Lo scritto costituisce la relazione conclusiva del primo dei "Seminari celebrativi per i 40 anni della istituzione della Consob" e si compone di quattro parti. Nella prima viene brevemente ripercorsa l'evoluzione della disciplina speciale della amministrazione delle società quotate. Nella seconda si inquadra sistematicamente il vigente assetto normativo. Nella terza si spiega quali siano i limiti di tale assetto, che ha ormai finito per comprimere eccessivamente l'autonomia statutaria delle singole realtà societarie quotate (tra loro all'atto pratico assai diverse). Nella quarta e ultima parte si tracciano alcune possibili prospettive di riforma.
The paper is the final report of the first of the "Celebratory Seminars for the 40th Anniversary of the Consob" and consists of four parts. In the first section the evolution of the special rules regarding directors of listed companies is briefly described. Section 2 identifies the current legal framework. The limits of this framework, which has resulted in containing too much the freedom of contract of the listed companies (in practice very different from one another), are dealt with in the third section. In the fourth and final section some perspectives for a reform of the existing legislation are examined.
CONTENUTI CORRELATI: società quotate - amministratori - statuto sociale
1. L’evoluzione della disciplina dell’amministrazione delle società quotate - 2. Alcuni principi ordinatori - 3. Autodisciplina e autonomia statutaria - 4. I limiti dell’attuale assetto - 5. Prospettive e proposte di riforma - 6. Congedo - NOTE
Innanzi tutto una osservazione sulla evoluzione storica della disciplina dell'amministrazione delle società quotate. Né la c.d. mini-riforma delle società del 1974 (l. n. 216/1974), con la quale si istituì la Consob, né la versione originaria del T.U.F. (d.lgs. n. 58/1998) contenevano previsioni particolari sull'organo amministrativo delle società emittenti: non si rintracciavano, dunque, indicazioni né in punto difunzioni, né in punto distrutturadell'organo amministrativo. Le uniche previsioni che di riflesso incidevano sulla disciplina dell'amministrazione degli emittenti erano alcune disposizioni in materia di collegio sindacale da cui era possibile inferire specifiche funzioni degli amministratori: la predisposizione di una struttura organizzativa adeguata (art. 149, comma 1, lett.c, T.U.F.) e, nell'àmbito della stessa, la individuazione di responsabili del sistema di controllo interno [art. 150, comma 3 (ora 4), T.U.F.]; la attuazione di una regolare e periodica informativa degli amministratori nei confronti dei sindaci (art. 150, comma 1, T.U.F). Nel 2003 viene fatto un intervento di mero coordinamento del T.U.F. alle novità recate con la riforma organica delle società di capitali, e ciò essenzialmente per tenere conto del fatto che funzioni di controllo, fino ad allora riferite esclusivamente al collegio sindacale, devono poter competere, nei nuovi e alternativi sistemi di amministrazione e controllo[1], a organi amministrativi (il consiglio di sorveglianza) o a loro articolazioni interne (il comitato di controllo sulla gestione). In realtà, la riforma organica del 2003 reca - come è noto - profondissime innovazioni in materia di funzioni e ancor prima di struttura dell'organo amministrativo.
Tuttavia, le novità in tema di disciplina dell'amministrazione introdotte dalla riforma organica, per divenire parte essenziale e connotante dello statuto speciale della società quotata, debbono attendere la promulgazione della c.d. legge sulla tutela del risparmio (l. n. 262/2005): si arriva così alla fine del 2005. Tale legge - al di là delle severe critiche che furono abbastanza giustamente riservate alla tecnica normativa utilizzata - costituisce il vero e proprio punto di svolta per il tema che ci occupa. Essa introduce nel T.U.F. una specifica sezione appositamente dedicata agli "organi di amministrazione" e le disposizioni contenute in quella sezione inducono una serie di implicazioni assai significative. Vediamone alcune[2]. (i) La disposizione che prescrive che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti con il voto di lista (art. 147-ter, comma 1, TUF) pone implicitamente la regola che la società quotata può essere amministrata solo da organi pluripersonali e, quindi, collegiali. (ii) La medesima previsione - prima ancora di essere funzionale a rendere possibile una particolare composizione del collegio - connota il procedimento di nomina delle cariche sociali e ne vincola lo svolgimento in tutte le fasi[3]: - le proposte su cui deliberare, e cioè le liste, si formano necessariamenteprimaeal di fuoridella riunione assembleare, con indubbio incentivo al coinvolgimento degli investitori istituzionali e professionali, ma con un irrigidimento delle possibili dinamiche all'interno della adunanza assembleare (mi riferisco alla incapacità degli stessi investitori istituzionali di intervenire, fare proposte e votare al di fuori di un "percorso" prefissato e predeterminato); - la legittimazione ad avanzare proposte deliberative non è più di ciascun socio ma è riservata ad aliquote qualificate di capitale sociale; - l'oggetto della deliberazione è necessariamente unitario, nel senso che l'assemblea deve deliberare sulla complessiva formazione dell'organo e non può adottare tante deliberazioni quanti sono i componenti dell'organo da eleggere (ovviamente in caso di rinnovo integrale del consiglio)[4]. (iii) Alla necessaria unitarietà della delibera sono ricollegati ulteriori profili di rilevante novità e cioè quelli [...]
Tali essendo le tendenze e le linee della evoluzione del T.U.F., pare evidente come si sia andati sempre più verso una regolamentazione minuta e vincolante dei profili strutturali e funzionali relativi all'organo o agli organi amministrativi[9]. Ciò è avvenuto - come si diceva - anzitutto attraverso specifiche disposizioni di legge, ma anche attraverso l'azione delle autorità di regolazione e di vigilanza. L'accelerazione degli ultimissimi anni nella compressione della autonomia statutaria e, più in generale, della autonomia di impresa è veramente imponente e mi pare un dato su cui riflettere. Essa sembrerebbe trovare la sua giustificazione nelle varie crisi che si sono succedute negli anni recenti: crisi finanziarie, economiche, di legalità. Bisogna, tuttavia, anche evitare che siano poi le stesse regole a ostacolare il mercato e il sistema quando mostra di potersi risollevare da dette crisi. Ad ogni modo, una delle prime e più dirette conseguenze di questa progressiva regolamentazione imperativa dei sistemi di governo societario mi pare rappresentata da un certo svuotamento di significato della esperienza della autoregolamentazione e del codice di autodisciplina, che pure era stata una esperienza assai significativa per il miglioramento del buon governo societario tra la fine del '900 e i primissimi anni di questo secolo. Restituire spazio alla autonomia statutaria e alla libertà di impresa potrebbe rivitalizzare la importante funzione dell'autoregolamentazione.
Perciò credo che sia venuto il momento di ripensare - in modo scevro da pregiudizi e "particolarismi" - i meccanismi di elezione e le regole sulla composizione del consiglio di amministrazione. Se ne iniziò concretamente a parlare nei tavoli tecnici organizzati un paio di anni fa dalla Consob e sul punto è significativamente tornato il Presidente Vegas nell'ultimo incontro con il mercato finanziario[10]. Le regole vigenti appaiono, a mio avviso, non pienamente congruenti con la attuale realtà societaria per più ordini di ragioni. (i) Abbiamo a che fare con un sistema oramai troppo rigidamente regolato per una realtà - quella appunto delle società emittenti di diritto italiano - estremamente diversificata e in sempre più rapida evoluzione: che cosa hanno in comune una società come l'Eni e una che capitalizza l'equivalente del valore di pochi appartamenti al centro di Milano? che cosa hanno in comune società con qualche centinaio di migliaia di azionisti iscritti al libro soci e società con poche centinaia di soci? la stessa composizione delle compagini sociali e delle sue diverseconstituenciesè profondamente mutata anche solo negli ultimi dieci anni. (ii) Dobbiamo comunque tenere presente che ormai sul nostro mercato regolamentato e anche sul suo segmento più rappresentativo sono quotate un certo numero di società di diritto straniero[11] e quindi si pone inevitabilmente, anche all'interno del medesimo mercato, un tema di concorrenza tra ordinamenti. (iii) Alcuni degli istituti cui si è alluso, e primo fra tutti quello del voto di lista (con obbligo di riserva di alcuni posti in consiglio alla lista di minoranza), danno buona prova di sé - e l'osservazione è largamente condivisa in letteratura[12] - solo in presenza di una compagine sociale composta in misura significativa da una ampia platea di "investitori istituzionali" (i quali, peraltro, sono una realtà assai variegata e si dimostrano alla prova dei fatti portatori di interessi fortemente eterogenei, sicché anche per loro è da rifiutarsi qualsiasi ragionamento omologante e generalizzante). (iv) D'altro canto, la contrapposizione tra amministratori così detti di maggioranza e amministratori così detti di minoranza ha senso (logico prima che giuridico) solo in presenza di uno stabile assetto proprietario della società. Ma tale [...]
Affermare che un sistema deve essere ripensato non è, tuttavia, sufficiente se non ci si fa carico di avanzare delle proposte almeno sulla direzione del ripensamento. A mio avviso, esse dovrebbero essere, in coerenza con quanto appena detto, le seguenti. Anzitutto, si devono isolare, nell'ambito dello statuto speciale della società quotata, alcune regole su nomina e composizione del consiglio di amministrazione che valgano solo per le società a grande capitalizzazione e con compagine azionaria estremamente diffusa (in sostanza le blue chipso, per avere un riferimento più preciso, le società del FTSE-Mib[14]). Solo per queste si giustificano molti degli istituti oggi inderogabilmente previsti in materia di composizione degli organi amministrativi. Più in generale direi che deve diminuirsi il grado di rigidità e imperatività delle regole sulla composizione del consiglio, mentre vanno mantenute le disposizioni che impongono di rendere autonoma, nell'ambito del procedimento deliberativo, e anticipata nel tempo, rispetto alla data dell'assemblea, la fase di proposizione delle candidature. Con il ruolo predominante che oggi svolgono gli investitori professionali non è pensabile, pena la loro sostanziale emarginazione dalle dinamiche assembleari, che le proposte di voto siano fatte per la prima volta in assemblea. Benissimo quindi la tecnica delle liste e del voto di lista per la elezione delle cariche sociali, ma maggiore elasticità nella previsione della modalità di composizione dei consigli di amministrazione. La restituzione di spazio all'autonomia statutaria naturalmente dovrà avvenire in modo graduale e quindi, anzitutto, nel pieno rispetto degli affidamenti di chi ha investito in quelle società confidando in un certo sistema di governo societario fin qui inderogabilmente garantito da norme di legge (intendo cioè dire che la modificazione delle correlative regole statutarie dovrebbe essere, in ogni caso, presupposto per l'esercizio del diritto di recesso[15]). Sempre in nome del suddetto passaggio graduale si potrà pensare di fare ricorso a normebensì imperative ma temporanee, che mi pare abbiano dato buona prova qualora fin qui utilizzate. Mi riferisco chiaramente alla disciplina delle quote di genere che tra non molto perderà il suo carattere imperativo, ma che ha indubbiamente fatto a tutti apprezzare il valore della [...]
In realtà - e concludo - non c'è un unico modello di società quotata; così come non è opportuno ipotizzare una unica concezione di interesse che la stessa è chiamata a perseguire. Come possono essere e, aggiungerei, debbono poter essere tanti, nel loro concreto atteggiarsi, gli interessi sociali, così mi pare necessario che essi trovino modo di manifestarsi statutariamente, anche nelle regole sul governo della società.