Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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La danza del realismo e della critica: riflessioni sul metodo giuridico* (di Francesco Denozza, Già Professore emerito di diritto commerciale, Università degli Studi di Milano)


* Il presente lavoro riproduce, con alcune integrazioni, la relazione svolta nel corso della tavola rotonda “Il metodo nel diritto commerciale”, tenutasi il 22 febbraio 2019 nell’ambito del X Convegno annuale dell'Associazione "Orizzonti del diritto commerciale".

Il lavoro prende anzitutto posizione a favore delle concezioni strumentali del diritto. Una visione strumentale del diritto ne enfatizza la natura di fenomeno sociale, destinato a produrre effetti socialmente rilevanti, e considera perciò la razionalità sostanziale (intesa come ricerca consapevole e coerente di fini estrinseci al sistema giuridico, quali, ad esempio, obiettivi etici, utilitaristici o politici) molto più importante della razionalità formale (intesa come l’uso di criteri di decisione intrinseci al sistema giuridico, costruiti da un pensiero giuridico specializzato).

In questa prospettiva, la razionalità del sistema giuridico dipende non tanto dalle sue caratteristiche intrinseche (sistematizzazione logica, coerenza interna, completezza, ecc.) ma dalla sua capacità di guidare una data realtà sociale in una direzione appropriata. L’inter­pretazione giuridica richiede perciò un’adeguata conoscenza dell’effettivo funzionamento delle norme giuridiche nei contesti sociali che esse regolano, e un metodo basato su concetti critici e dialettici (anziché statici), in grado di interpretare la continua evoluzione del sistema legale, imposta da circostanze sociali in rapido cambiamento. In definitiva, il ragionamento giuridico ha bisogno di concetti in grado di danzare allo stesso ritmo della realtà regolata.

* This article is an expanded version of the talk given at the roundtable on “Il metodo nel diritto commerciale” that was held on 22 February 2019 at the Tenth Annual Conference of the ODC Association.

Dance of realism and critique: the legal method reconsidered.

The paper begins by taking a stand in favour of instrumentalist legal reasoning. An instrumental view emphasizes law as a social phenomenon, with social impact, and considers substantial rationality (understood as the conscious and consistent pursuit of ends extrinsic to the legal system, such as ethical, utilitarian or political goals) much more important than formal rationality (understood as the use of criteria of decision intrinsic to the legal system, construed by specialized modes of legal thought).

In this view, the rationality of the legal system depends not so much on its intrinsic features (logical systematization, internal consistency, completeness, etc.) but on its ability of steering a given social reality in an appropriate direction. Therefore, legal interpretation requires adequate knowledge of the actual operation of legal rules in the social settings they regulate, and a method based on critical and dialectical (instead of static) concepts, able to interpret the continuous evolution of the legal system, imposed by rapidly changing social circumstances. Ultimately, legal reasoning needs concepts able to dance at the same rhythm of the regulated reality.

Keywordslegal method – realism – critical thought

CONTENUTI CORRELATI: metodo legale - realismo - teoria critica

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. Razionalità formale v. razionalità sostanziale. - 3. La totalità fatti-norme. - 4. Logica sistematica v. logica dialettica. - 5. Astrazione come generalizzazione e astrazione come separazione. - 6. Razionalità strumentale e ragione critica. - 7. Conclusioni: interpretare, spiegare, trasformare. - NOTE


1. Introduzione.

Lo scienziato sociale studia una realtà (la società) che è in continuo movimento e che egli osserva non dall’esterno, ma dall’interno, in quanto parte di ciò che studia (è come un signore che tenta di salire su un’auto in corsa [1]). Egli studia non cose, ma processi e relazioni, in continua evoluzione, che legano le parti tra loro e con il tutto di cui fanno parte. Il metodo di cui ha bisogno deve perciò assicurare al suo pensiero la capacità di danzare con lo stesso ritmo con cui si muove la realtà che studia. Premesse queste personali, e metodologicamente alquanto impegnative, convinzioni di carattere generale, che dire di specifico sul metodo nell’ambito della scienza sociale diritto? Io credo che per uno studioso della mia età, un utile modo di avvicinare il problema possa essere quello di riformulare la domanda chiedendo: «quale metodo pensi di avere usato e quali sono i giuristi dai quali ti sembra di avere imparato di più»? [2] La domanda diventa allora per me molto facile e non ho difficoltà a rispondere con sicurezza. Gli autori da cui credo di avere imparato di più sono una lunga teoria che parte dal secondo Jhering, prosegue con l’Interessenjurispru­denz (l’importanza del cui messaggio è il primo insegnamento che mi trasmise tanti anni fa il mio maestro Pier Giusto Jaeger) prosegue con i realisti americani e giunge ai nostri giorni con l’analisi economica del diritto (EAL). Come si vede, si tratta di un gruppo che da un certo punto di vista appare a tutta prima alquanto male assortito. Jhering era un liberale quasi classico (anche se con idee fortemente originali: mi capita sempre più spesso di riflettere sull’importanza della sua tesi per cui esiste un dovere di esercitare i propri diritti [3]). Philip Heck, il grande teorico della giurisprudenza degli interessi, finì per appoggiare il partito Nazionalsocialista; molti realisti americani passarono parte della loro vita a difendere i diritti degli Amerindi, degli Afroamericani e delle minoranze, cosa che interessa ben poco alla maggior parte dei teorici dell’EAL, alcuni dei quali teorizzano, come è noto, la liceità delle discriminazioni efficienti. Eppure è facile mettere insieme questi pensatori se si considera, per dirla in maniera brutale e forse anche un po’ banale, [...]


2. Razionalità formale v. razionalità sostanziale.

A questo modo di vedere il diritto se ne contrappone un altro, il cui cantore è Max Weber. Come è ben noto, uno dei capisaldi del pensiero di Weber è l’analisi della razionalizzazione della società (considerata caratteristica della modernità in generale, e del capitalismo in particolare) accompagnata dalla distinzione tra i diversi tipi di razionalità. Ovviamente qui non si può neanche accennare alla grandiosa, complessa costruzione del pensiero weberiano. Basterà per quanto ci interessa ricordare che la principale (e più meritoria) qualità che Weber attribuisce agli ordinamenti occidentali moderni (e, in particolare, a quello tedesco, modellato dalla Pandettistica) è la c.d. razionalità formale, qualità che, tralasciando il tema dell’irrazionalità (anch’essa distinta in formale e sostanziale), Weber contrappone alla razionalità sostanziale del diritto [5]. Semplificando, si può dire che nel linguaggio di Weber un diritto sostanzialmente razionale è un diritto che persegue dei fini, fini che possono essere di varia natura, morali o religiosi, ma anche politici, pratici o di altro genere. Un diritto formalmente razionale è invece un diritto preoccupato esclusivamente della sua coerenza interna, e della possibilità di acquisire, grazie a questa coerenza logica, qualità come la certezza, la prevedibilità e, in definitiva, una sorta di calcolabilità. In questa prospettiva il diritto occidentale moderno diventa un importante tassello nel mosaico della razionalizzazione della società e del sistema capitalistico. Come la separazione dell’attività economica dall’attività familiare, insieme alla partita doppia e allo sviluppo delle altre tecniche contabili, hanno reso calcolabili i fatti interni all’impresa; come i mercati concorrenziali, e la legge della domanda e dell’offerta, hanno reso calcolabile l’ambiente economico in cui l’impresa opera, così il diritto formalmente razionale, e una burocrazia professionale separata dai familiari e cortigiani del sovrano, rendono prevedibile e calcolabile anche l’ambiente istituzionale in cui l’imprenditore capitalista si muove. In questa visione è però essenziale che giudici e burocrati non si lascino vincere dalla tentazione di perseguire qualche specifico [...]


3. La totalità fatti-norme.

Sia chiaro che non intendo affatto sollecitare un’acritica adesione alle concezioni strumentali del diritto, che sono, come ho già detto, tra loro assolutamente eterogenee (e la principale delle quali – l’EAL – ho io stesso passato la vita a criticare). La contrapposizione tra concezioni formali e concezioni stru­mentali non serve a schierarsi, ma a ricavare insegnamenti. Il primo insegnamento di questa discussione è, come ho detto, l’indicazio­ne in favore di uno studio del diritto concepito come una realtà composta da fatti e da norme, cosa che implica un evidente corollario: per applicare correttamente le norme bisogna tenere conto della realtà fattuale cui le norme si applicano, e averne adeguata conoscenza. Il senso di un sistema giuridico, o di una specifica disciplina, può essere colto solo osservando l’interazione tra nor­me e fatti, concepita come un fenomeno unitario. Faccio un esempio. Chi legge l’art. 2380 bis del nostro codice civile o, adesso, l’art. 376 del codice della crisi, ne ricava l’impressione che nelle società italiane comandano gli amministratori [9]. Poi lo stesso lettore legge la disciplina della società benefit (in cui si dice che spetta agli amministratori il compito di bilanciare i diversi interessi) e conclude che in Italia viviamo in un capitalismo manageriale e che abbiamo risolto i problemi della responsabilizzazione sociale delle imprese grazie alla creazione di una forma di società in cui gli amministratori operano come gerarchi disinteressati, che mediano tra gli interessi degli investitori e quelli degli altri stakeholder [10]. Una disincantata osservazione della realtà fattuale ci dice però immediatamente che le cose non stanno affatto così. Come osservava già Galgano [11] quasi mezzo secolo fa «L’autonomia dell’organo amministrativo rispetto al­l’as­semblea degli azionisti … non è una autonomia effettiva, e non è traducibile in termini sociologici di separazione del potere economico dalla proprietà della ricchezza. Essa è una autonomia funzionale: è una autonomia strumentale rispetto agli interessi del gruppo assembleare di controllo della società. Gli amministratori se non ricevono più direttive dall’assemblea, obbediscono pur [...]


4. Logica sistematica v. logica dialettica.

L’insieme fatti-norme cambia continuamente e il suo studio necessita di strumenti teorici adeguati. Premesso che ogni teorizzazione procede ovviamente attraverso la costruzione di concetti, ciò che intendo qui mettere in discussione è la tendenza, molto diffusa tra i giuristi, a sopravvalutare la realtà delle norme, e dei concetti che l’interprete costruisce sulle norme, fino a concepire questa come la sola realtà effettiva e rilevante. La mia opinione è che i concetti vanno costruiti non in maniera, per così dire, sistemica (osservando cioè il sistema delle norme e ipostatizzandone il senso) ma in maniera dialettica, tenendo cioè presenti le contraddizioni che nascono nel rapporto con la realtà regolata e nei processi di cambiamento che intervengono in questa, prima ancora che nelle norme. Un esempio facile può essere quello della nozione di soggetto. Se si ipostatizza la figura del soggetto giuridico ottocentesco, kantianamente dotato di Wille e Willkuer, signore della volontà e degli spazi di autonomia che l’ordi­namento gli garantisce [12], si corre facilmente il rischio di scivolare in anacronismi come capita, secondo me, ad autorevole dottrina quando cerca di accreditare una concettualizzazione che contrappone il diritto civile o dei contratti, quale regno del diritto soggettivo e dell’autonomia [13] (niente obbligazioni senza consenso), al diritto commerciale delle organizzazioni, caratterizzato dalla eteronomia e dal prevalere delle esigenze dell’attività su quelle del soggetto [14]. Questo è secondo me un cattivo uso della nozione di soggetto. Del soggetto (che resta nozione fondamentale del diritto moderno in cui l’individuo per essere agente di una pratica giuridica deve necessariamente assumere la forma del soggetto) occorre avere una concezione dinamica e dialettica, non una nozione ancorata ad una visione dell’autonomia privata nel senso dell’autonomia del signore della volontà ottocentesco, che, se mai è esistita, non esiste più da nessuna parte. Basta a questo riguardo osservare quello che tradizionalmente è lo strumento principale della concretizzazione di questa autonomia, e cioè il contratto, per rendersi conto del mutamento. Lo scambio istantaneo in cui le due volontà si incontrano per un momento e poi tornano [...]


5. Astrazione come generalizzazione e astrazione come separazione.

Esiste un altro aspetto dell’astrazione, diverso da quello dell’astrazione co­me cattiva generalizzazione, su cui vorrei ora soffermarmi e che consiste nel­l’astrarre, nel senso di separare, un fenomeno dalla totalità in cui è inserito e analizzarlo come un ente indipendente. Si tratta di una tendenza perniciosa che è fortemente presente nella frammentata realtà del diritto contemporaneo. Come mi è capitato di dire altre volte, una delle caratteristiche (fortemente influenzata dall’analisi economica del diritto) di quello che chiamo lo stile giuridico neoliberale [17], è l’idea di poter assumere come oggetto privilegiato di osservazione e di studio la c.d. transazione, intesa come il trasferimento (non necessariamente volontario) di una qualsiasi risorsa, da una ad altra interfaccia [18]. In questa visione, la società è concepita come un gigantesco meccanismo di allocazione dei beni che si concretizza nella somma di una infinità di transazioni interindividuali che a loro volta realizzano un continuo spostamento delle risorse disponibili verso gli usi più efficienti cui possono essere destinate. La singola transazione diventa così l’unità elementare, l’atomo o la cellula, su cui il giurista concentra la sua attenzione con il fine di immaginare e costruire gli accorgimenti istituzionali in grado di assicurare la realizzazione del maggior numero di transazioni efficienti (quelle che, come si è detto, trasferiscono le risorse verso le utilizzazioni in cui producono la maggior quantità di utilità). Di qui l’ossessione per i costi di transazione (tutti i fenomeni che possono ostacolare la realizzazione di transazioni efficienti) e il tentativo di analizzare e classificare da una parte le transazioni, sulla base dei costi che possono renderle non facilmente realizzabili, e dall’altra le regole, sulla base della loro capacità di ridurre questo o quel costo di questa o quell’altra transazione. Al di là di molti altri difetti, questa impostazione ne implica uno che è quello su cui vorrei richiamare ora l’attenzione. Questo modo di ragionare isola i fenomeni oggetto di studio dalla totalità di cui sono parte e si rende cieco nei confronti di tutti i problemi, le tensioni e le contraddizioni che non compaiono direttamente nel vetrino in cui è [...]


6. Razionalità strumentale e ragione critica.

Un’ultima questione, presente in modi diversi sia nelle concezioni formali, sia in quelle strumentali, credo meriti di essere richiamata. Si tratta del ruolo attribuito alla critica. Non mi riferisco alla critica spicciola di questa o quella norma che nel pensiero giuridico contemporaneo certamente non manca. Criticare il legislatore è diventato spesso addirittura una moda, se non un vezzo. Mi riferisco invece al pensiero critico, inteso come attitudine non disposta ad accettare supinamente l’esistente dominante, e ancor meno disposta ad accettarne abbellenti razionalizzazioni [22]. Che le teorie formali tendano ad emarginare ogni forma di pensiero critico è una naturale conseguenza del modo in cui esse concepiscono il diritto e il ruolo dei giuristi. Il pensiero critico è sostanzialmente incompatibile con il compito che in queste prospettive si auto assegna il giurista, che è quello di costruire architetture concettuali in grado di eliminare ogni contraddizione logica e di occultare ogni contraddizione dialettica. Il problema riguarda però, sia pure in modo diverso, anche molte concezioni strumentali (mi riferirò, come al solito, soprattutto all’EAL, la più attuale di esse). Una delle implicazioni di queste teorie è infatti la tendenza a concentrare l’attenzione sulla efficienza dei mezzi, più che sull’appropriatezza dei fini. La razionalità strumentale (per tornare alle classificazioni di Max Weber) diventa allora il punto di riferimento centrale. In genere in positivo, nel senso di guida verso la ricerca delle soluzioni strumentalmente più efficaci, ma anche in negativo, quando il giurista si vede costretto a denunciare l’inidoneità degli strumenti di cui dispone a realizzare pienamente gli obiettivi perseguiti (come nel caso della critica realista alla capacità della dottrina dogmatica tradizionale a garantire un adeguato livello di certezza del diritto). In questa prospettiva, che pone al centro la razionalità strumentale, il fine diventa quasi secondario, o, come nel caso dell’EAL vaghissimo. La massimizzazione del benessere complessivo è infatti un fine così privo di sostanza da diventare quasi auto evidente (chi si dichiara a favore di una diminuzione del benessere di tutti?) e che può essere facilmente e meccanicamente articolato in fini relativamente più specifici come la [...]


7. Conclusioni: interpretare, spiegare, trasformare.

Se mi è consentito chiudere con la citazione di uno studioso da cui ritengo di avere imparato molto, anche sul piano del metodo, vorrei ricordare la celeberrima undicesima tesi di Marx su Feuerbach che nella traduzione più diffusa recita: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo». Non voglio sostenere che questo aforisma debba applicarsi anche ai giuristi. Penso però che ridurre il compito dello scienziato del diritto all’interpre­tazione della legge sia riduttivo. Io credo che la ricerca deve tendere non solo ad interpretare, ma soprattutto a spiegare. Certamente spiegare il mondo non significa trasformarlo. Sono però convinto che sia ben difficile pensare di potere trasformare il mondo senza avere capito e spiegato i meccanismi che fanno sì che esso si muova in un modo invece che in un altro.


NOTE