Il saggio tratta il tema del diritto di voto attribuibile ai titolari di strumenti finanziari partecipativi. In particolare, il lavoro affronta il problema dell'interpretazione e del coordinamento degli artt. 2346, sesto comma, e 2351, quinto comma, c.c. Lo scopo è verificare se gli strumentisti debbano esercitare il proprio diritto di voto in un'assemblea separata oppure nell'assemblea generale insieme agli azionisti e, quindi, quale sia il loro ruolo all'interno del governo societario.
L'indagine presterà particolare attenzione al principio di supremazia degli azionisti, poiché il suo significato è fondamentale per ricavare il ruolo concesso agli strumentisti dal legislatore. S'illustrerà allora come si registrino differenti interpretazioni del principio di supremazia degli azionisti e come le differenti interpretazioni si traducano in differenti tesi sul possibile ruolo degli strumentisti all'interno del governo societario. Infine, dopo aver proposto una possibile ricostruzione del tema, se ne evidenzieranno gli aspetti critici e si riassumeranno gli elementi decisivi per la scelta di una diversa soluzione, maggiormente in linea con il dato positivo.
This paper deals with the topic of the attribution of voting rights to the holders of participating financial instruments (financial instruments governed by article 2346 of the Italian Civil Code). In particular, it tackles the issue of the interpretation and the coordination of articles 2346, para. 6, and 2351, para. 5, of the Italian Civil Code.
The scope is to verify which is the role of holders of participating financial instruments in the corporate governance, by first discussing whether they should exercise their right to vote in a separate meeting or in the general meeting (together with the shareholders). The investigation will pay particular attention to the principle of the shareholders supremacy, as its significance is fundamental to infer what is the role of the holders of participating financial instruments according to the domestic legislation. Then, the paper will discuss the different interpretations of this principle and analyze how these interpretations translate into different thesis about the possible role of the holders of participating financial instruments in the corporate governance. At last, after proposing a possible reconstruction of the theme, the critical aspects will be highlighted and the most significant elements will be summarized for supporting a different solution, more compliant with the law.
KEYWORDS: participating financial instruments - voting rights - shareholder supremacy
CONTENUTI CORRELATI: strumenti finanziari partecipativi - diritto di voto - supremazia degli azionisti
1. Il problema - 2. La tesi delle assemblee separate - 3. La tesi dell’unica assemblea - 4. Le modalità di funzionamento dell’assemblea “comune” - 5. Riflessioni sulla declinazione del principio di supremazia degli azionisti: proposta di una ricostruzione alternativa - 6. Profili critici della ricostruzione proposta e conclusioni sul possibile ruolo degli strumentisti - NOTE
L'art. 2351, quinto comma, c.c. consente di incorporare negli strumenti finanziari partecipativi anche «il diritto di voto su argomenti specificamente indicati». Il legislatore ha tuttavia specificato, all'ultimo comma dell'art. 2346 c.c., che resta «escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti». L'art. 2351 prevede inoltre che «può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco». La norma contenuta nell'art. 2351, quinto comma, pone due ordini di problemi. Un primo problema riguarda il significato da attribuire al divieto di voto in assemblea generale sancito dall'ultimo comma dell'art. 2346, giacché può essere inteso in due sensi. In un primo significato questo divieto può essere riferito al luogo di espressione del voto: e in particolare alla necessità che questa espressione avvenga nell'ambito di un'assemblea speciale. In un secondo significato può essere invece riferito all'ambito delle decisioni che possono rientrare nella competenza dei titolari di strumenti finanziari partecipativi[1]. In secondo luogo, anche la riserva di nomina di alcuni componenti di cariche sociali ha fatto sorgere dubbi circa la necessità che la stessa venga a sua volta esercitata in un'assemblea speciale e si configuri perciò come potere di nomina, anziché come diritto di concorrere alla loro elezione. All'analisi di questi problemi è dedicato il presente scritto. La questione è strettamente collegata ad un altro tema, ossia il principio di supremazia degli azionisti. Per opinione unanime e condivisibile, infatti, deve ispirarsi a tale principio la ricostruzione del ruolo (e quindi del peso) che azionisti e strumentisti rispettivamente hanno nel processo decisionale cui entrambi partecipano. Si vedrà, tuttavia, come differenti letture del dato normativo conducano a differenti interpretazioni del principio in esame; e si vedrà come a ciascuna diversa interpretazione del principio di supremazia corrisponda, di riflesso, una diversa ricostruzione del ruolo degli strumentisti nel processo decisionale cui partecipano. L'analisi muoverà dall'esposizione delle tesi proposte in argomento dalla dottrina e dagli orientamenti notarili editi (parr. 2-4), per poi avanzare un'ipotesi [...]
Un primo orientamento sostiene che gli strumentisti devono esercitare il proprio diritto di voto separatamente dagli azionisti[2]. La tesi si basa prima di tutto su un argomento di ordine letterale: l'art. 2346, sesto comma, dopo avere riconosciuto la possibilità di attribuire agli strumenti finanziari partecipativi anche diritti amministrativi, esclude espressamente che questi possano consistere nel diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti. La norma prescriverebbe quindi che il diritto di voto eventualmente attribuito agli strumentisti debba essere esercitato non nell'assemblea generale[3], ma in un'assemblea separata[4], o che quanto meno le dichiarazioni di voto debbano essere conteggiate separatamente[5]. Sempre dal punto di vista letterale, l'idea di una segregazione dell'attività decisionale degli strumentisti sarebbe inoltre suggerita dallo stesso art. 2351, quinto comma, il quale tipizza, attraverso l'espressione «e in particolare», una fattispecie deliberativa nella «nomina» di un componente indipendente del consiglio di amministrazione, del consiglio di sorveglianza o di un sindaco: la "riserva di nomina" indicherebbe chiaramente una decisione assunta dai titolari di strumenti finanziari in totale autonomia, non una loro partecipazione al processo di elezione delle cariche sociali[6]. La tesi utilizza anche su un argomento di ordine sistematico. Far partecipare gli strumentisti alla stessa assemblea degli azionisti, far quindi dipendere l'esito del processo decisionale dal risultato di un'unica votazione in cui i voti dei primi si cumulano con quelli dei secondi, potrebbe consentire ad investitori non soci di determinare l'adozione di una delibera anche contro la volontà della maggioranza del capitale sociale votante. Pertanto, affinché ogni decisione presupponga il necessario consenso degli azionisti, sarebbe preferibile mantenere separato il conteggio delle maggioranze ed esigere l'approvazione di entrambe le categorie di investitori, attribuendo così agli strumentisti solamente un potere di veto[7]. Si è infine rilevato come l'unicità dell'assemblea porrebbe anche problemi di ordine pratico: la disomogeneità strutturale di azioni e strumenti finanziari partecipativi renderebbe non agevole la scrittura di una disciplina statutaria capace di disciplinare la compartecipazione in un'unica assemblea di differenti categorie di investitori[8]. Il [...]
Un secondo filone interpretativo sostiene invece la tesi per cui gli strumentisti dotati del diritto di voto dovrebbero[12], o per alcuni potrebbero[13], esercitarlo nella medesima assemblea degli azionisti, così da integrare i voti di questi ultimi e partecipare "in positivo" all'assunzione della delibera. Anche questo orientamento si basa prima di tutto su un argomento di ordine letterale: il riconoscimento di un diritto di voto, non meglio definito né circostanziato, suggerirebbe una sua naturale collocazione all'interno dell'assemblea degli azionisti. Il divieto di cui all'art. 2346, sesto comma, si limiterebbe perciò ad escludere la liceità di un'attribuzione del diritto di voto genericamente relativa a tutti gli argomenti di competenza dell'assemblea, o comunque tanto ampia da consentire di fatto una partecipazione pressoché generalizzata[14]. La competenza degli strumentisti a nominare alcuni membri degli organi di amministrazione e di controllo sarebbe poi compatibile con una "fisiologica" forma di concorso alla nomina di tutti i componenti delle cariche sociali, che ben potrebbe costituire uno degli «argomenti specificamente indicati» dallo statuto[15]. Alcune interpretazioni valorizzano inoltre i dati desumibili da altre norme. In particolare, parte della dottrina dà rilievo all'art. 2506-ter, quarto comma[16], e alle modifiche apportate dal d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, agli artt. 2370, primo comma, 2372, primo comma, e 2373, primo comma, dove le parole «soci» o «azionisti» cui «spetta il diritto di voto» sono state sostituite dalla locuzione «coloro ai quali spetta» il diritto di voto[17]. La tesi della partecipazione ad un'unica assemblea sarebbe peraltro in linea con quanto stabilito in tema di strumenti finanziari delle società cooperative all'art. 2541[18] e all'art. 2526[19]. Quest'ultima disposizione, in particolare, prevede al primo comma la possibilità per la cooperativa di emettere strumenti finanziari «secondo la disciplina prevista per le società per azioni» e successivamente, al secondo comma, sottintende la partecipazione degli strumentisti alla medesima assemblea dei soci cooperatori. Ulteriori argomenti vengono tratti dalla disciplina dell'intermediazione finanziaria. L'art. 106, comma 3-bis, t.u.f., sembra presupporre che il diritto di voto di azionisti e strumentisti insista sulla [...]
Le tesi esposte nei precedenti due paragrafi pone l'ulteriore problema relativo al funzionamento dell'assemblea cui partecipino contemporaneamente azionisti e strumentisti. È anzitutto evidente la necessità che lo statuto stabilisca i criteri di attribuzione del voto ai titolari di strumenti finanziari partecipativi, e quindi il loro peso in assemblea[35]. In via suppletiva, per il caso in cui lo statuto nulla disponga al riguardo, si è suggerito che il voto venga riconosciuto sulla base del valore nominale della singola azione, il quale, di fatto, riacquisterebbe così una centralità dal punto di vista della "misura" della partecipazione che gli è propria[36]. Problema immediatamente successivo è quale possa essere il peso degli strumentisti nella singola deliberazione; se vi siano cioè limiti al numero di voti loro attribuibili. Parte della dottrina ritiene debba ricavarsi in via interpretativa un tetto massimo di voti, per evitare che questa categoria si sostituisca agli azionisti nella determinazione delle linee di gestione generale della società. Alcuni rinvengono questo tetto nella soglia del trenta per cento cui il legislatore, stabilendo i presupposti dell'o.p.a. obbligatoria, avrebbe collegato una presunzione di controllo[37]. Altri ritengono sufficiente che il potere di voto degli strumentisti sugli argomenti specificamente indicati non sia complessivamente superiore a quello spettante agli azionisti[38]. Altri sostengono invece che i voti non solo devono essere necessariamente inferiori a quelli di pertinenza degli azionisti, ma non possono neppure superare le percentuali idonee a bloccare le decisioni assembleari da adottare con quozienti rafforzati[39]. Altri ancora reputano estendibile analogicamente il limite stabilito all'art. 2526, secondo comma, ultimo periodo, per cui i voti spettanti agli strumentisti non potrebbero eccedere la misura di «un terzo dei voti spettanti all'insieme dei soci presenti ovvero rappresentati» in assemblea generale[40]. Altri, infine, ritengono applicabile analogicamente l'art. 2351, secondo comma, sicché il numero di voti accordati ai titolari di strumenti finanziari partecipativi non potrebbe superare quello spettante alla metà del capitale sociale[41]. Una diversa impostazione ritiene che lo statuto possa liberamente determinare il peso degli strumentisti nel processo decisionale[42], riconoscendo loro un numero di [...]
Nel paragrafo introduttivo si è fatto cenno al principio di supremazia degli azionisti. La rassegna sin qui condotta evidenzia l'esistenza di differenti interpretazioni di detto principio, a ciascuna delle quali corrisponde una diversa ricostruzione del (possibile) ruolo degli strumentisti all'interno del governo societario[53]. Più in particolare, il principio di supremazia sembra inteso in tre accezioni. Una prima interpretazione[54] è quella per cui la volontà della categoria degli azionisti (formata secondo maggioranze conformi ai quozienti statutari o legali previsti in ragione dei vari argomenti) dovrebbe essere sempre necessaria per l'adozione di ogni delibera. A questa prima interpretazione corrisponde una prima ricostruzione del ruolo degli strumentisti: sarebbero titolari di un mero potere di veto su talune delibere assembleari o consiliari, oltre ad un eventuale diritto di nomina di alcune cariche sociali. Una seconda interpretazione[55] è quella per cui le decisioni dei soci non potrebbero mai essere neutralizzate dagli strumentisti, i quali non potrebbero mai disporre di alcun diritto di veto. A questa seconda interpretazione corrisponde una seconda ricostruzione del ruolo degli strumentisti: il loro ingresso nel processo decisionale amplierebbe la base di calcolo dei quozienti deliberativi. Una terza interpretazione[56] è quella per cui gli azionisti dovrebbero sì mantenere un peso maggiore, ma non necessariamente su ogni singola deliberazione, quanto piuttosto sul governo societario nel suo complesso. A questa terza interpretazione consegue una terza ricostruzione del ruolo degli strumentisti: all'interno dell'assemblea generale, potrebbero vantare un peso decisionale liberamente determinato dallo statuto ed eventualmente anche maggiore di quello degli azionisti, purché la loro partecipazione sia circoscritta ad alcuni argomenti. Questa terza interpretazione è particolarmente interessante e, a ben vedere, consente di ipotizzare una quarta ricostruzione del ruolo (e quindi del peso) degli strumentisti. Infatti, se si condivide l'orientamento secondo cui il divieto di voto nell'assemblea generale degli azionisti deve intendersi come divieto di una partecipazione generalizzata degli strumentisti, e si condivide altresì l'affermazione secondo cui il principio di supremazia va rispettato non tanto in relazione ad ogni singola decisione, quanto in relazione [...]
Nei paragrafi precedenti si è dato conto di tre diverse interpretazioni del principio di supremazia degli azionisti e delle corrispondenti tre diverse ricostruzioni del ruolo (e quindi del peso) degli strumentisti nel processo decisionale. Si è quindi prospettata una quarta soluzione. È necessario ora chiedersi quale sia l'interpretazione preferibile del principio di supremazia degli azionisti e, conseguentemente, se la tesi avanzata nel paragrafo precedente sia o meno accoglibile. La questione dirimente, a ben vedere, è, se la maggioranza del capitale sociale votante debba essere sempre una condizione necessaria (ancorché eventualmente non sufficiente) per l'assunzione di ogni singola decisione di competenza degli investitori. La domanda da porsi, dunque, è se la normativa attuale consenta l'adozione di delibere anche contro la volontà della maggioranza, o financo della totalità, del capitale sociale votante. È infatti evidente che, se la risposta a tale quesito dovesse essere negativa, la prima ricostruzione sopra riferita in merito al ruolo degli strumentisti, per la quale questi potrebbero essere titolari unicamente di un potere di veto e di nomina di una minoranza dei componenti degli organi sociali, rappresenterebbe la soluzione obbligata, in quanto la sola a garantire in ogni caso il rispetto della predetta condizione. La tesi avanzata nel precedente paragrafo, in base alla quale il principio di sovranità degli azionisti dovrebbe essere valutato con riguardo al governo societario nel suo complesso, riconosce ampia libertà all'autonomia statutaria nel regolare la partecipazione degli strumentisti alla singola delibera. Essa perciò nega la necessarietà del consenso della categoria degli azionisti su tutte le decisioni ed ammette la liceità di clausole statutarie che possano anche consentire agli strumentisti di determinare l'approvazione di una delibera altrimenti rigettata dai soci[81]. La lettera della legge non rende tuttavia agevole propugnare questa tesi. I dati testuali sembrerebbero piuttosto imporre la maggioranza del capitale sociale votante quale condizione imprescindibile per l'adozione di qualunque delibera di competenza degli investitori. Più elementi, infatti, depongono a favore della collocazione del voto degli strumentisti in un'assemblea separata e, quindi, della necessità che l'adozione di ogni delibera ne presupponga [...]