Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Il caso Huawei: ancora sul diritto della concorrenza come clausola generale del diritto civile (di Cristoforo Osti)


L'articolo nell'esaminare la sentenza si concentra sul fatto che la Corte ignora non solo l'analisi delle restrizioni concorrenziali che avrebbero dovuto conseguire al comportamento di Huawei ma addirittura la propria giurisprudenza precedente. Utilizzando il diritto della concorrenza come clausola generale, per la sua flessibilità, incisività e prestigio, la Corte si contenta di disegnare una struttura assai ampia che consenta alle parti di negoziare autonomamente una soluzione, cosa che di per sé con la concorrenza ha assai poco a che fare. L'articolo si sofferma infine brevemente sui problemi che la sentenza lascia irrisolti.

Competition Law as a Cover: The Huawei Judgment and the Court's Pragmatic Approach

The article reviews the judgment and focuses on the Court ignoring not only any analysis of the competitive impact which Huawei's conduct may have had, but even its own previous case-law. Taking advantage of the flexibility, effectiveness and prestige of competition law, the Court uses it as a tool for drawing a rather flexible framework for the parties to negotiate, in order to lead them to find a solution to the case: which, in itself, has very little to do with competition. The article concludes on the still unsolved problems which the judgment leaves pending.

Sommario/Summary:

1. La Corte applica il diritto della concorrenza senza analizzare la concorrenza stessa - 2. Né ci soccorre l’interpretazione - 3. La Corte ignora la sua stessa giurisprudenza - 4. Vengono in aiuto le conclusioni dell’Avvocato Generale - 5. La discussione del principio di buona fede - 6. I problemi che la sentenza non risolve - NOTE


1. La Corte applica il diritto della concorrenza senza analizzare la concorrenza stessa

L'aspetto più interessante per non dire curioso della sentenza nel caso Huawei è che questa, per essere una decisione fondata sul diritto della concorrenza (e in particolare sulla sua più complessa disposizione, l'art. 102 TFUE che prevede il divieto di abuso di posizione dominante), in pratica: (a) mai affronta un'analisi dell'impatto concorrenziale dei comportamenti indagati; (c) mai discute della sua stessa giurisprudenza in tema di abuso di posizione dominante, vuoi quella sorta in tema di abuso attraverso un contenzioso giudiziario (Huawei aveva richiesto una misura di urgenza nei confronti di ZTE, ed è da tale richiesta che origina la questione), vuoi quella elaborata in tema di rifiuto di contrarre (a parte tutto, l'effetto pratico della posizione di Huawei è che essa non concede il diritto richiesto o da richiedersi da parte di ZTE). Di questo ci si convince facilmente, a solo leggere la sentenza: (a) al punto 45 la corte riproduce il ragionamento, già fatto in numerosi precedenti, secondo il quale la fattispecie dell'abuso di posizione dominante ha natura oggettiva (formula leggermente fuorviante questa, se si pensa che in molte circostanze l'intenzione che si nasconde dietro ai comportamenti contestati è un elemento di prova decisivo) ed enuncia, come già fatto in tali precedenti, la tesi secondo la quale ciò che caratterizza un comportamento abusivo rispetto ad un comportamento concorrenziale, sta nel ricorso, che caratterizza il primo, a  "mezzi diversi da quelli che reggono una normale competizione"; (b) successivamente (§§ 45-47) si ricorda che l'esercizio di un diritto di proprietà intellettuale non può di per sé costituire un abuso, salvo che si tratti di un "caso eccezionale". (c) la Corte, esaurito questo prologo, nei punti successivi (§§ 48-53) distingue il caso in esame da quelli sui quali si è formata la sua giurisprudenza in tema di concorrenza 'non sui meriti' e di abuso da ricorso a diritti di proprietà intellettuale. E ciò fa in base ai due elementi (già individuati dall'Avvocato Generale): (a) natura essenziale del brevetto in questione e (b) impegno pregresso da parte di Huawei (come contropartita alla possibilità di partecipare alla conferenza con un brevetto essenziale) a concedere tale diritto in licenza a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (c.d. impegni EREND o [...]


2. Né ci soccorre l’interpretazione

Neppure si risolve la situazione cercando di riempire le lacune del ragionamento della Corte. L'ingiunzione, o il potenziale rifiuto a concedere una licenza, potrà forse considerasi un problema per ZTE, ma non è chiaro dove sia il pregiudizio (anche potenziale) alla concorrenza. Premesso che, paradossalmente, nel diritto della concorrenza non è sempre chiaro … cosa si intenda per concorrenza, il pregiudizio alla concorrenza viene di solito ricostruito ricorrendo a due teorie (alternative). La prima, quella del (danno al, e cioè della diminuzione del) benessere del consumatore, intendendosi per tale una diminuzione della efficienza allocativa  che consegua, anche potenzialmente, alla pratica anticoncorrenziale. Chiaro che per poter seppur anche molto vagamente tratteggiare una simile ricostruzione occorrerebbe chiedersi quali possano essere gli effetti (sui prezzi, o sulla qualità, o sulle quantità, o sull'innovazione, o sulla varietà …) del comportamento in parola. Ed è sufficientemente chiaro che la Corte nemmeno si pone la questione. La teoria alternativa (al momento decisamente prevalente nella giurisprudenza europea) è quella della concorrenza come bene tutelabile in sé, e in particolare della concorrenza come processo dal quale possano ipoteticamente seguire (ma parecchio meno forte è l'onere probatorio che incombe sull'autorità di concorrenza) i benefici, in termini appunto di prezzi, qualità, quantità, varietà, innovazione, sopra richiamati. E anche qui, occorre candidamente ammettere, che al processo concorrenziale, e più in particolare al contributo che il comportamento di Huawei porterebbe a tale processo non viene in alcun modo fatto riferimento. Ché anzi vi è più di una ragione per dubitare che, nel caso di specie, un tale danno (al benessere del consumatore o al processo concorrenziale, che creder si voglia) sussistesse affatto. Addirittura, nei fatti, non è nemmeno chiaro se la richiesta di ingiunzione sia seguita ad un comportamento in un qualche modo ostruzionistico del titolare del brevetto. La sentenza si limita infatti a considerare (§§ 24-26) che in un periodo di cinque mesi circa le due società "hanno avviato discussioni vertenti, in particolare, sulla contraffazione del brevetto e sulla possibilità di concludere un contratto di licenza a condizioni [...]


3. La Corte ignora la sua stessa giurisprudenza

Altro aspetto assai peculiare della sentenza in esame, cui sopra si accennava, è rappresentato dal fatto che la Corte  giunge alle sue conclusioni senza ripercorrere i propri precedenti o quelli del Tribunale, cosa altamente inconsueta, come sa chi conosce la struttura tipica del giudicare delle Corti europee, fortemente improntato ad un metodo casistico. Così, nelle sentenze Promediae Protégé il Tribunale ha affrontato il problema dell'applicazione dell'art 102 a comportamenti dell'impresa dominante che si estrinsecano in azioni giudiziali. Il che parrebbe rilevante in una situazione nella quale a Huawei si contesta, in essenza, di aver ricercato abusivamente il rilascio di un'ingiunzione nei confronti di ZTE. Or bene, di tale giurisprudenza e dei limiti da essa posti per irrogare il divieto - piuttosto ristretti in considerazione anche del favor all'accesso alle corti - nella sentenza in esame non si parla affatto[2]. Simili considerazioni possono farsi in merito alla possibile configurazione del comportamento in questione come abuso che consiste nel rifiuto di concedere una licenza di brevetto. Al riguardo esiste una sufficientemente delineata corrente giurisprudenziale (le più recenti manifestazioni della quale sono verosimilmente le decisioni della Corte nel caso IMS[3] e del Tribunale nel caso Microsoft[4]), che identifica una serie di requisiti perché possa darsi un abuso da rifiuto. E ciò partendo dalla stessa premessa dalla quale pure muove la Corte, e cioè che solo in 'casi eccezionali' (§ 47) si giustifichi l'applicazione del divieto previsto all'art. 102 in situazioni di esercizio di un diritto di proprietà intellettuale. Ora, laddove appunto la citata giurisprudenza individua tali circostanze eccezionali (in particolare: che sia identificabile un mercato separato; che il rifiuto impedisca l'emergere di un prodotto nuovo, per il quale esiste una domanda dei consumatori; che come conseguenza la concorrenza su quel mercato sia eliminata), la sentenza in esame si segnala appunto per il fatto che alla giurisprudenza in parola, alla quale pure fa riferimento (in particolare è citata la sentenza nel caso IMS ) ed ai criteri da essa delineati viene accordata ben poca attenzione. La sentenza infatti si limita, come già detto, sulla scorta di quanto affermato dall'Avvocato Generale, a considerare l' 'essenzialità' del brevetto e l'impegno a concedere una [...]


4. Vengono in aiuto le conclusioni dell’Avvocato Generale

Le ragioni della decisione, nella estrema sinteticità delle sue motivazioni, divengono un po' più chiare se ci si riferisce alle conclusioni dell'Avvocato Generale Wathelet che, come peraltro in più punti ammesso dalla Corte, costituiscono la sua vera fonte di ispirazione. Queste peraltro sono tanto più utili in quanto l'Avvocato Generale affronta tutta la questione con estremo candore. Da una parte, afferma infatti, abbiamo la sentenza della Corte Suprema Federale Germanica nel caso Orange Book[8] e dall'altra l'intervento della Commissione nel caso Samsung (risoltosi in base al rilascio di impegni[9]). Nel primo caso il BGH aveva descritto le condizioni che solo avrebbero giustificato l'applicazione dell'art. 102,tra le quali, in particolare, l'offerta incondizionatada parte del convenuto della conclusione del contratto di licenza e il versamento quanto meno in deposito del corrispettivo (non si sa bene come quantificato). Onde come osserva lo stesso giudice di rinvio, applicandosi tale giurisprudenza ai rapporti Huawei/ZTE esso avrebbe dovuto concedere l'ingiunzione richiesta da Huawei (§ 34 delle Conclusioni), se non altro perché di offerta incondizionata nel caso non vi  è traccia. E tuttavia nel caso Samsung la Commissione aveva ritenuto che costituisse violazione del divieto di abuso di posizione dominante richiedere l'ingiunzione laddove l'utilizzatore avesse semplicemente manifestato la propria disponibilità a negoziare la licenza. Osservato che in tale caso (a differenza che in quello considerato dalla pronunciaOrange Book) si trattava pure di un brevetto essenziale e di una situazione ove il titolare aveva assunto l'impegno di contrattare a condizioni EREND, il giudice di rinvio considera comprensibilmente che, a voler seguire Samsung piuttosto che Orange Book, esso avrebbe dovuto ritenere per il caso dell'abuso, datosi appunto che ZTE aveva manifestato la propria disponibilità a negoziare (§ 37). Da cui il suo comprensibile smarrimento (smarrimento ancor più rilevante in quantoOrange Book  è comunque una sentenza della sua Corte Suprema). L'Avvocato Generale osserva, da una parte, che i principi di Orange Book non possono applicarsi al caso di specie in ragione delle più volte ricordate differenze fattuali (alle quali, come si è visto, farà riferimento la Corte stessa nella sentenza) e che, dall'altra, la posizione della [...]


5. La discussione del principio di buona fede

La "soluzione intermedia" proposta dall'AG Wathelet (e poi seguita dalla Corte) non sta, come si è visto, nell'affermazione di una violazione (o dell'assenza di una violazione) di una qualche regola o principio del diritto della concorrenza. E non attribuisce dunque la responsabilità del comportamento all'una o all'altra parte. Ché anzi, come pure si è visto, evita scientemente di affermare che una responsabilità, e che una violazione, vi sia. Ciò che la Corte fa è, piuttosto, creare un quadro negoziale che deve essere seguito diligentemente dalle parti. Ricordiamolo per completezza: (i) il titolare dovrà avvertire l'utilizzatore del fatto che sta utilizzando il suo diritto, specificandone il modo (§ 61); tale informazione è ritenuta necessaria in un sistema in cui, come sottolinea lo stesso Avvocato Generale (il quale osserva ad esempio che per la norma tecnica cui partecipava il brevetto Huawei fossero stati notificati "come essenziali più di 4700 brevetti e che, per un'alta percentuale, tali brevetti po[tesser]o non essere validi o essenziali ai fini dell'applicazione della norma": § 81) è ben possibile che l'utilizzatore non fosse nemmeno consapevole di stare utilizzando e quindi violando un brevetto altrui; (ii) l'utilizzatore dovrà comunicare "la sua volontà di stipulare un contratto di licenza a condizioni FRAND" ; (iii) a questo punto il titolare dovrà trasmettere "una proposta di licenza concreta e scritta a condizioni FRAND […] specificando, in particolare, il corrispettivo e le sue modalità di calcolo" (§ 63); (iv) l'utilizzatore dovrà "dare seguito a tale proposta con diligenza, conformemente agli usi commerciali riconosciuti in materia e alla buona fede" e in particolare senza ricorrere ad alcuna "tattica dilatoria" (§ 65); (v) ovvero potrà formulare una controproposta, sempre a condizioni FRAND; (vi) eventualmente costituendo una appropriata garanzia qualora intenda utilizzare il brevetto prima della conclusione del contratto (§ 67), e infine (vii) le parti "possono", "di comune accordo" chiedere che il corrispettivo sia determinato da un terzo indipendente (§ 68). Se questo le parti faranno esse, da una parte, sfuggiranno ad ogni responsabilità per violazione dell'art. 102 (a carico del titolare, nonché delle regole brevettuali, per il caso dell'utilizzatore). E, [...]


6. I problemi che la sentenza non risolve

Venendo ora a quanto la sentenza lascia irrisolto, non può mancarsi di rilevare, riallacciandosi a quanto detto, che la sentenza stessa non dice in primo luogo che cosa sia EREND né ci fornisce veramente gli strumenti perché siano le parti o il terzo indipendente a farlo. Il problema è amplificato dal fatto che, concedendo la corte stessa all'utilizzatore la possibilità di rispondere al titolare che abbia formulato un'offerta EREND, con un'altra offerta EREND, non si tratta solo di stabilire se un'offerta sia equa e ragionevole, e nemmeno se lo sia la controfferta, ma se il fatto in sé che la controfferta sia EREND assicura all'utilizzatore di poter disporre impunemente del diritto, considerato anche che l'impegno assunto dal titolare nei confronti dell'organizzazione di normazione non è certamente stato quello di formulare un'offerta equa e ragionevole che soddisfacesse l'utilizzatore o fosse a lui particolarmente favorevole, ma solo e comprensibilmente che fosse equa e ragionevole in sé. I problemi che si possono immaginare sono quasi infiniti in numero: cosa succede se la questione viene deferita al terzo indipendente ma le parti non raggiungono un accordo in proposito, ad esempio sulla persona del terzo o sulle istruzioni in base alle quali egli/ella dovrà decidere? Oppure: laddove l'offerta del titolare non sia EREND, sarà tenuto l'utilizzatore comunque a replicare con una controfferta 'equa e ragionevole'? Ovvero: laddove l'utilizzatore non formuli una controfferta ma accetti di designare un terzo, tale posizione è da considerarsi EREND in sé, pur in mancanza di una controfferta o dell'accettazione della prima offerta? Ovvero: che fare se questi risponde con una offerta che si estende ad un ambito (merceologico o geografico) diverso[18]? In verità, la Corte crea a bella posta una struttura negoziale che possa condurre ad un esito equo e ragionevole, sotto il controllo della corte nazionale e con l'eventuale ausilio del terzo indipendente. Ma evita, a mio avviso del tutto opportunamente, di entrare direttamente nella definizione del corrispettivo e dei termini dell'accordo[19]. E' possibile che in tal senso possano venirci in aiuto i recenti casi nei quali le autorità nazionali si sono risolte ad applicare l'art. 102 con riferimento a fattispecie di prezzo eccessivo[20]. Se tali casi pongono di regola un'enfasi particolare su certi comportamenti [...]


NOTE