l dibattito sulle modalità di calcolo di licenze a condizioni "fair, reasonable and non-discriminatory" (FRAND) relative a brevettistandard-essential(SEPs) è in corso da più di un decennio. Ad oggi manca tuttavia un insieme di principi comunemente accettati dagli operatori del settore per addivenire a tale calcolo, nonostante le particolari esigenze di armonizzazione che si riscontrano nel sistema di fissazione degli standard, internazionale per natura e partecipato da imprese estandard-setting organisations(SSOs) dall'impronta globale.
Il presente contributo prospetta l'adozione di tre parametri-chiave nella valutazione di accordi di licenza a condizioni FRAND. Laratioè quella di incoraggiare la concorrenza dinamica, garantendo al contempo una remunerazione adeguata (e pur non 'massimizzata') agli innovatori le cui invenzioni sono state dichiarate essenziali ad uno standard. Si suggerisce dunque: (i) una precisa identificazione della tecnologia adottata dai potenziali licenziatari, che tenga conto dell'esistenza di caratteristiche "opzionali" in diversi standard; (ii) la quantificazione delleroyaltiesin rapporto al valore del brevetto prima della fissazione dello standard (ex ante); (iii) di prendere in considerazione il quadro complessivo delle licenze per un determinato standard e, soprattutto, i rischi derivanti dal cumulo delle royalties (c.d.royalty stacking).
The debate on how to calculate "fair, reasonable and non-discriminatory" (FRAND) licensing terms for standard-essential patents (SEPs) has been going on for more than a decade. So far, no set of basic common principles has been agreed upon, despite the need for harmonization in the standard-setting context, international by nature and participated by companies and standard-setting organizations (SSOs) from all over the world.
A three-step elastic framework is submitted for the determination of FRAND licensing agreements. Its rationale is to foster dynamic competition while ensuring appropriate - not 'maximized' - compensation for the innovators whose technical contributions are declared standard-essential. It is suggested that this can be done by: (i) a precise identification of the technology implemented by the potential licensee, in consideration of the existence of "optional" features in several standards; (ii) taking into account the value of the patent prior to the setting of the standard (ex ante determination); (iii) looking at the overall licensing scenario, and addressing the so-called risk of royalty stacking.
CONTENUTI CORRELATI: brevetti essenziali a uno standard - FRAND - cumulo delle royalties (royal stacking) - Corte di Giustizia UE - dottrina delle essential facilities
* Questo scritto, dedicato ad Hanns Ullrich, è frutto di ricerca e riflessione comune dei due autori. La redazione dei paragrafi 1-3 deve attribuirsi a Gustavo Ghidini, mentre quella dei paragrafi 4-6 a Giovanni Trabucco. L'articolo rappresenta un'ampia revisione di una relazione presentata alla Conferenza internazionale "Innovation for Shared Prosperity: IPRs, Competition and Standard Setting in the ICT Sector", promossa dalla O. P. Jindal Global University e tenutasi a Nuova Delhi, il 20-21 agosto 2016.
** Professore ordinario, Università di Milano.
*** Cultore della materia 'Diritto industriale', Università di Milano.
1. Premessa. Diritti di proprietà industriale e standardizzazione. Dal tradizionale indirizzo pro-concorrenziale della UE in materia di telecomunicazioni, all’applicazione della dottrina delle essential facilities alle tecnologie ‘indispensabili’ - 2. Un apparente paradosso - 3. Il nocciolo della questione, oggi: definire le royalties FRAND. Proposta di tre criteri cumulativi - 4. Primo criterio. Precisa identificazione della tecnologia adottata dai potenziali licenziatari e stretta proporzionalità della licenza - 5. Secondo criterio. Quantificazione ex-ante delle royalty: il valore del brevetto prima della fissazione dello standard - 6. Terzo criterio. Considerazione del quadro complessivo delle licenze FRAND: il problema del royalty stacking - NOTE
L'indirizzo 'pro-access' quale espressione di una politica generalenel settore delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni ("ICT") - un settore che vive di interconnessioni - fu originariamente promosso dalla Commissione europea con l'emanazione delle linee guida sulla liberalizzazione dei segnali delle trasmissioni televisive e delle telecomunicazioni. In tale contesto, la Commissione espresse forti preoccupazioni in merito ai rischi della "chiusura proprietaria" degli standard. Di conseguenza, la Direttiva 92/38/CEE relativa all'emissione via satellite di segnali televisivi, riconobbe che l'uso di standard comuni poteva rappresentare "un elemento che consente una effettiva libera concorrenza" soprattutto "tenendo conto che gli standard promuovono la competitività riducendo i costi per i produttori" [1]. Tale convinzione fu nuovamente espressa nelle Linee guida sulla proprietà intellettuale e la standardizzazione del 1992 [2], nella prima versione della IPR Policy dell'European Telecommunications Standards Institute ("ETSI") del 1994 [3] nonché nella 1999 Communications Review indirizzata al Parlamento Europeo [4]. In seguito, in una prospettiva ancor più ampia, le Linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del trattato CE agli accordi di cooperazione orizzontale del 2001 della Commissione affermarono che, ove emergano standard industriali - siano essi de iure o de facto [5] - "la principale preoccupazione sarà […] di garantire che tali standard siano il più possibile accessibili e che siano applicati in una maniera chiara e non discriminatoria. Per evitare l'eliminazione della concorrenza nel(i) mercato(i) rilevante(i) i terzi devono poter accedere allo standard a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie" [6]: più note, nella locuzione in lingua inglese, come condizioni "fair, reasonable and non-discriminatory". Sinteticamente: "FRAND". L'originario indirizzo 'aperto' delle istituzioni politiche comunitarie verso gli standard nel settore ICT, ha affiancato, e anzi probabilmente incoraggiato, l'orientamento delle Corti europee in ordine al regime da applicare alle innovazioni di più alto livello tecnologico, protette da brevetti per invenzione o copyright: a partire dalle ormai storiche decisioni ispirate alla dottrina delle c.d. essential facilities[7], sino alle più recenti riguardanti i c.d. brevetti [...]
Ad un primo sguardo, quest'ultimo rilievo pare segnalare un esito paradossale: più un'invenzione (o altra forma di innovazione) è considerata di alta qualità, tanto da essere eletta a standard, e dunque tanto più alto il merito del titolare del diritto, meno è probabile che egli possa mantenere intatto il potere escludente di legge, impedendo a terzi non autorizzati di far uso del bene immateriale [17]. Si tratta tuttavia di un paradosso solo apparente. Infatti, la remunerazione derivante da un flusso (potenzialmente illimitato) di royalties potrà certamente soddisfare - o addirittura superare, a seconda delle abilità commerciali e del successo dei licenziatari - le previsioni di guadagno del titolare del diritto e, in tal modo, incentivare ulteriori investimenti in ricerca e innovazione. D'altra parte, l'obbligo di corrispondere royalties a condizioni FRAND consentirà generalmente al titolare del diritto di conservare un significativo vantaggio competitivo nei confronti dei suoi concorrenti. Costoro sono infatti gravati da costi aggiuntivi, dalla necessità di colmare il lead timeche li separa dall'innovatore in termini di apprendimento delle tecnologie licenziate, nonché da una conoscenza inferiore della tecnologia, le cui possibili attuazioni potrebbero non esaurirsi in quanto descritto e rivendicato nel brevetto (e anche in termini di know-how) [18]. Dal canto suo, in un sistema di licenze FRAND, anche il titolare del diritto potrà avvalersi della possibilitàdi avere accesso, alle stesse condizioni, alle diverse tecnologie sviluppate dai terzi, eventualmente tramite accordi di licenza incrociati (c.d. cross-licensing) [19]. Peraltro, se l'inclusione nello standard e il sistema delle licenze a condizioni FRAND fossero realmente percepiti dai titolari dei diritti come penalizzanti, non si riuscirebbe a comprendere perché questi facciano tanti sforzi - se non addirittura carte false: vedasi il caso Rambus [20] - per far sì che la loro tecnologia sia eletta a standard [21]. Il fatto è che essi si battono - lo si ribadisce - per diventare percettori garantiti di flussi indeterminati di royalties [22].
L'orientamento pro-concorrenziale sopra descritto con riferimento all'UE è condiviso, nei suoi tratti fondamentali, anche negli Stati Uniti, nonché in altri ordinamenti - come quello cinese ed indiano - coinvolti nello sviluppo di standard tecnologici, specialmente nel settore ICT [23]. Nella sostanza, dunque, il cuore dell'attenzione di giudici e studiosi (così come dei pratici) si è oggi spostato: dall'affermazione di un obbligo di concedere licenza sulle tecnologie 'essenziali'- ormai acquisito - alla necessità di definire se tali licenze siano conformi o meno ai principi FRAND. A questo proposito, ragioni di coerenza con l'intrinseco fondamento pro-concorrenziale dell'obbligo di concedere licenza, richiedono che i criteri seguiti per la determinazione di una licenza a condizioni FRAND riflettano a loro volta un bilanciamento pro-concorrenziale dei configgenti interessi in gioco: vale a dire, da un lato, il diritto dei titolari ("innovators") ad una remunerazione adeguata [24] e, dall'altro, il diritto dei licenziatari ("implementers") ad ottenere condizioni di accesso che consentano un'effettiva competitività sul mercato. Tali criteri dovrebbero preferibilmente essere incorporati in disposizioni normative, o perlomeno in linee guida emanate da autorità indipendenti - come quelle antitrust- e possibilmente fatti propri da convenzioni internazionali [25]. E comunque essere incorporati nelle policy delle SSO. Questo per evitare che i parametri stessi da seguire per la determinazione di licenze a condizioni FRAND (anche al di là delle possibili asimmetrie di forza contrattuale delle parti) siano primariamente rimessi a negoziazioni private o a decisioni di singoli casi al di fuori di una linea sistematica di riferimento: così correndo il rischio di metter capo ad un costume d'Arlecchino. Il che sarebbe in contrasto con le congiunte esigenze di affidabilità, trasparenza e armonizzazione del regime dell'innovazione standardizzata, internazionale per vocazione [26]. D'altra parte, è appena il caso di precisare che il presente contributo non intende certo proporre alcuna 'formula magica', valida universalmente nella determinazione di royaltiesrispettose dei principi FRAND. Il concetto stesso di 'ragionevolezza' della licenza, infatti, è espressione di una clausola generale, per ciò stesso elastica. La nostra ricerca [...]
Giurisprudenza e dottrina parrebbero talora dare per scontato che ogni brevetto dichiarato essenziale a uno standard è utilizzato - e dunque potenzialmente violato - da ciascun prodotto conforme a tale standard [29]. L'assunto pare fondato sul sillogismo secondo cui: siccome (i) il brevetto è stato dichiarato essenziale a uno standard; e (ii) il prodotto è conforme allo standard; allora (iii) quel prodotto deve necessariamente attuare la tecnologia brevettata [30]. Tuttavia il sillogismo è viziato da una mancata comprensione dei meccanismi di standardizzazione tecnologica. Semplicemente non corrisponde al vero che tuttii brevetti dichiarati essenziali a uno standard siano necessariamente violati da tuttii prodotti conformi ad esso. In altri termini, non si dà luogo ad alcuna contraffazione automatica o presuntiva [31]. E ciò per tre ragioni, relative alla validità dei brevetti, alla loro essenzialità e, soprattutto, all'esistenza di elementiopzionali in molti standard. Innanzitutto, i brevetti possono essere invalidi o non essenziali. Da un lato, il numero di brevetti 'robusti', ossia in grado di sopravvivere a un'azione di invalidità, è notoriamente esiguo. Se la dottrina ha suggerito che, in alcuni ordinamenti, la maggior parte dei brevetti concessi sarebbe almeno parzialmente invalida [32], i dati relativi ai brevetti essenziali confermerebbero che ciò rappresenta un problema esacerbato nel contesto delle tecnologie standardizzate [33]. D'altro canto, la dichiarazione di essenzialità che i titolari di SEP rilasciano alle SSO è un atto unilaterale che nella maggior parte dei casi non è verificato dall'organizzazione. Ad esempio, la guida esplicativa della IPR Policy adottata dall'ETSI chiarisce che l'ente "has not checked the validity of the information, nor the relevance of the identified patents/patent applications to the ETSI standards and cannot confirm, or deny, that the patents/patent applications are, in fact, essential, or potentially essential" [34]. Per queste ragioni, il fenomeno della c.d. "over-disclosure" - vale a dire la rivendicazione di essenzialità per brevetti non essenziali - è ritenuto piuttosto diffuso, perlomeno nel settore ICT [35]. Nondimeno, tali considerazioni non sono di grande aiuto nella determinazione di criteri generali di valutazione dei canoni di licenza FRAND: i brevetti [...]
Una volta individuata la tecnologia essenziale di cui il potenziale licenziatario fa effettivamente uso, deve essere determinato il valore dei brevetti che su tale tecnologia insistono. Il processo di selezione della tecnologia che sarà parte dello standard svolge un ruolo fondamentale nella creazione del suo valore. In genere, prima dell'adozione di uno standard più alternative tecniche rivolte sostanzialmente alle stesse funzionalità concorrono tra loro. Accade spesso, così, che diverse soluzioni ad uno stesso problema tecnico siano valutate e confrontate dai membri della SSO sulla base della loro qualità, del loro costo e del valore aggiunto che apportano allo standard. Tuttavia, quando lo standard è definito, i titolari dei brevetti aventi ad oggetto le tecnologie selezionate vedranno il valore e il potere di mercato dei loro diritti di proprietà industriale crescere esponenzialmente. Questo perché tali brevetti, a questo punto essenziali, verrannoutilizzati - nei limiti dell'opzionalità di cui si diceva - da ogni implementer. Ciò ha portato dottrina e giurisprudenza a considerare il rischio che i titolari di brevetti essenziali ai quali molti concorrenti dovrannoottenere accesso siano indotti a 'far leva' (nel gergo del settore: "hold-up") suoi loro concorrenti con richieste di licenze anti-competitive, accompagnate da minacce di azioni inibitorie in caso di mancata accettazione delle proposte contrattuali [43]. Al contrario, i brevetti che non sono stati inclusi nello standard potranno rivelarsi privi di valore commerciale, specialmente nel caso in cui non vi sia alcun mercato per tecnologie diverse da quella standardizzata [44]. In un simile contesto, l'opinione maggioritaria di giuristi ed economisti ritiene che una royalty ragionevoledovrebbe limitarsi a riflettere il valore del brevetto in sé, e non il valore potenzialmente associato alla sua inclusione nello standard [45]. Swanson e Baumol sono stati tra i primi a suggerire, nel 2005, che "the concept of a 'reasonable' royalty for purposes of RAND licensing must be defined and implemented by reference to ex ante competition, i.e. competition in advance of the standard selection" [46]. Alcuni anni dopo, Lemley e Shapiro hanno ribadito che "by construction, the reasonable royalty rate does not include the value attaching to the creation and adoption of the standard itself. To allow the patentees [...]
La determinazione dei diritti di licenza deve anche tenere conto del quadro complessivo delle licenze che gravano sul singoloimplementer. Nel contesto della fissazione degli standard, in particolare nel settore ICT, uno stesso prodotto fa spesso uso di tecnologie coperte da centinaia, se non migliaia, di brevetti essenziali [52]. Ne consegue che gliimplementer sono generalmente obbligati a pagareroyalties a diversiinnovator. Ignorare questo fattore potrebbe rendere possibile un cumulo di canoni di licenza - il cosiddetto "royalty stacking" - il cui totale potrebbe superare una ragionevole quota del valore e del prezzo del bene: così di fatto impedendo all'implementerl'ingresso (o la sopravvivenza) sul mercato. Diversi autori invero sottolineano il rischio che vi siano serie probabilità che gli implementer siano gravati da richieste di royalty accumulate.Una ricerca del 2014, per esempio, ha stimato che le royalties relative ad uno smartphoneofferto al pubblico a 400 dollari ammontano, in media, a 120 dollari: vale a dire al 30% del prezzo di vendita del prodotto. Una cifra non molto distante dal costo delle componenti fisiche del dispositivo stesso [53]. La giurisprudenza statunitense ha da tempo riconosciuto la possibilità che si verifichino casi di royalty stacking e le criticità ad esso associate.Con la nota decisione resa nella controversia tra Microsoft eMotorolanel 2013, il Giudice Robart della United States District Courtdi Seattle ha affermato che "a proper methodology for determining a RAND royalty should address the risk of royalty stacking by considering the aggregate royalties that would apply if other SEP holders made royalty demands of the implementer" e che il rischio di royalty stacking debba essere tenuto in considerazione dai titolari di SEP nella determinazione di una licenza FRAND [54]. Nello stesso senso si sono poi espresse la Commissione Europea [55], la Federal Trade Commission [56] e, di recente, dalla Competition Commission of India (CCI), la quale ha posto in rilievo il fatto che "FRAND licenses are primarily intended to prevent patent hold up and royalty stacking" [57]. Cionondimeno, numerosi autori hanno contestato i fondamenti della teoria del royalty stacking. In primo luogo, essa non terrebbe adeguatamente in considerazione l'impatto 'riduzionista' di prassi comuni come il cross-licensing, la possibilità che le esclusive brevettuali non siano fatte [...]