Il lavoro esamina il rapporto tra il diritto civile e il diritto commerciale. La tesi principale è che le categorie che dovrebbero essere usate nell'analisi di questo rapporto sono quelle del soggetto giuridico e del mercato.
I diversi legami che i differenti gruppi sociali hanno avuto in passato con il mercato, e le varie concezioni del mercato che sono state dominanti nei diversi periodi storici, hanno determinato l'evoluzione dei rapporti tra queste due branche del diritto privato.
Attualmente, tutti gli individui sono coinvolti dal funzionamento del mercato ( secondo Foucault siamo tutti diventati "imprenditori di noi stessi") e le chiare distinzioni del passato non sono più proponibili. Il diritto civile, non meno di quello commerciale, si deve rimodellare in conformità alle esigenze dei mercati neoliberali, e non esistono rilevanti principi che possano essere considerati esclusivi e caratteristici dell'uno o dell'altro corpo di norme.
The paper examines the relationship between civil and commercial law. The main thesis is that the categories which ought to be used in analyzing this relationship are that of the legal subject and that of the market.
The different connections that the different social groups have had in the past with the market, and the various conceptions of the market that were dominant in different historical periods, determined the evolution of the relations between the two bodies of private law.
Currently, all individuals are involved in the functioning of the market (according to Foucault we are all "entrepreneurs of ourselves" now) and the clear distinctions of the past cannot be revived. Civil law, no less than commercial law, has to reshape in accordance with the needs of the neoliberal market, and there are no significant principles which can be considered as unique to either body of rules.
1. Diritto commerciale e mercati - 2. Diritto commerciale e Lex mercatoria. - 3. La contrapposizione atti v. attività. - 4. Il soggetto e il contesto. - 5. Il diritto commerciale e la rivoluzione neoliberale. - 6. Il diritto commerciale e la disciplina (neoliberale) del contratto: i contratti con i consumatori. - 7. Segue: i contratti tra mercanti. - 8. Conclusioni: …Graecia capta ferum victorem cepit? [64] - NOTE
La storia più frequentemente raccontata[1] narra di un diritto commerciale nato in epoca intermedia, il cui primo nucleo si sarebbe formato nelle grandi fiere dove a tutti i partecipanti, locali o stranieri che fossero, veniva imposto il rispetto di regole che tendevano ad essere uguali per tutti (i mercanti) e per tutte (le fiere), con clamorosa contrapposizione al particolarismo allora dominante nel diritto civile. Molti storici moderni dubitano che questa storia sia vera[2], ma prendiamola pure per buona. In fondo è comunque significativo che qualcuno l'abbia inventata e raccontata. Questa storia ci insegna che il diritto commerciale nacque nei mercati per soddisfare le esigenze di gente la cui vita veniva spesa nei, e affidata all' andamento dei, mercati. Individui chiamati, appunto, mercanti. Ne ricaviamo, allora, una prima indicazione, e cioè che alla più intima radice del diritto commerciale, prima di qualsiasi altro elemento, prima degli atti di commercio, prima dei commercianti, prima dell'organizzazione, prima dell'attività, sta il mercato, inteso come fenomeno e come ideologia (nel senso di concezione delle caratteristiche dominanti del mercato, del suo modo di funzionare, delle sue presunte esigenze, ad es. di rapidità, speditezza, affidabilità, ecc.)[3]. Da questo punto di vista si può facilmente notare che se è vero che il diritto commerciale è nato nelle fiere medioevali è allora anche vero che è nato in un'epoca in cui accanto alla gente chiamata mercanti, che viveva nel e per il mercato, esisteva molta altra gente il cui rapporto con il mercato era praticamente irrilevante. L'autoproduzione locale soddisfaceva una gran parte del consumo complessivo e le classi dominanti si mantenevano per mezzo di prelievi diretti, garantiti non da scambi mercantili, ma da diritti di tipo politico. Questa situazione si è progressivamente evoluta, il mercato si è esteso e diversificato, e i rapporti delle varie categorie di soggetti con il mercato si sono differenziati e complicati. Anche dopo il definitivo trionfo del capitalismo, e l'espansione sociale del mercato che ciò ha portato con sé, rilevanti componenti sociali lontane dal mercato, o addirittura ad esso estranee, sono più o meno a lungo sopravvissute (importanti organizzazioni private popolate da maggiordomi, servi, cocchieri, ecc.; professionisti che consideravano [...]
Prenderò ora in esame le due principali impostazioni presenti nella nostra dottrina così come illustrate da Libertini[7]. La prima (la seconda, nell' esposizione di Libertini e da lui giustamente legata al nome di Galgano) fa riferimento alla c.d.Lex mercatoria. Questa impostazione ha l'indubbio pregio di collegare il nostro dibattito interno ad un rilevante dibattito internazionale, quello incentrato sulla discussa analogia tra una presunta, moderna,Lex mercatoriae un antico diritto commerciale o (facendo riferimento al nome che assunse in Inghilterra)Law Merchant. Più o meno la questione centrale di questo dibattito è se sia effettivamente esistita nel passato una Law Merchant, nel senso di una legge comune a tutti i mercanti, caratterizzata, da una parte, dalla sua vocazione ad una universale uniformità (in contrapposizione al localismo della legislazione civile) e, dall'altra, dal ruolo svolto dai mercanti[8] nella sua produzione e applicazione. Ci si chiede, poi, se queste stesse caratteristiche ricompaiano oggi in quella che viene chiamata lalex mercatoria. Il tema è molto controverso e carico di implicazioni ideologiche adeguatamente sottolineate dalla storiografia più recente[9], che (come ho già anticipato) sembra attualmente in maggioranza orientata a negare che sia mai esistito un corpo di regole aventi contenuti e ambiti di applicazione così definiti da configurare una vera e propria Law Merchant. Al di là dell'esito di questo dibattito, a me sembra comunque che esso riguardi questioni diverse e molto più circoscritte di quelle implicate dal più generale e tradizionale dibattito nostrano sul rapporto tra diritto civile e diritto commerciale. In fondo l'attuale protagonista, nel senso della preda in palio, in questa tenzone è oggi sostanzialmente una parte del solo diritto contrattuale[10] ed ha quindi una dimensione molto lontana da quella che il diritto commerciale aveva raggiunto nei codici di commercio dell'800. Del resto è in qualche modo significativo della non sovrapponibilità dei due dibattiti (esistenza della Lex mercatoria- esistenza e confini del diritto commerciale) il fatto che la questione della Lex mercatoria conti cultori anche tra i giuristi anglosassoni, che invece per quanto riguarda il diritto commerciale non hanno mai avuto una tradizione di dibattito in qualche [...]
Tentando di sintetizzare, con inevitabili elementi di approssimazione e di imprecisione, individuerei il nucleo portante di questo filone nel riferimento ad una contrapposizione tra un diritto (il diritto civile), centrato intorno alla disciplina di un soggetto che compie atti che col suo agire qualifica, e che incidono sulle sue posizioni soggettive, contrapposto a un diritto (il diritto commerciale) centrato intorno alla disciplina di una attività che è invece lei a qualificare gli atti che la compongono, con conseguente svalutazione del soggetto, relegato a ricoprire ruoli che egli ha scarse possibilità di qualificare con i suoi atti di volontà. [12] Dubito fortemente delle capacità generali di inquadramento di questa tesi e della sua idoneità ad offrire validi spunti ricostruttivi dell'attuale disciplina. Nessuno vuole ovviamente negare che possano esistere differenze, anche radicali, tra ipotesi di compimento di singoli atti e ipotesi in cui gli atti vengono insistentemente ripetuti. Che la quantità possa trasformarsi in qualità lo sappiamo almeno da Hegel in poi, e anche il senso comune ci dice che giocare a tennis una volta ogni tanto non è come giocare dieci ore al giorno e che bere qualche volta un bicchiere di vino a pasto non è come berne venti al giorno. In questi, e in moltissimi altri casi, il passaggio dagli atti all'attività può cambiare radicalmente la vita delle persone. Non sorprende quindi che il legislatore possa decidere di dettare una disciplina, almeno a certi fini, diversa, per gli atti appartenenti ad una serie coordinata, rispetto a quella dettata per atti dello stesso tipo compiuti in maniera occasionale[13]. Ben diversa dalla descrizione di questo semplice fenomeno è però la pretesa che la contrapposizione atti - attività possa essere addirittura l'elemento fondante delle peculiarità di un diritto commerciale inteso essenzialmente come diritto dell'impresa- attività. Va notato, anzitutto, che questo filone del nostro dibattito, tutto incentrato sulla nozione di attività, è però sorprendentemente molto lontano dalla discussione in tema di impresa che in questi ultimi decenni ha sconvolto il panorama internazionale [14] e che è stata dominata da temi assolutamente diversi [15]. In questo dibattito l' attenzione è concentrata su un problema, [...]
Questo punto, il tema del soggetto, credo meriti una breve digressione, visto che si tratta di tema molto complesso che ben può creare confusioni. Credo che possiamo essere tutti d'accordo sul fatto che il diritto si applica, alla fin fine, a individui in carne ed ossa e che lo scopo principale perseguito dalle norme giuridiche è quello di indirizzare o, se si vuole, governare, il comportamento di individui (sempre in carne ed ossa). In questa prospettiva diventa fondamentale il modo in cui la figura del soggetto giuridico, destinatario dell'applicazione della norma, viene costruita e sovrapposta a quella dell'individuo. Intendo dire una cosa molto semplice, e cioè che chi pensa che gli individui possiedano in genere certe caratteristiche (ad es. piena razionalità e capacità di autocontrollo) tenderà a costruire il soggetto giuridico in un certo modo (ad es., il soggetto signore della sua volontà come il monarca assoluto lo è del suo regno) e a modellare le norme in modo che siano "adeguate" a disciplinare i comportamenti di soggetti così caratterizzati. Se invece si pensa che le caratteristiche prevalenti degli individui siano i loro limiti cognitivi o il loro incontrollabile (dalla ragione) egoismo, le norme dovranno essere modellate in maniera inevitabilmente diversa. E ciò vale per tutte le altre possibili capacità o legittimi bisogni che si abbiano a ritenere di spettanza degli individui il cui comportamento si intende governare. In questo banalissimo senso le modalità di costruzione dei soggetti giuridici sono in genere fondamentali e tanto più lo sono con riferimento al diritto occidentale moderno, posto che tutta la sua (dell'occidente moderno) filosofia fa i conti con i problemi del soggetto almeno dai tempi di Cartesio in poi. Ovviamente questo è un livello del discorso. Possono essercene di più profondi che riflettono sulla intera categoria del soggetto e ne contestano la natura prettamente e tipicamente ideologica[20] o ne decretano addirittura la morte[21]. Non credo però che sia questo il livello del discorso che vogliamo affrontare qui. Restiamo perciò al semplice schemino che ho delineato sopra: esistono gli individui, si costruiscono i soggetti, si formulano in conseguenza le norme che dovranno essere applicate ai primi. Ovviamente, ai fini dell'applicazione delle norme l'azione dei soggetti [...]
A questo punto ribadisco la mia tesi: ogni sensata ricostruzione delle tendenze dell'attuale diritto dell'economia (e probabilmente non solo di questo) deve assumere al suo centro la dialettica mercato - soggetto. Intendo dire che le diverse possibili concezioni del mercato, delle sue diverse articolazioni, dei suoi diversi meccanismi e soprattutto dei suoi diversi problemi di funzionamento, implicano differenti immagini dei soggetti che vi operano e conseguentemente differenti indicazioni in ordine alla disciplina che ne deve coordinare i comportamenti. Questa impostazione consente a mio avviso di inquadrare molti importanti fenomeni a cominciare da uno clamoroso che nessuno può contestare e che invece non trova in genere adeguato inquadramento (anzi, spesso, neppure menzione) nei ragionamenti in termini di atti, attività, ecc. Alludo alla rivoluzione (questa sì per molti aspetti "copernicana") iniziata negli anni settanta del secolo scorso e sfociata nel dominio delle teorie neoliberali. Uno degli aspetti centrali di questa rivoluzione che ho cercato già di illustrare diffusamente altrove [26] è stato il passaggio da una impostazione (dominante nel periodo c.d. keynesiano - fordista) centrata sull'idea di poter correggere le distorsioni dei mercati reali in rapporto al modello ideale (e anche gli esiti comunque indesiderati dei processi di mercato ideali o non) tramite il governo pubblico delle grandezze economiche fondamentali (la moneta, il monte salari, il consumo complessivo, l'entità, e talora anche la qualità, dei finanziamenti alle imprese, ecc.) ad una impostazione centrata sull'idea di intervenire sulle singole transazioni, previa verifica dell'esistenza, in ogni singolo concreto caso, di specifici fattori distorsivi denominati market failures [27]. Questo mutamento di prospettiva ha a mio avviso implicazioni anche sul piano giuridico che sono potenzialmente molto rilevanti e che restano ancora da esplorare compiutamente. Ho svolto altrove alcune osservazioni [28] e non intendo ripeterle qui, dove vorrei invece concentrarmi su un unico elemento, quello del ruolo che il fenomeno dello scambio viene a svolgere nella prospettiva neoliberale e nella sua ideologia giuridica per eccellenza, che è l'analisi economica del diritto. Con ciò non solo non ci allontaniamo dal nostro tema, ma, anzi, ne riscopriamo in qualche modo l' essenza, auto [...]
Questi due semplici fattori (centralità assoluta dello scambio come mezzo principale di interazione tra gli individui - concezione dello scambio come strumento principe di accrescimento del benessere) [35] hanno avuto, anche sul piano giuridico, una enorme quantità di effetti (che, ovviamente, non posso qui illustrare compiutamente). Uno dei principali è stata la fragorosa rinascita dell'istituto giuridico contratto, ed è proprio sull'istituto del contratto che vorrei concentrare ora l'attenzione. Che altre parti del diritto privato, come il diritto delle società per azioni, o dei brevetti per invenzione, o del fallimento, o della concorrenza, ecc., rispondano ad esigenze, e siano retti anche da principi loro specifici e che non possano essere studiate, o insegnate, senza l'acquisizione di conoscenze specialistiche che non fanno normalmente parte del bagaglio culturale del civilista, mi sembra assolutamente fuori discussione[36]. Il settore contrattuale, invece, mi sembra quello in cui la competizione tra prospettive civilistica e commercialistica è in grado di raggiungere i più alti livelli di intensità . Considerato (sulla base di argomenti certamente non improvvisati) defunto o moribondo alla metà degli anni settanta[37] del secolo scorso, il contratto potrà pur soffrire oggi di una certa crisi di identità (quale istituto giuridico oggi non ne soffre?) ma nessuno può dubitare, credo, della sua vitalità e degli enormi arricchimenti che sono stati apportati alla materia contrattuale dallo studio delle peculiarità delle transazioni che i contratti sono chiamati a governare, dalla conseguente classificazione di diverse categorie di contratti (classici, neoclassici, relazionali, ecc.), dagli sviluppi concettuali in tema di buona fede, divieto di abuso,unconscionability, ecc., e, infine e soprattutto, dagli sviluppi legislativi che hanno articolato diversificate discipline per diverse categorie di contratti a seconda delle caratteristiche dei soggetti che li stipulano e delle condizioni in cui (essi soggetti) si trovano ad operare. Quest'ultimo aspetto è ai nostri fini particolarmente rilevante. Non c'è dubbio che l'evoluzione legislativa ha attribuito una peculiare centralità giuridica alla categoria dei contratti stipulati tra consumatori e professionisti, categoria che è oggi oggetto di [...]
Torniamo allora finalmente a quello che è (forse) il terreno di coltura delle profonde radici del diritto commerciale, e cioè ai contratti tramercanti, la cui disciplina diventa l'unica in ambito contrattuale in grado di candidarsi al ruolo di categoria propriamente e genuinamente commercialistica. La domanda che dobbiamo porci è la seguente: troviamo l'essenza del diritto commerciale almeno qui, e cioè nella disciplina dei contratti tra mercanti? In una disciplina che si caratterizza, recuperando la caratteristica forse fondamentale dell'antica Lex mercatoria[47], per il fatto di essere prodotta dai mercanti stessi (nell'esercizio della loro autonomia contrattuale) o, per loro conto, dai mitici professionisti internazionali (gli attuali " signori del diritto[48]") oppure modellata, in base alle loro (dei mercanti) esigenze, da altrettanto mitiche organizzazioni sovranazionali? Il quesito ci conduce nuovamente vicino ai temi dellaLex mercatoria, temi la cui complessità abbiamo già sottolineato e su cui non vorrei tornare se non per l'aspetto relativo all'esistenza di un paradigma di riferimento in grado di qualificarne i contenuti. E qui ci confrontiamo finalmente con una domanda importante e precisa e cioè: la disciplina dei contratti tra mercanti (tra professionisti) è (e/o deve essere) retta da principi diversi da quelli che reggono i contratti tra professionisti e consumatori e tra non professionisti? La risposta alla domanda non si presenta come agevole e lineare. Come si sa, la c.d.Law MerchantoLex mercatoriaviene identificata molto più facilmente sulla base di caratteristiche estrinseche (la fonte, l'ambito e le modalità di applicazione, ecc.) che non in base ai contenuti, e cioè in base ad una caratterizzazione dei principi espressi nelle regole che la compongono. Sottolineo il riferimento ai principi, perché qui il problema non è quello della presenza o assenza di regole generali applicabili a tutti i contratti, o quello della quantità di norme speciali applicabili solo ai contratti con i consumatori, o, viceversa, ai soli contratti tra professionisti. Una generica esigenza di diversificare le discipline in rapporto alle diverse esigenze e ai diversi contesti è riconosciuta da tempo, e si esprime nella più o meno minuziosa regolamentazione di tanti tipi contrattuali nuovi e diversi, nella [...]
Provo per concludere a sintetizzare i punti principali di quello che a mio avviso non funziona nelle tesi che in vario modo contrappongono il diritto civile al diritto commerciale sulla base delle esigenze e peculiarità presenti nello svolgimento dell'attività di impresa e assenti là dove il soggetto compie atti, anche di rilevanza economica, ma non in forma imprenditoriale. Se questa impostazione si spinge fino a caratterizzare la commercialità come prevalenza delle esigenze oggettive dell'attività sulle esigenze del soggetto, ne deriva una concezione del diritto commerciale che finisce per allontanarlo dalle più importanti innovazioni legislative degli ultimi decenni, innovazioni che, al contrario, tendono a rendere la costruzione del soggetto, con le sue qualità ufficialmente riconosciutegli come rilevanti, decisiva ai fini della interpretazione e della applicazione di tutte le più importanti discipline: basti pensare al già menzionato consumatore (in tutte le possibile sfaccettature della sua forza e della sua debolezza) al risparmiatore, ai diversi tipi di cliente dell'intermediario finanziario, all'impresa micro, a quella suscettibile di subire abusi, a quanto ho detto pocanzi a proposito della spa, ecc. Nel complesso credo però che il nodo critico principale sia, detto piuttosto seccamente, che questa contrapposizione riflette una visione obsoleta del diritto civile[65] e solo grazie a questa visione può costruire un' immaginaria contrapposizione con il diritto commerciale[66]. Se parliamo di soggetto, è ovvio che nel diritto commerciale non troviamo il granitico signore della volontà sempre uguale a se stesso che (forse) ispirava i giuristi della prima metà dell'800. Questo soggetto non esiste però più (e da tempo!) neppure nel diritto civile. Se parliamo di contratto è ovvio che nelle organizzazioni del diritto commerciale (le varie forme di società) non troviamo la limpidezza del prototipico contratto istantaneo di scambio, e ci muoviamo invece sul terreno ben più infido dei contratti di durata potenzialmente relazionali. Il fatto è però, anche qui, che il prototipico contratto istantaneo di scambio, non domina più (e da tempo!) neppure nel diritto civile. Se parliamo infine dei diritti soggettivi, della loro contrapposizione ai poteri e della curvatura che queste [...]