efficacemente forme <<incontractible>> di conoscenza, ossia di quella conoscenza difficile da apprendere e da trasmettere perché tacita e spesso dispersa tra molti individui diversi.


11. Motivazioni intrinseche, motivazioni estrinseche e crowding-out

Rimane da spiegare quale sia il sistema di incentivi alla base di questo modello di produzione e da chiarire perché le persone forniscono il proprio contributo ad un progetto, pur non essendo generalmente remunerate e non potendosi appropriare poi dei benefici del proprio lavoro attraverso i contratti e l'esclusiva proprietaria. Il modello di incentivazione rappresenta, dunque, uno degli snodi fondamentali per definire l'efficienza della produzione collaborativa. Generalmente si distinguono motivazioni di tipo estrinseco e motivazioni di tipo intrinseco, dove per <<estrinseca>> si intende una ragione esterna e diversa dal semplice compimento dell'azione (ad esempio, una ricompensa in denaro o forme di remunerazione indiretta), mentre <<intrinseca>> è la motivazione che consiste nel puro desiderio di compiere l'azione in questione (c.d. hedonic gain).[61] Volendo in questa sede schematizzare una letteratura amplissima, possiamo dire che esistono almeno tre diversi tipi di incentivi: i primi due legati a motivazioni di tipo estrinseco; il terzo a motivazioni di tipo intrinseco. In primo luogo, possono esistere forme di remunerazione diretta in denaro. A differenza di quanto accade nelle organizzazioni tradizionali, tuttavia, le modalità di produzione di tipo collaborativo fanno ricorso alla remunerazione diretta solo in misura residuale. Molto più importanti sono gli altri due tipi. Innanzitutto, si fa riferimento alle forme di appropriazione <<indiretta>> che queste modalità di produzione possono garantire ai singoli contributori: esistono diversi meccanismi attraverso i quali gli agenti si appropriano dei risultati dei propri sforzi anche al di fuori dei tradizionali strumenti proprietari e contrattuali. Il più studiato è forse la reputazione, ossia la crescita del capitale relazionale ed i connessi potenziali guadagni futuri che il credito acquisito comporta (ad esempio, attraverso la prospettiva di contratti di consulenza o di offerta di servizi personalizzati a pagamento derivati da risorse open source).[62] Una spiegazione complementare punta, invece, su motivazioni intrinseche, slegate da vantaggi, diretti o anche indiretti, di tipo economico e consistenti nel puro piacere di compiere una certa azione, senza che questa sia finalizzata ad obiettivi ulteriori rispetto all'azione in sé. A dispetto delle prime spiegazioni che riconducevano alle sole [...]


12. Come ripensare le organizzazioni in chiave cooperativa

Uno dei vantaggi della produzione collaborativa è considerato proprio la capacità di operare in assenza di un sistema formalizzato di premi e punizioni - i proverbiali <<bastone e carota>> utilizzati dalle istituzioni tanto di mercato quanto di controllo - e di fare affidamento in misura significativa su motivazioni di tipo intrinseco. Così facendo, la produzione collaborativa fonda la propria architettura su un modello antropologico maggiormente articolato rispetto all'agente razionale massimizzatore egoistico delle proprie utilità e coglie meglio la complessità della natura umana, gettando le basi per un modello più promettente di organizzazione. Se le motivazioni che spingono le persone ad agire sono molteplici, estrinseche ma anche intrinseche, le istituzioni che si affidano solamente ad un sistema di incentivi e punizioni offrono stimoli insufficienti e talvolta persino fuorvianti, poiché si basano su una descrizione semplificata della natura umana e non tengono conto degli effetti negativi di un modello organizzativo così polarizzato.[69] Con il mutare del modello antropologico dell'agente razionale si trasforma, dunque, anche il modo di disegnare le istituzioni. Molti degli studi condotti in questi anni, infatti, hanno determinato un ripensamento profondo non solamente delle modalità dell'agire umano ma, parallelamente, dei modelli istituzionali. Le prescrizioni per una definizione delle organizzazioni in chiave collaborativa non sono ancora articolate in modo organico e compiuto ma molte osservazioni importanti stanno emergendo, e con esse la possibilità di offrire strumenti di riflessione per riorganizzare le istituzioni in modo da riflettere la reale complessità della natura umana. La questione è quella di disegnare modelli di incentivazione che favoriscano un sistema di motivazioni di tipo tanto estrinseco quanto intrinseco e che consentano a spinte diverse di coesistere. Cominciano così ad delinearsi forme inedite di design istituzionale delle istituzioni cooperative. A seconda delle circostanze, dei luoghi e dei contesti, le persone agiscono in modo egoistico o cooperativo. Studi di laboratorio hanno dimostrato che le persone sono inclini alla collaborazione se inserite in un contesto istituzionale favorevole ed hanno testato l'efficacia di tecniche volte a favorire modelli di comportamento cooperativo. Diversi esperimenti mostrano [...]


13. L’innovazione aperta

In chiusura di questa seconda parte, ci soffermeremo brevemente sui procedimenti di innovazione tipici delle nuove forme di produzione collaborativa. L'affermarsi di modalità collaborative non riguarda, infatti, solamente la produzione di beni e servizi ma anche l'attività di ricerca e sviluppo. Si parla, a questo proposito, di <<open innovation>> ovvero, con espressioni simili, di co-design, collaborative innovation, co-creation, proprio per distinguere questi fenomeni nuovi dalle forme di innovazione che si sviluppano all'interno dell'impresa tradizionale. Le espressioni community of practices[76] o epistemic community[77]  identificano modalità di produzione, diffusione e condivisione dell'informazione di tipo cooperativo, caratterizzate dalla centralità di vincoli di tipo sociale (social bonds). Nel ventesimo secolo l'innovazione è stata prevalentemente legata alla figura del produttore e si è svolta in misura pressoché esclusiva all'interno dell'impresa.[78] In periodi di relativa stabilità, del resto, l'impresa trova conveniente sviluppare un proprio patrimonio di conoscenze attraverso attività di ricerca svolte all'interno dell'azienda. Le conoscenze acquisite costituiscono un valore che l'impresa protegge dalle imprese concorrenti attraverso le tecniche proprietarie della proprietà intellettuale (o del segreto industriale). Rispetto al passato, tuttavia, la crescente complessità delle nuove tecnologie e il tasso di innovazione rendono oggi estremamente difficile il compito di un'impresa che voglia affrontare da sola l'innovazione in un mercato competitivo. Quando l'innovazione è continua, le attività di ricerca e sviluppo all'interno di un'impresa, indipendentemente dalle dimensioni della stessa, rischiano di essere insufficienti e le conoscenze di divenire obsolete in un arco di tempo anche molto breve. L'incertezza sugli scenari futuri rende necessari continui processi di apprendimento, assimilazione, rielaborazione e adattamento al contesto di destinazione. In casi del genere, l'acquisizione di competenze è garantita in modo più efficace attraverso l'apertura di canali esterni e la collaborazione con una molteplicità di soggetti in una logica di tipo collaborativo.[79] Proprio in contesti di conoscenza tacita e dispersa, come spesso accade con riferimento alle abilità legate all'innovazione [...]


14. Il diritto e le nuove forme di produzione

Se la teoria economica, stretta nella distinzione tra impresa gerarchica e contratto tra parti indipendenti ed autonome, fatica a catturare le specificità delle nuove forme ibride di organizzazione, anche il diritto non sempre offre schemi adeguati per regolare i nuovi modelli di produzione e scambio. Le ragioni di questa difficoltà sono molte, su tutte l'informalità delle organizzazioni e la varietà delle soluzioni ideate dalla prassi. Il primo aspetto investe la mancata formalizzazione dei nuovi assetti, non definiti - almeno, non integralmente - in accordi contrattuali o in soggetti dotati di personalità giuridica. Molto spesso, infatti, le regole formalmente applicabili alla produzione collaborativa, come del resto alle altre organizzazioni ibride, rimangono sulla carta e i meccanismi di enforcement sono lasciati a strumenti di autogoverno difficilmente catturabili. Il tasso di formalizzazione dei nuovi soggetti varia sensibilmente in funzione del potenziale di opportunismo e di fiducia: in un ambiente dove la fiducia è alta e il rischio di opportunismo contenuto, infatti, i rapporti di cooperazione si fondano in larga parte su legami informali, anche di tipo personale, e la sanzione reputazionale sostituisce quella giuridica. Un secondo punto riguarda la varietà di soluzioni accolte dalla prassi. Gli assetti che emergono da una mappatura delle pratiche collaborative sono mutevoli e di difficile collocazione entro le categorie tradizionali. Le strutture organizzative sono molto più flessibili che in passato e sensibili al contesto: rispondono in modo variabile alla proiezione temporale dell'attività da svolgere, al grado di incertezza dei risultati prefissati, al rischio di opportunismo degli agenti, al tasso di innovazione del settore. Ciascuna organizzazione presenta caratteristiche specifiche con riferimento, ad esempio, alla stabilità rispetto ad ingressi ed uscite di singoli, agli strumenti di finanziamento, alla responsabilità dei partecipanti. Così, i meccanismi di governance che si instaurano nella produzione collaborativa sono spesso sovrapponibili, non del tutto definiti, adattabili in modo dinamico al particolare conflitto o decisione da prendere evariabili, in modo da mantenere quella libertà di azione peculiare di queste modalità di produzione. Infine, i rapporti di collaborazione tra figure formalmente autonome ed indipendenti, [...]


15. La proprietà intellettuale ed i constructed commons

A differenza di quanto accade per impresa e mercato, nella produzione collaborativa sia gli input che gli output sono gestiti secondo il modello dei commons: la definizione dei singoli contributi e l'utilizzazione delle risorse frutto dello sforzo congiunto non avviene, infatti, attraverso contratto e proprietà, ma nella forma dell'open accesso del common property regime.[83] La produzione collaborativa descrive, dunque, un modello di governo che supera, almeno in parte, le tradizionali forme di appropriazione della conoscenza legate alla proprietà intellettuale ed alle modalità proprietarie di creazione e trasmissione dell'informazione. Questo non vuol dire affatto che, sotto il profilo giuridico, contratto e proprietà scompaiano, ma solo che tali istituti si caricano di funzioni nuove e talvolta antitetiche rispetto a quelle tradizionali. Nella produzione collaborativa contratto e proprietà ricostituiscono le condizioni di libertà ed autonomia che caratterizzano i beni comuni: obblighi contrattuali e regole proprietarie servono ad evitare ogni genere di privativa e ad istituire un sistema di commons per l'informazione. Non si tratta, dunque, di veri commons. Piuttosto, il sistema dei commons va <<costruito>> mimandone i sistemi di funzionamento attraverso strumenti contrattuali e proprietari volti ad evitare, o comunque limitare, l'esclusiva tipica della proprietà intellettuale.[84] Si parla, talvolta, di (re)constructed commons, proprio per designare le tecniche, basate sui contratti e sulla proprietà, attraverso le quali si replicano sul piano funzionale le dinamiche dei beni comuni, al fine di ricreare il carattere aperto della risorsa conoscenza.[85] Il c.d. copyleft, ad esempio, - espressione che, non a caso, gioca sulla contrapposizione con il copyright - è una licenza che assicura, su base proprietaria, che i prodotti derivati siano liberamente concessi a terzi con la stessa ampiezza.[86] Sotto il piano formale si mantiene il copyright, secondo le condizioni previste dalla General Public Licence (GPL), ma il diritto di proprietà viene formalmente conservato al solo scopo di sanzionare eventuali violazioni delle regole di apertura della comunità. In questo modo i software open source, a differenza dei software proprietari, rendono disponibile agli utenti il codice sorgente con la possibilità di modificare la propria copia e pubblicare la versione [...]


16. Il diritto dei contratti tra allocazione del rischio e governo dell’incertezza

Esiste un secondo profilo rispetto al quale le nuove forme di produzione collaborativa trasformano in profondità la funzione del diritto dei contratti. La letteratura economica considera il contratto come strumento di gestione del rischio. Il rischio è qui inteso come probabilità note di un numero noto di scenari futuri in base ad una valutazione probabilistica sugli stati futuri del mondo. Quando una stima del genere è possibile, il contratto può prevedere clausole del tipo <<se x, allora y>>, ossia può specificare, in modo più o meno analitico, cosa accade al verificarsi di determinate contingenze. Tuttavia, in un periodo in cui l'innovazione tecnologica comporta continui mutamenti di scenario, questa condizione di rischio iniziale che si risolve nel corso della durata del contratto non è più realistica. Invece che di <<rischio>> si parla di <<incertezza>>. [96] Qui incertezza è intesa come una condizione nella quale non è possibile effettuare ex ante una stima probabilistica degli eventi futuri. Al contrario che nel caso del rischio, in condizioni di incertezza non è possibile fare valutazioni prognostiche e, di conseguenza, redigere clausole del tipo <<se x, allora y>>. Il carattere continuo dell'incertezza che caratterizza periodi di forte innovazione tecnologica modifica radicalmente l'idea del contratto come strumento di allocazione del rischio nel quale l'incertezza ex ante si risolve durante la vita stessa del contratto. In condizioni di incertezza costante non è possibile determinare il soggetto su cui allocare la scelta.[97]Pertanto diviene irrealizzabile l'assegnazione ex ante dei diritti di decisione ex post che, nella prospettiva della contrattazione coasiana, consente una rinegoziazione efficiente.[98] La funzione dei contratti cambia, di conseguenza, per dimensioni e complessità. Il contratto riflette questo mutamento: non più strumento di allocazione del rischio quanto piuttosto dispositivo per governare l'incertezza entro un processo di tipo collaborativo e ripetuto, sostituto funzionale della specificazione ex ante degli obblighi reciproci e focalizzato su obiettivi da raggiungere e informazioni da condividere. Nella prassi emergono combinazioni inedite di obbligazioni contrattuali formali e giustiziabili e non formali, ossia non attivabili in giudizio, con lo scopo di [...]


17. Il diritto societario

La distinzione, accolta dai codici ottocenteschi e tuttora largamente intatta, tra diritto societario - cui è rimessa la regolazione dei modelli organizzativi dell'impresa - e diritto dei contratti - cui spetta invece il governo dell'attività di impresa -, non risulta adeguata a descrivere le forme di produzione di tipo collaborativo. La netta separazione tra i due ambiti impedisce di accogliere le nuove forme di organizzazione delle attività economiche nelle quali si combinano in forme inedite modelli contrattuali e societari per la produzione e lo scambio,in un sistema competitivo e al contempo cooperativo. Il diritto societario, d'altra parte, presenta molte rigidità, che lo rendono talvolta inadatto a regolare i nuovi fenomeni. La netta differenziazione dei modelli organizzativi in base alla presenza o meno dello scopo di lucro[101], ad esempio, costituisce un ostacolo rispetto a molti dei fenomeni di produzione collaborativa, nei quali le forme di remunerazione e di profitto tradizionali sono definite in modi nuovi.[102] Anche gli strumenti decisionali della produzione collaborativa non si lasciano facilmente racchiudere entro le dottrine note. Le strutture organizzative formali, ove esistenti, rimangono spesso lettera morta, e così anche le regole scritte, il cui enforcement è rimesso a sistemi interni. Diversamente da quanto accade nelle organizzazioni tradizionali, la governance delle nuove forme di produzione collaborativa stabilisce strumenti sovrapposti e spesso <<ridondanti>>, basati sul coordinamento piuttosto che sul controllo. Tali  meccanismi di governo e decisione non riflettono né un modello maggioritario né di unanimità e si affidano a dispositivi ibridi - si parla talvolta di <<rough consensus>> - in cui la convergenza è ricercata attraverso sistemi flessibili di negoziazione continua, sovrapposti ed indeterminati, che tollerano momentanee incongruenze in vista del raggiungimento del risultato finale.[103] Infine, nelle nuove forme di produzione collaborativa emerge in modo netto una terza forma di governo, basata sulla conoscenza e sull'innovazione tecnologica. Il governo dell'impresa non si realizza più solamente attraverso la proprietà del capitale e le relazioni contrattuali con le quali si distribuisce in via convenzionale il potere di governo. Capitale e contratti di impresa, ossia i modi tipici di [...]


18. Le nuove forme del lavoro on line

Come abbiamo visto, le piattaforme collaborative sono concepite in modo da organizzare le attività dei singoli contributori secondo moduli autonomi, tali da consentire l'innesto di apporti diversi. Nelle forme di produzione collaborativa tra pari il contributo individuale non assume, dunque, la forma dello svolgimento di mansioni articolate, come accade nel rapporto di lavoro subordinato di tipo tradizionale, ma si traduce nell'esecuzione di compiti parcellizzati entro cui ciascuno dei soggetti coinvolti partecipa in modo creativo, in un processo di apprendimento costante e di ridefinizione continua degli obiettivi. In questo quadro, viene meno l'idea stessa di una distinzione netta tra progettazione ed esecuzione: tra l'apporto di tipo creativo, rimesso tipicamente alla dimensione imprenditoriale di vertice dell'impresa, ed il lavoro, inteso come attività standardizzata in esecuzione di compiti assegnati. Si ridisegna così la distinzione tra progettazione creativa ed esecuzione standardizzata, e tra impresa e lavoro; e, di conseguenza, vanno ripensate le strutture organizzative dell'impresa e la concezione stessa del lavoro. Ne scaturisce una profonda rivisitazione del diritto del lavoro plasmato sul modello delle relazioni industriali e questo provoca ricadute importanti sull'identificazione del rapporto di impiego. Non si tratta soltanto di elaborare definizioni. Chi si avvale dell'apporto lavorativo di qualcuno non può sottrarsi all'inquadramento di tale rapporto in termini di lavoro subordinato.[104] Individuare i confini del lavoro significa dare una precisa qualificazione delle transazioni che si svolgono all'interno dell'organizzazione e ricondurle, alternativamente, al diritto dell'impresa ovvero al diritto del lavoro. Significa, in ultima istanza, individuare i soggetti su cui ricade il rischio di impresa e coloro che ne sono estranei. Occorre, pertanto, distinguere progettazione creativa ed esecuzione standardizzata ed allocare correttamente il rischio d'impresa. Altrimenti il pericolo è quello di scaricare impropriamente i costi connessi all'esercizio di impresa su soggetti privi di potere decisionale effettivo e, in questo modo, di creare una distonia tra sistemi di responsabilità e governo dell'impresa. Con il risultato di realizzare un'allocazione del rischio di impresa non solamente ingiusta ma anche inefficiente in quanto generatrice di esternalità. Per queste ragioni occorre [...]


19. Autoregolazione, risoluzione dei conflitti e soft law

La governance delle nuove forme di produzione e scambiodi tipo collaborativo è la combinazione di regole formali e informali, di orientamento al profitto e di motivazioni non economiche, di cooperazione e competizione, secondo schemi adattabili al contesto e solo in parte codificabili. In questo quadro si impone la scelta di soluzioni flessibili, basate su standard aperti piuttosto che su regole rigide[109], nel rispetto di una logica di autogoverno delle parti e di autonomia per le soluzioni elaborate dai privati. Il convincimento, molto diffuso nella letteratura, che le nuove forme di produzione collaborativa possano autoregolarsi si basa principalmente sulla pervasività delle informazioni disponibili e dei sistemi di reputazione presenti in rete. Con la crescita delle informazioni a disposizione di ogni consociato, agenti privi della reputazione necessaria faticano a conquistare uno spazio sul mercato. Di conseguenza, il timore di sanzioni di tipo reputazionale modifica i comportamenti delle persone.[110] I sistemi di reputazione si pongono, dunque, come alternativa alle forme tradizionali di sindacato giudiziale. Entro questa logica di autoregolazione, un aspetto nodale della produzione collaborativa è rappresentato dalle forme di risoluzione del conflitto di tipo privato.[111] I sistemi di monitoraggio e sanzione delle devianze gestiti dalle comunità (c.d. peer reviewing o peer monitoring) divengono molto più efficaci in presenza di informazione diffusa, come tipicamente accade in rete.[112] Ferma restando la possibilità di ricorrere alla giurisdizione statale[113], tali sistemi risultano molto incisivi pur se comminano sanzioni ridotte, sganciate, e talvolta significativamente inferiori, rispetto al potenziale vantaggio derivante dall'infrazione della regola. La decisione è generalmente più rapida e meno costosa, ed è più facile che venga eseguita dai soggetti interessati.[114] Inoltre è più probabile che la decisione resa da pari adotti regole e soluzioni in linea con le esigenze dello specifico contesto di riferimento, in una logica di <<relation preserving>> anziché di <<end-game norms>>, e che corregga le asimmetrie informative che spesso affliggono la decisione giudiziale. [115] Il riconoscimento di forme di risoluzione delle controversie tra pari diviene una scelta particolarmente necessaria quando si consideri il [...]


20. Conclusioni

Le barriere tecnologiche rappresentano un ostacolo - un costo transattivo - al raggiungimento dell'allocazione efficiente delle risorse. Quando queste barriere si spostano per effetto dell'innovazione tecnologica cambiano anche gli ostacoli, i costi transattivi appunto, all'adozione di certe soluzioni.[116] L'innovazione tecnologica degli ultimi decenni ha modificato i vantaggi connessi alle organizzazioni produttive, ridefinito l'efficienza relativa dei diversi modelli organizzativi e fatto emergere nuove modalità di produzione.[117] Per effetto di queste novità, l'attività produttiva sarà organizzata sempre più entro strutture simili ad una rete, piuttosto che ad una scatola chiusa.[118] Le cause principali del mutamento in atto sono ravvisabili nella diffusione capillare di strumenti di calcolo, nell'individuazione di strutture modulari di design e nelle modalità di comunicazione legate alla rete: la drastica riduzione dei costi legati allo scambio di informazioni consente oggi una maggiore facilità di coordinamento di risorse disperse e la loro aggregazione in un prodotto finito utilizzabile dall'utente finale. Quando l'informazione è disponibile a costi irrisori e può essere combinata attraverso il ricorso al capitale fisico disperso e a basso costo (ad esempio, i computer degli utenti) e al capitale umano sottoutilizzato (c.d.cognitive surplus), si realizza una produzione dell'informazione che, basata su questi input distribuiti, può talvolta risultare più efficiente rispetto a modelli di produzione legati al mercato o all'impresa. Le variabili critiche rilevanti sono il livello di incertezza, la centralità dell'elemento conoscenza ed il suo grado di formalizzazione. A queste condizioni, le nuove forme di produzione collaborativa presentano vantaggi sistematici rispetto alle altre forme della produzione nell'identificazione e nell'allocazione della creatività umana, nonostante la mancata appropriazione del prodotto finale che è, invece, al centro dei tradizionali modelli di produzione. Queste novità non solamente hanno generato una profonda ridefinizione dell'efficienza relativa dei modelli alternativi di organizzazione, ma aperto nuovi mercati, rendendo profittevoli attività che in passato non lo erano. Attraverso il coordinamento di contributi individuali - si osserva - si possono oggi articolare progetti su vasta scala al di [...]


NOTE