Il diritto europeo della proprietà intellettuale si è recentemente caratterizzato per il perseguimento dell'obiettivo politico di liberalizzazione del mercato della gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi. Il legislatore italiano ha apparentemente condiviso questo obiettivo nel c.d. decreto liberalizzazioni. Il processo di liberalizzazione non può essere tuttavia acriticamente letto in un'ottica di perseguimento di maggiori efficienze. Questo processo in realtà determina una serie di problemi di esternalità che il mercato può superare solo ripensando la funzione politica delle società di gestione collettiva. In un contesto di liberalizzazione il modello solidaristico di categoria, storicamente proprio delle collecting, tende ad essere sostituito da modelli di aggregazione degli interessi dei soggetti economicamente forti, ancorché appartenenti a diverse categorie professionali (ad esempio, autori e produttori); e reciprocamente porta ad emarginare autori, artisti e produttori economicamente deboli. Questo mutamento della funzione storica delle collecting riflette scelte in sé politicamente legittime, ma ad un tempo pone problemi di contraddizione strutturale con altre norme dell'ordinamento: ed in particolare con la apparentemente dichiarata volontà del legislatore europeo di proteggere autori ed artisti in posizione di debolezza economica attraverso il riconoscimento di diritti irrinunciabili a compenso.
Recent European intellectual property law aims to liberalize the market for collective administration of copyright and neighboring rights. The Italian lawmaker has apparently shared this political objective through the so called "decreto liberalizzazioni". Nevertheless, the liberalization process shouldn't be acritically read and favored as an instrument to achieve economic efficiencies. Actually this process imposes many externality problems, which can be solved only through new forms of "intellectual property bundling", where the traditional political scope of collecting administration is lost. In a liberalized context, the traditional solidarity group function of the collecting societies is abandoned in favor of market oriented aggregations of interests: where the most famous and important rightholders, although members of different groups (e.g. authors, artists and producers) aggregate their interests into one single collective; and where weaker rightholders are marginalized and potentially expelled from market. This change of scope of collective administration, although politically legitimate as such, appears inconsistent with other principles of European law: namely with the declared will to protect authors and artists, as weak contractual parts, through fundamental compensation rights.
CONTENUTI CORRELATI: proprietà intelletuale - proprietà intellettuale - gestione collettiva - concorrenza - intellectual property - collecting societies - competition
1. La gestione collettiva dai monopoli nazionali alla liberalizzazione - 2. I possibili modelli concorrenziali - 3. I problemi di esternalità posti dalla concorrenza di prezzo nell’offerta di repertori identici - 4. I problemi di esternalità posti dalla concorrenza di offerta di repertori differenziati - 5. I problemi di esternalità posti dalla concorrenza verticale dell’offerta di differenti tipologie di diritti di sfruttamento - 6. L’evoluzione del sistema verso la formazione di monopoli di fatto - 7. I monopoli di fatto come tecnica di aggregazione degli interessi dei soggetti economicamente forti - 8. La liberalizzazione come superamento dei modelli tradizionali di aggregazione di interessi: il “caso” dei produttori fonografici - 9. Le contraddizioni del processo di liberalizzazione. Il sistema di tutela degli artisti come soggetti deboli ed i problemi di determinazione del compenso equo - 10. Liberalizzazioni e regolamentazione - NOTE
Nel quadro generale del diritto della proprietà intellettuale, il processo di liberalizzazione sta vivendo un momento importante nel settore delle attività di gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi. Come noto, la gestione collettiva risponde all'esigenza di accentrare presso un numero ridotto di intermediari le attività di negoziazione e controllo dello sfruttamento delle opere dell'ingegno (anzitutto musicali) oggetto di innumerevoli utilizzazioni estremamente diffuse a livello mondiale: e ad esempio tradizionalmente da parte di radio, televisioni, locali da ballo; ma ora sempre più frequentemente da parte di gestori di siti accessibili in via telematica. Queste utilizzazioni non sono quindi controllabili e non possono essere oggetto di licenze concesse su base individuale da ogni singolo autore, artista o avente causa. Di qui l'esigenza per i titolari dei diritti d'autore e connessi di accentrare la gestione presso un unico intermediario. Sino ad oggi la gestione accentrata è stata organizzata su base tendenzialmente monopolistica e territoriale: secondo un sistema dove in ogni paese opera un unico soggetto che negozia e controlla all'interno del proprio territorio le utilizzazioni delle opere. Questo sistema riflette la difficoltà di organizzare a livello transnazionale controlli capillari, che in alcuni casi (si pensi alle utilizzazioni in discoteche e pubblici esercizi) richiedono la presenzain locodi personale. In Italia, la gestione collettiva dei diritti d'autore è addirittura oggetto di un monopolio legale attribuito alla SIAE dall'art. 180 l.a. Nell'attuale contesto di liberalizzazione del mercato, la struttura tradizionalmente monopolistica e territoriale delle attività di gestione collettiva è apparsa insoddisfacente, anche alla luce dell'evoluzione tecnologica, che (secondo alcuni orientamenti espressi dalle autorità europee) dovrebbe consentire ora di controllare l'utilizzazione delle opere dell'ingegno a distanza e per via telematica ([1]). L'orientamento europeo ha trovato recentemente riscontro a livello italiano nell'art. 39, co. 2, d.l. 1/2012, secondo cui "l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, in qualunque forma attuata, è libera".
Gli obiettivi "politici" perseguiti dal processo di liberalizzazione appaiono tuttavia estremamente problematici. In astratto, questo processo può favorire diversi modelli concorrenziali, che non sono da considerare rigidamente alternativi, e possono perciò entro certi limiti convivere. Un primo modello potrebbe essere caratterizzato da una moltiplicazione delle collecting offerenti le medesime tipologie di licenze di diritti di sfruttamento economico (ad esempio, di pubblica esecuzione di opere musicali, di radiodiffusione o di comunicazione telematica in streaming) relativi al medesimo repertorio di opere. In questo modello la concorrenza fra diverse collectingsarebbe essenzialmente una concorrenza di prezzo sul mercato dell'offerta dei repertori delle opere gestite ([2]). Un secondo modello potrebbe essere caratterizzato da una (ulteriore) disaggregazione "orizzontale" del repertorio delle diverse collecting, che offrirebbero licenze relative a diritti di sfruttamento economico su differenti repertori. In questo modello la concorrenza delle società di gestione collettiva potrebbe operare non solo sul piano del prezzo, ma anche su quello delle caratteristiche del prodotto, id estdella tipologia del repertorio offerto agli utilizzatori. La dinamica concorrenziale potrebbe inoltre esplicarsi non solo nei rapporti con gli utilizzatori, ma anche nei rapporti con i titolari dei diritti d'autore o connessi, cui le collectingdevono rivolgersi per potere acquisire "mandati" di gestione sufficienti a formare repertori economicamente profittevoli ([3]). Un terzo modello concorrenziale potrebbe essere caratterizzato da una disaggregazione "verticale" dell'offerta. In questo modello diverse società di gestione collettiva potrebbero offrire differenti tipologie di diritti di sfruttamento economico relativi eventualmente anche alle stesse opere ([4]). E così ad esempio la gestione dei diritti di pubblica esecuzione di un repertorio di opere musicali potrebbe essere affidata ad una società di gestione collettiva diversa da quella offerente i diritti di comunicazione telematica instreaming del medesimo repertorio. E' subito chiaro che questo modello potrebbe ulteriormente in diverso modo combinarsi con una disaggregazione "orizzontale" (e ad esempio determinare un'offerta concorrenziale di diversi repertori da parte di differenti società di gestione, limitatamente ai diritti di comunicazione instreaming). Il modello [...]
In una prospettiva di liberalizzazione, l'evoluzione del sistema verso l'uno o l'altro di questi modelli dovrebbe probabilmente essere non "guidata" dal legislatore, ma lasciata alla spontanea dinamica del mercato. La capacità del mercato di gestire e determinare i modelli concorrenziali più efficienti dell'attività dicollectingsottovaluta tuttavia a mio avviso rilevanti problemi di esternalità. La prima esternalità caratterizza il modello concorrenziale che moltiplica le collecting offerenti le medesime tipologie di diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno su un unico repertorio. Il sistema così ipotizzato potrebbe in particolare pregiudicare l'efficacia dell'enforcement: non solo perché ciascuna società di gestione collettiva interessata a lamentare utilizzazioni illecite dell'opera dovrebbe preliminarmente verificare se il consenso a questa utilizzazione sia stato in realtà prestato da società di gestione concorrenti; ma più in generale perché è comunque discutibile che la contraffazione di opere dell'ingegno possa essere lamentata da chi non vanta alcun diritto di esclusiva sulla negoziazione accentrata, e forse quindi non può azionare pretese inibitorie o risarcitorie a fronte di utilizzazioni che società concorrenti potrebbero comunque lecitamente consentire. D'altro canto nel sistema così congegnato l'azione giudiziaria esercitata da una società di gestione collettiva produrrebbe esternalità positive per le collecting concorrenti, ad esempio qualora sfociasse in una pronuncia inibitoria di utilizzazioni che nessuna di esse abbia consentito: ed allora non è chiaro perché un gestore dovrebbe assumersi costi e oneri di un'azione che andrebbe a vantaggio anche dei terzi ([7]). Un'azione congiunta di tutte le società di gestione collettiva, certo in astratto ipotizzabile, dovrebbe superare notevoli costi di transazione, e comunque in ultima analisi equivarrebbe ad una gestione pur sempre monopolistica (ancorché di monopolio congiunto) delle iniziative dienforcement, che a loro volta verosimilmente favorirebbe il coordinamento delle politiche di concessione delle licenze, vanificando l'interesse alla concorrenzialità.
La presenza di esternalità caratterizzerebbe anche un sistema di concorrenza "orizzontale" dell'offerta di differenti repertori da parte di diverse società di gestione collettiva. Qui anzitutto la concorrenza nell'offerta dei diritti d'autore e connessi può determinare esternalità negative per i soggetti interessati all'utilizzazione delle opere a repertorio. Al riguardo è noto in particolare che gli utilizzatori (si pensi ad emittenti televisive, radiofoniche ed ora anche ai gestori di portali telematici) sono spesso interessati ad acquisire licenze estese a tutte le opere (specialmente musicali) protette, non potendo conoscereex antequali fra esse saranno oggetto di atti di sfruttamento; ed inoltre sono interessati ad estendere i loro diritti di licenza alle opere ancora da creare, confidando che anch'esse a loro volta entreranno a far parte del repertorio gestito dallacollectingcontraente. La concorrenza orizzontale dell'offerta di differenti repertori ostacolerebbe quindi la possibilità per gli utilizzatori di acquisire con unico contratto licenze onnicomprensive di tutte le opere presenti e future. D'altro canto il modello concorrenziale preso ora in considerazione si caratterizzerebbe a sua volta per la presenza di esternalità anche nella fase dienforcement. Lacollectingmonopolista può infatti ragionevolmente agire in giudizio allegando e dimostrando la generica utilizzazione non autorizzata dell'intero repertorio delle opere o prestazioni protette da diritti d'autore o connessi. Viceversa la moltiplicazione dei repertori gestiti separatamente dalle società di gestione collettiva rende necessario che ciascunacollectingalleghi e dimostri l'utilizzazione specifica delle proprie opere. La concorrenza impone perciò un controllo delle utilizzazioni delle singole opere tanto più capillare quanto maggiore è il numero dellecollecting: così che anzi, in un sistema di concorrenza perfetta, la gestione collettiva perderebbe la propria ragion d'essere, per essere sostituita da una gestione individuale dei diritti su ciascuna singola opera. Il sistema di gestione collettiva vuole tuttavia in realtà proprio ridurre i costi di un controllo analitico delle utilizzazioni di opere diffuse a livello mondiale. L'ingresso sul mercato di nuove società di gestione collettiva determina quindi un aumento complessivo dei costi di negoziazione accentrata, a scapito [...]
La presenza di esternalità caratterizzerebbe infine persino un modello di concorrenza "verticale", in cui diverse collectingoffrano licenze relative a differenti tipologie di diritti di sfruttamento economico. Questo modello determinerebbe evidentemente le stesse esternalità evidenziate nei precedenti paragrafi qualora la concorrenza verticale si accompagnasse ad ulteriori eventuali tentativi di frammentare l'offerta del repertorio. Le esternalità sarebbero comunque presenti anche per l'eventualità che un'unica collectinggestisse l'intero repertorio (ad esempio, delle opere musicali) per la concessione di licenze relative ad una particolare modalità di utilizzazione (ad esempio, per la diffusione via radio); e che un'altra unica collectinggestisse il medesimo intero repertorio per la concessione di licenze relative ad una ulteriore e diversa modalità di utilizzazione (ad esempio, per la comunicazione al pubblico telematica in streaming). In realtà a ben vedere i mercati relativi alle diverse tipologie di utilizzazione spesso non sono completamente separati, ma sono anzi reciprocamente interdipendenti. Così ad esempio l'interesse ad acquisire licenze per la comunicazione telematica in streamingpuò dipendere dalle condizioni di ingresso sul mercato della comunicazione off line. In una ipotetica situazione in cui la radiodiffusione off linesfuggisse ad un controllo capillare delle società di gestione collettiva, ad esempio a causa delle difficoltà e degli elevati costi di enforcement, i potenziali utilizzatori potrebbero non avere interesse ad acquisire licenze di diffusione in streaming: e precisamente potrebbero optare per tecniche di diffusione off line, confidando di potere sfuggire all'enforcemente all'onere di pagamento di royalties. In questa prospettiva l'efficacia dell'enforcementin un settore di utilizzazione delle opere dell'ingegno condiziona l'efficacia della negoziazione collettiva con riferimento allo sfruttamento delle medesime opere su mercati diversi, ma che presentano effetti di sostituzione. Può essere allora inutile predisporre una società di gestione collettiva perfettamente organizzata e in grado di controllare tutte le utilizzazioni telematiche in streaming, di registrare e tenere una banca dati di tutte le opere così utilizzate, e di ripartire le royaltiesproporzionalmente alle utilizzazioni di ciascuna opera. Questa organizzazione [...]
In questa prospettiva l'evoluzione del mercato della gestione collettiva verso modelli che vedono la compresenza di piùcollectingappare estremamente difficile, a meno che il sistema non evolva decisamente in direzione di una esternalizzazione dell'enforcement, scaricando sui pubblici poteri i costi di accertamento e repressione delle contraffazioni. In un sistema dove l'utilizzazione anche isolata di una singola opera senza consenso dei titolari dei diritti d'autore faccia scattare repressioni di tipo "poliziesco", si può forse immaginare che la gestione collettiva si limiti alle attività puramente negoziali di concessione di licenze, e che il timore di incorrere in sanzioni penali e amministrative costituisca un deterrente sufficientemente forte da spingere gli utilizzatori a negoziare con lecollectinge a non porre in essere utilizzazioni illecite. L'esternalizzazione dei costi dienforcementpotrebbe d'altro canto forse superare almeno in parte i problemi evidenziati nei precedenti paragrafi 4 e 5. Questa forma di esternalizzazione appare tuttavia politicamente assai discutibile, e comunque non precisamente in linea con un sistema concorrenziale liberalizzato, che in linea di principio dovrebbe imputare ai privati vantaggi e costi della propria iniziativa. In realtà allo stato il processo di liberalizzazione delle attività di collectingsembra più probabilmente evolvere verso la formazione di monopoli di fatto. La gestione monopolistica dei diritti d'autore e connessi consente infatti di minimizzare i costi dell'intermediazione non solo per effetto della realizzazione di economie di scala ([9]), ma anche e prima ancora perché rende meno drammatici i problemi di enforcement giudiziario. Il monopolista assolve ragionevolmente il proprio onere probatorio allegando che l'utilizzazione di alcune opere specificamente individuate costituisce in realtà indizio di utilizzazione dell'intero repertorio, mentre non deve allegare e provare analiticamente l'utilizzazione di ciascuna singola opera, né (a mio avviso) è tenuto ad allegare e dimostrare il danno derivante da ogni specifica utilizzazione. Poiché egli negozia e percepisce diritti di licenza relativi all'intero repertorio gestito, egli può corrispondentemente lamentare il danno derivante dalla mancata percezione di royalties corrispondenti al medesimo intero repertorio, non alle singole opere che lo compongono ([10]). La [...]
Gli obiettivi sottostanti ai tradizionali sistemi di monopolio, siano essi di tipo legale o di tipo naturale regolamentato dal legislatore ([12]), emergono con particolare evidenza considerando il monopolista storico della gestione dei diritti d'autore in Italia, e precisamente la SIAE, che apparentemente non è toccata dalla norma liberalizzatrice interna del d.l. 1/2012. Il monopolio legale della SIAE consente di negoziare unitariamente i diritti sull'intero repertorio delle opere protette da diritto d'autore, di cui la stessa SIAE accentra l'amministrazione; e per conseguenza consente di fissare i corrispettivi dell'utilizzazione del repertorio altrettanto unitariamente, senza imputarli distintamente ad una od altra opera. Corrispondentemente questo sistema consente di ripartire i compensi fra i titolari dei diritti d'autore delle opere a repertorio sulla base di criteri forfettari, senza necessariamente quantificare il numero delle utilizzazioni di una od altra opera, e il rispettivo valore di mercato. Il monopolio di intermediazione si ispira così non solo alla logica efficientista di evitare i costi e gli oneri di contrattazione delle licenze e del controllo delle utilizzazioni relative a ciascuna singola opera, ma persegue anche obiettivi "politici" più ampi. Esso sottende l'idea che i corrispettivi incassati dal monopolista legale vadano a remunerare il complesso del patrimonio delle opere dell'ingegno, nell'interesse generale alla promozione della cultura ([13]), non nell'interesse individuale di ciascun autore a venire premiato in funzione del successo riscontrato dalle proprie opere sul mercato ([14]). Tanto a sua volta giustifica una ripartizione dei corrispettivi ispirata a obiettivi sociali di sostegno di opere culturalmente meritorie e meno appetite dal mercato, o di istituzione di fondi con finalità "previdenziali", nell'interesse degli autori economicamente più deboli ([15]). Il passaggio dai monopoli tradizionali (siano essi legali o comunque legislativamente regolamentati) a quelli naturali non regolamentati emargina tuttavia proprio i modelli di gestione ispirati a logiche "solidaristiche" e di sostegno generale della cultura. E' infatti subito chiaro che esigenze di efficienza anzitutto inducono le società di gestione collettiva ad eliminare i fattori di costo rappresentati dalla necessità di accantonare fondi destinati a sovvenzionare opere meno appetite dal mercato, o ispirati a [...]
Le considerazioni esposte portano quindi a leggere il processo di liberalizzazione non nella prospettiva "ideologica" di perseguimento di obiettivi di disaggregazione dell'offerta dei servizi di gestione collettiva, bensì in una prospettiva a mio avviso più realistica di disaggregazione di interessi che il sistema di monopoli tradizionali (siano essi legali o comunque legislativamente regolamentati) tendeva invece storicamente ad aggregare. In particolare il sistema del monopolio legale SIAE sottintende una volontà politica di istituire un doppio livello di aggregazione di interessi: da un lato gli interessi di tutti gli autori, indipendentemente dal successo economico delle loro opere; dall'altro degli autori ed editori, obbligati a confluire in un unico sistema di intermediazione. In questo quadro il sistema di gestione collettiva dei diritti connessi degli artisti sembrava (anche se con meno chiarezza) sottintendere un analogo obiettivo di aggregazione degli interessi di tutti gli artisti, ancora una volta indipendentemente dall'importanza economica delle loro prestazioni; e ad un tempo sembrava presupporre che gli interessi degli artisti fossero in contrapposizione e non potessero essere aggregati a quelli di altri soggetti, come gli autori, editori e produttori. La spinta verso la liberalizzazione rimette in discussione questo sistema storico, per lasciare al mercato il compito di definire i modelli più efficienti di aggregazione. L'impressione è confermata dalle fasi del processo di "liberalizzazione" della gestione collettiva in Italia, che può essere letta come tentativo di superare i modelli tradizionali di aggregazione di interessi sottostanti alla disciplina dei monopoli legali, per sostituirli con nuovi modelli. La spinta verso la liberalizzazione del mercato italiano della gestione collettiva è derivata principalmente dall'iniziativa dei produttori fonografici. Questa iniziativa è stata agevolata da un complesso di fattori, giuridici ed economici. Sul piano giuridico l'azione dei produttori fonografici è stata favorita dal rafforzamento dei loro diritti connessi, e ad un tempo dall'assenza di norme che prevedessero un monopolio legale della loro gestione. In assenza di un monopolio legale, la gestione collettiva ha favorito modelli di aggregazione di interessi fondati essenzialmente su considerazioni di carattere economico. In questa prospettiva appaiono interessanti (almeno) [...]
Le considerazioni esposte aiutano a ricostruire il reale fondamento della liberalizzazione e a "demitizzare" alcune affermazioni di principio, come quella secondo cui essa risulta funzionale allo "sviluppo del pluralismo competitivo" (così testualmente l'art. 39 d.l. 1/2012). Per parte mia non intendo esprimere valutazioni di tipo "politico" sulla meritevolezza degli obiettivi perseguiti dal legislatore. La scelta di favorire processi di riaggregazione fondati non sulla tipologia dei diritti di proprietà intellettuale, ma sulla capacità di integrare le economie individuali più forti, è in sé perfettamente legittima. La spinta verso la liberalizzazione diviene tuttavia maggiormente discutibile se inquadrata nel contesto generale del sistema, ed in particolare proprio nel contesto dei diritti connessi degli artisti interpreti, cui specificamente si riferisce la norma liberalizzatrice italiana contenuta nell'art. 39 d.l. 1/2012. Il legislatore ha infatti progressivamente rafforzato i diritti degli artisti interpreti (anche) in quanto parti deboli del rapporto con i produttori: in particolare attraverso le norme che riconoscono loro remunerazioni comunque proporzionate al successo dei risultati delle rispettive prestazioni. Mi riferisco al diritto all'equo compenso riconosciuto agli artisti interpreti di opere cinematografiche e audiovisive (art. 84 l.a.), che il legislatore espressamente considera irrinunciabile; e forse anche al compenso degli artt. 73, 73-bisl.a., che è stato ritenuto disponibile e trasferibile al produttore ([20]), ma che comunque pone problemi di tutela dell'artista in quanto contraente debole. Ora gli obiettivi di tutela degli artisti in quanto contraenti deboli sono a mio avviso inevitabilmente antitetici a quelli del processo di liberalizzazione delle lorocollecting. In particolare il riconoscimento di un diritto a compenso sottintende la tutela di un interesse di categoria degli artisti, fisiologicamente contrapposto all'interesse a realizzare modelli di aggregazione fondati sulla capacità di integrare le economie individuali dei soggetti economicamente più forti. La differenza di impostazione emerge interrogandosi sui parametri di determinazione dell' "equità" del compenso riscosso attraverso l'intermediazione dell'attività dicollecting. Al riguardo occorre precisamente chiedersi se l' "equità" debba essere verificata considerando l'importo globale [...]
Alcune delle criticità da ultimo evidenziate del processo di liberalizzazione sono probabilmente state colte dal legislatore nazionale, che ha in effetti demandato ad un decreto del presidente del consiglio dei ministri il compito di introdurre regole relative all'attività di collecting"nell'interesse dei titolari aventi diritto": e perciò ragionevolmente nell'interesse ad armonizzare la logica efficientista con quella di tutela degli artisti in quanto soggetti deboli. Per parte mia in altri lavori ho cercato di dimostrare che una possibilità di contemperamento è pensabile qualificando collectingin senso tecnico soltanto le organizzazioni prive di finalità di remunerazione del capitale e orientate al perseguimento di interessi generali di categoria; e ad un tempo limitando alle collectingcosì strutturate la legittimazione a fare valere pretese "legificate" come quelle al pagamento dell'equo compenso ([21]). Ho tuttavia l'impressione che un sistema del genere troverebbe notevoli difficoltà ad imporsi nell'applicazione del diritto "vivente" ([22]). E per questa ragione devo esprimere allo stato un certo scetticismo sulle prospettive di evoluzione della disciplina di liberalizzazione dellecollecting in un sistema logicamente coerente.