La Direttiva (EU) 2016/943 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2016 sulla protezione delknow-howriservato e delle informazioni commerciali riservate (di qui in avanti anche Direttiva o Direttiva sulla protezione dei segreti commerciali) fornisce anzitutto una definizione di segreti commerciali, stabilendo al contempo le modalità di acquisizione, utilizzo e divulgazione leciti ed illeciti delle informazioni suddette.
L'impatto dell'intervento armonizzatore, tuttavia, è destinato ad essere avvertito principalmente nell'ambito delle regole procedurali e rimediali recate dalla Direttiva. A tal riguardo il presente contributo rimarca la sostanziale conformità dell'ordinamento italiano rispetto all'impianto generale della Direttiva sulla protezione dei segreti commerciali.
Il sistema italiano, anzi, per taluni versi appronta una tutela più avanzata rispetto a quella divisata dalla normativa comunitaria. Non mancano, tuttavia, manchevolezze o difformità della normativa italiana in confronto con le disposizioni previste dalla Direttiva. Il presente contributo intende porre in luce ciascuno di tali punti di contrasto, suggerendo gli interventi normativi più opportuni.
Uno spazio non minimo è altresì dedicato ai principali problemi interpretativi legati alla nozione di segreti commerciali rispetto ai quale è ragionevole attendere un intervento della Corte di Giustizia.
The Directive (EU) 2016/943 of the European Parliament and of the Council of 8 June 2016 on the protection of undisclosed know-how and business information (hereinafter the Directive or Directive on the protection of trade secrets) provides for a definition of the trade secrets eligible for protection at the same time describing both lawful and unlawful ways of acquisition, use and disclosure of trade secrets. The harmonization impact though is mostly to be found in the procedural and remedial framework set forth by the same Directive.
The Italian legal system is largely compliant with the provisions introduced by the Directive and, to a certain extent, provides for a more far-reaching protection, nonetheless some contrasts with the provisions of the Directive emerge.
The present Article aims at pointing out the differences between the Italian system and the legal framework of the Directive, suggesting the appropriate amendments and integrations.
Attention is also devoted to the interpretative issues regarding the definition of trade secrets that could be the subject of judicial interventions by the Court of Justice of the European Union.
CONTENUTI CORRELATI: proprietà intelletuale - segreti commerciali - segreti aziendali - reverse engineering - enforcement
1. Introduzione e piano dell’indagine. - 2. Gli obiettivi e le caratteristiche fondamentali della Direttiva. - 3. La disciplina sostanziale prevista dalla Direttiva. La definizione di segreto commerciale. - 3. 1 I mezzi leciti di acquisizione dei segreti commerciali. L’utilizzo e la divulgazione leciti dei segreti commerciali. - 3. 2 I mezzi illeciti di acquisizione, utilizzo e divulgazione di segreti commerciali. - 4. Le disposizioni in tema di tutela giurisdizionale. Note introduttive. - 4. 1 Le disposizioni di tutela giurisdizionale non previste dalla Direttiva sui segreti commerciali. - 4. 2 La disciplina della prescrizione. - 4. 3 La disciplina della protezione della riservatezza dei segreti commerciali durante e dopo i procedimenti giudiziari a tutela dei segreti. - 4. 4 L’impianto rimediale. I criteri di scelta delle misure cautelari e definitive alla luce del principio di proporzionalità. - 4. 5 Le misure alternative a quelle inibitorie e correttive. Rimedi obbligatori in luogo di rimedi reali. - 4. 6 Le disposizioni opzionali. - NOTE
La Direttiva (EU) 2016/943 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2016 sulla protezione delknow-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti (di qui in avanti anche Direttiva o Direttiva sulla protezione dei segreti commerciali), punta ad una armonizzazione dell'impianto procedurale e rimediale applicabile in ciascuno Stato membro a protezione dei segreti industriali. A tal fine la Direttiva procede altresì ad una previa definizione della nozione di segreto industriale e commerciale proteggibile, stabilendo talune regole in materia di liceità ed illiceità di acquisizione, utilizzo e divulgazione delle informazioni segrete. La Direttiva, invece, non ha l'obiettivo di armonizzare le norme degli Stati membri riguardanti la protezione dei dati «relativi a prove o altri dati segreti … alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche» (v. art. 98, secondo comma, del codice della proprietà industriale, di qui in avanti anche c.p.i., sulla scorta delle disposizioni di cui all'art. 39.3 TRIPS)[1]. L'impatto della Direttiva su tale serie di disposizioni non formerà pertanto oggetto di analisi[2]. Il presente contributo si prefigge di individuare gli eventuali punti di difformità dell'ordinamento italiano rispetto alle norme recate dalla Direttiva, proponendo i necessari interventi di adattamento al dettato comunitario. Poiché, peraltro, la portata armonizzatrice della Direttiva riguarda principalmente la tutela giurisdizionale, su di essa ci si dovrà in particolar modo soffermare al fine di circoscrivere gli ambiti in cui è necessario od opportuno intervenire. Sotto l'angolo visuale prescelto, occorre inoltre prestare attenzione ai rapporti tra la disciplina dettata dalla Direttiva sulla protezione dei segreti commerciali e la normativa recata dalla Direttiva 2005/48/CE (di qui in avanti anche DirettivaEnforcement). Quest'ultima disamina è vieppiù necessaria giacché l'ordinamento italiano, come noto, protegge i segreti industriali nell'ambito del codice della proprietà industriale che, a sua volta, per mezzo del d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140, ha recepito la DirettivaEnforcementcon efficacia estesa a tutti i diritti di [...]
La Direttiva si colloca nel quadro della strategia sulla protezione della proprietà intellettuale delineata dalla Comunicazione della Commissione COM(2011)287[3] ed approva, con modificazioni, la proposta di Direttiva COM(2013)813[4]. Le regole di protezione dei segreti commerciali sono divenute oggetto di attenzione da parte della Commissione dell'Unione Europea poiché percepite come momento normativo importante, ed ancillare alla disciplina degli altri diritti di proprietà industriale, ai fini del mantenimento di un elevato livello di investimenti in innovazione nell'Unione[5]. I segreti commerciali, infatti, costituiscono, come noto, un importante (ed a volte cruciale) strumento competitivo per le imprese le quali, «a prescindere dalle loro dimensioni, attribuiscono ai segreti commerciali lo stesso valore attribuito ai brevetti e alle altre forme di diritti di proprietà intellettuale»[6]. Non è chi non veda, invero, come lo sviluppo di trovati e metodi industriali innovativi, che in una fase matura possono formare oggetto di domanda di brevetto, non può che avvenire in regime di segreto. In questi casi la protezione del segreto costituisce anzi premessa necessaria alla protezione mediante brevetto per invenzione (o mediante privativa per disegni e modelli)[7]. In altri casi, invece, taluni tipi di conoscenze tecniche ed ilknow-how, pur indispensabili per la competitività delle imprese che li detengono, e frutto di notevoli investimenti, sono proteggibili esclusivamente in regime di segreto. Similmente altre informazioni che, pur non recando innovazioni di carattere tecnico, sono di cruciale importanza per le imprese che le detengono, possono essere tutelate soltanto in regime di segreto. Fra queste ultime, il considerando n. 2 della Direttiva cita espressamente i «dati commerciali» contenenti informazioni su «clienti o fornitori, i piani aziendali, le strategie di mercato». Proprio per tali ragioni all'interno dei negoziati dell'Uruguay Round è stata avvertita l'esigenza di inserire norme specificamente dedicate ai segreti commerciali (nonché alla protezione dei dati riservati sottoposti a pubbliche autorità). In questa direzione si è provveduto all'inserimento dell'art. 39 TRIPS il quale, come noto, fornisce la definizione di segreti commerciali e stabilisce il livello minimo di tutela giurisdizionale che ciascuno Stato membro deve [...]
La Direttiva di protezione dei segreti commerciali prevede tanto una definizione dei segreti commerciali tutelabili (art. 2) quanto le fattispecie di acquisizione, utilizzo e divulgazione che debbano considerarsi leciti e illeciti (Artt. 3 e 4). Principiando con l'esame della definizione di segreti commerciali recata dalla Direttiva, deve costatarsi come essa corrisponda sostanzialmente a quella stabilita dall'art. 39 TRIPS. L'art. 98 c.p.i., a sua volta, sostanzialmente ripropone il dettato dell'art. 6-bisdella legge invenzioni, introdotto dal d. lgs. 19 marzo 1996, n. 198, il quale ha provveduto ad adeguare il nostro ordinamento alle previsioni dell'Accordo TRIPS [22]. A tutela delle informazioni che risultino carenti dell'uno o dell'altro requisito stabilito dall'art. 98 c.p.i., invece, rimane ferma la possibilità di invocare l'art. 2598 c.c., come peraltro può evincersi dal dettato dell'art. 99 c.p.i.[23]. Poiché, inoltre, la definizione contenuta all'art. 98 c.p.i., in tema di "informazioni aziendali" tutelabili, a sua volta corrisponde, nella sostanza, a quella fissata dalla normativa TRIPS, può affermarsi senza tema di smentita che la legislazione italiana, sotto questo profilo, è già in linea con quanto richiesto dalla Direttiva. In senso contrario non ha alcun pregio opporre l'estrema latitudine del termine "information" contenuta all'art. 39 TRIPS e del termine «informazioni» della versione italiana della Direttiva. A ben vedere, la fattispecie oggetto di tutela ai sensi dell'art. 98 c.p.i., consistente nelle «informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali», copre per intero l'area delle informazioni tutelabili ai sensi dell'Art. 10bisdella Convenzione dell'Unione di Parigi così come richiesto dall'Art. 39.1 TRIPS. Né, invero, appare significativa la differenza lessicale tra la lett. b) dell'art. 98 c.p.i. che si riferisce al «valore economico» derivante dalla segretezza delle informazioni e la lett. b) del n. 1 dell'art. 2 della Direttiva che richiama, al pari dell'art. 39 TRIPS, il «valore commerciale». Ciò posto, può semmai osservarsi come i giudici nazionali potrebbero senz'altro sollevare questioni interpretative pregiudiziali dinanzi ai giudici di Lussemburgo onde ottenere chiarimenti vincolanti circa la portata della fattispecie descritta dall'art. 2, n. 1 della [...]
L'art. 3, par. 1, della Direttiva stabilisce, mediante norme di armonizzazione massima, quali siano i mezzi di acquisizione dei segreti commerciali che devono senz'altro essere considerati leciti. Ai sensi della Direttiva costituiscono mezzi leciti di acquisizione la «scoperta o creazione indipendente» nonché l'«osservazione», lo «studio», lo «smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni, il quale è libero da qualsiasi obbligo giuridicamente valido di imporre restrizioni all'acquisizione del segreto commerciale» oltre, naturalmente, a «qualsiasi altra pratica che, secondo le circostanze, è conforme a leali pratiche commerciali». Le suddette norme, pertanto, in linea di principio ammettono ilreverse engineeringcome mezzo lecito di acquisizione di segreti commerciali. Ciò peraltro non significa che i segreti lecitamente acquisiti mediante analisi scompositiva oreverse engineeringpossano parimenti essere utilizzati o divulgati liberamente. La libertà di utilizzo e di divulgazione può, in linea di massima, essere affermata rispetto ai terzi che abbiano in tal modo acquisito i segreti commerciali di un concorrente [arg.exart. 4, par. 3, lett. a)] e coloro cui i primi abbiano comunicato le informazioni suddette; qualora si tratti, invece, di soggetto legato da un rapporto contrattuale con il legittimo detentore dei segreti, quest'ultimo può senz'altro imporre al primo limiti di utilizzo e di divulgazione dei segreti pur legittimamente acquisiti, ad esempio, in virtù di un contratto di licenza [arg. exart. 4, par. 3, lett. b) e c)]. Occorre inoltre osservare che le disposizioni di cui all'art. 3, par. 1, lett. b) stabiliscono la liceità del reverse engineeringcome mezzo di acquisizione dei segreti commerciali solo se il soggetto che acquisisce in tal modo le informazioni «è libero da qualsiasi obbligo giuridicamente valido [che] impo[ne] restrizioni all'acquisizione del segreto commerciale». Anche in tal caso il pensiero corre ai contratti di licenza. La dottrina che ha avuto modo di occuparsi delle disposizioni in questione ha rimarcato come la Direttiva non stabilisca limiti di validità di siffatti accordi né criteri alla stregua dei quali valutarne la liceità[46]. Consegue che uno dei [...]
L'art. 4 della Direttiva si occupa di individuare i mezzi illeciti di acquisizione, utilizzo e divulgazione di segreti commerciali. Le disposizioni in esso contenute devono peraltro essere lette congiuntamente a quelle recate dall'art. 3 della Direttiva. L'art. 4, par. 2 delimita le ipotesi di acquisizione illecita di segreti commerciali. Esso stabilisce che «[l]'acquisizione di un segreto commerciale senza il consenso del detentore è da considerarsi illecita qualora compiuta in uno dei seguenti modi: a) con l'accesso non autorizzato, l'appropriazione o la copia non autorizzate di documenti, oggetti, materiali, sostanze o file elettronici sottoposti al lecito controllo del detentore del segreto commerciale, che contengono il segreto commerciale o dai quali il segreto commerciale può essere desunto; b) con qualsiasi altra condotta che, secondo le circostanze, è considerata contraria a leali pratiche commerciali». Inizialmente il par. 1 dell'attuale art. 4 (art. 3 nella Proposta di Direttiva) faceva riferimento ad attività, quelle di «furto» e «corruzione», che non hanno il medesimo significato secondo la legge penale di ciascuno Stato membro e, per tale ragione, è stato alla fine preferito l'impiego di una terminologia più neutra all'interno della quale rientra certamente l'attività di spionaggio industriale[60]. Alla luce dell'art. 3, par. 1, inoltre, l'analisi chimica, l'esame scompositivo e ilreverse engineering non possono considerarsi mezzi di acquisizione di segreti commerciali contrari «a leali pratiche commerciali» ai sensi della lett. b) del par. 2 dell'art. 4 della Direttiva. L'art. 4, par. 3 stabilisce che «[l]'utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale sono da considerarsi illeciti se posti in essere senza il consenso del detentore del segreto commerciale da una persona che soddisfa una delle seguenti condizioni: a) ha acquisito il segreto commerciale illecitamente; b) viola un accordo di riservatezza o qualsiasi altro obbligo di non divulgare il segreto commerciale; c) viola un obbligo contrattuale o di altra natura che impone limiti all'utilizzo del segreto commerciale». A tal proposito può senz'altro affermarsi che l'esistenza e/o la validità di accordi di riservatezza, obblighi di non divulgazione, così come di obblighi contrattuali o di altra natura che limitino l'utilizzo del [...]
La Direttiva sui segreti commerciali, al capo III, presenta disposizioni su «misure, procedure e strumenti di tutela» che in molti casi (ma, come si vedrà, non in tutti) ricalcano quelle recate dalla Direttiva 2004/48/CE (di qui in avanti anche "DirettivaEnforcement")in materia di protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Come noto, tuttavia, secondo interpretazione ricevuta, una tale convergenza non è imposta dall'adesione all'Accordo TRIPS[65]. L'art. 39 TRIPS prevede infatti che i segreti commerciali debbano essere tutelati «in the course of ensuring effective protection against unfair competition as provided in art. 10bis of the Paris Convention (1967)». In tal senso, pertanto, gli Stati partecipanti all'Accordo hanno assunto l'obbligo di prestare una tutela efficace dei segreti commerciali nel quadro della protezione contro gli atti di concorrenza sleale di cui all'art. 10bis della Convenzione dell'Unione di Parigi[66]; essi, viceversa, non si sono obbligati all'applicazione della normativa in materia di enforcement prevista agli Artt. 41 e ss. TRIPS anche in merito alla protezione dei segreti commerciali[67]. Anche recenti Accordi definiti TRIPS-plus come il TTP o, ancora, gli Accordi DCFTA (Deep and Comprehensive Free Trade Area) stipulati con l'Unione Europea, confermano una sostanziale separatezza tra l'impianto rimediale previsto per i diritti di proprietà intellettuale, da un lato, e la protezione dei segreti commerciali, dall'altro. Detto altrimenti, benché ai sensi dell'art. 1 TRIPS i segreti commerciali siano diritti di proprietà intellettuale, gli Stati membri non sono obbligati a tutelare i medesimi comediritti di proprietà intellettuale[68]. È questa la ragione per la quale la tutela dei segreti d'impresa, fatte salve talune eccezioni, è rimasta soggetta alla normativa, dettata in ciascun Paese, in materia di protezione contro gli atti di concorrenza sleale o, più in generale, in materia di responsabilità da atto illecito. E ciò, peraltro, in coerenza con quanto prescritto dall'art. 10ter della Convenzione dell'Unione di Parigi. Di qui la notevole diversità dei regimi di responsabilità derivante dalla sottrazione, utilizzo e divulgazione illeciti di segreti commerciali[69]. Poiché, tuttavia, l'art. 39 TRIPS dispone obblighi minimi, non si ravvisano ostacoli all'applicazione delle norme processuali e [...]
Come anticipato, molteplici sono le disposizioni e gli istituti afferenti la tutela giurisdizionale disciplinati dal codice di proprietà industriale al capo III i quali, tuttavia, non sono contemplati dal capo III della Direttiva (UE) 2016/943 recante «misure, procedure e strumenti di tutela» contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti di segreti commerciali. A tal proposito deve rimarcarsi che, se si eccettuano le previsioni normative riguardanti i diritti titolati di proprietà industriale, le rimanenti norme nazionali in materia dienforcementrecate dal codice sono senz'altro applicabili anche ai fini della protezione dei segreti commerciali, contro gli atti abusivi di acquisizione, utilizzo e divulgazione dei medesimi. Come detto, siffatte disposizioni sono in linea con l'ordinamento comunitario (oltre che con l'ordinamento internazionale rilevante) poiché volte ad attuare una protezione avanzata ed efficace (anche) contro la sottrazione, utilizzo e divulgazione abusivi di segreti commerciali: così, ad esempio, le disposizioni che, anche sulla scorta della normativa TRIPS e della disciplina recata dalla Direttiva Enforcement, prevedono l'ordine del ritiro definitivo dal commercio emesso contro intermediari, parte del giudizio, i cui servizi siano utilizzati per violare un diritto di proprietà industriale (124, primo comma, c.p.i.)[79]; nonché il diritto di informazione (121 bis c.p.i.), ladiscovery(art. 121, commi secondo e secondo bis, c.p.i.), la descrizione ed il sequestro (artt. 129 e 130 c.p.i.) come pure la consulenza tecnica preventiva (art. 128 c.p.i.). Dall'art. 1, par. 1, della Direttiva, infatti, come ricordato, si evince, in linea generale, la facoltà degli Stati membri di stabilire misure, procedure e rimedi più efficaci di quelli previsti dalla Direttiva medesima ai fini della repressione degli atti di acquisizione, utilizzo e divulgazione illeciti di segreti commerciali. Può semmai osservarsi come l'impiego di strumenti efficaci di raccolta delle prove sia, secondo l'OCSE, uno degli elementi cruciali da considerare nella valutazione dell'effettività della tutela apprestata da ciascun ordinamento contro la sottrazione illecita dei segreti commerciali e, in tale quadro, l'ordinamento italiano certamente si distingue sul piano internazionale[80]. Alla luce di ciò può anzi affermarsi che la scelta, operata a livello [...]
Seguendo l'ordine sopra delineato, deve a questo punto darsi conto della presenza nella Direttiva di previsioni normative che danno luogo ad istituti non contemplati dalla Direttiva Enforcement né (o almeno non sulla base di disposizioni dettagliate[82]) dalla normativa TRIPS e che, per conseguenza, non sono presenti nel tessuto normativo dell'ordinamento nazionale. Trattasi, per un verso, delle disposizioni in materia di «riservatezza dei segreti commerciali nel corso dei procedimenti giudiziari» (art. 9 della Direttiva) e, per altro verso, della disciplina in tema di «prescrizione dei diritti e delle azioni per chiedere l'applicazione delle misure, delle procedure e degli strumenti di tutela previsti» dalla "Direttiva" (art. 8 della Direttiva). Per quanto concerne la normativa in tema di prescrizione dei diritti e delle azioni a tutela dei segreti commerciali, la Direttiva prevede che ciascuno Stato membro debba stabilire il termine iniziale di decorrenza della prescrizione nonché la durata, le cause di interruzione e di sospensione di detto periodo, stabilendo che quest'ultimo non possa comunque essere superiore a sei anni [v. art. 8 (1) e (2) Direttiva]. Trattasi di disposizioni soggette ad armonizzazione massima e come tali insuscettibili di deroghe da parte degli Stati membri in favore degli aventi diritto [v. art. 1 Direttiva]. In origine, peraltro, la Proposta di Direttiva conteneva - sul modello dell'UTSA statunitense - una disciplina ben più stringente di quella attuale, prevedendo un periodo di prescrizione molto più breve e compreso tra uno e due anni dalla data in cui l'avente diritto fosse venuto a conoscenza, o avesse avuto modo di venire a conoscenza, dell'ultimo fatto a base dell'azione. Quest'ultima previsione è stata profondamente modificata fino ad assumere la formulazione attuale[83]. Può peraltro osservarsi come le Direttive comunitarie concernenti diritti di proprietà intellettuale non hanno fin qui inciso sulla disciplina della prescrizione dei diritti[84]. La circostanza dell'assenza di disposizioni in materia di prescrizione all'interno della Direttiva Enforcement non appare casuale e si spiega in ragione della particolare natura della materia regolata che consiglia la presenza di una disciplina della prescrizione che tuteli, in assenza di un titolo di protezione, la certezza dei traffici giuridici. È questa, peraltro, la prospettiva adottata dagli [...]
L'art. 9 della Direttiva è di cruciale importanza nell'ambito dell'impianto divisato dalla Direttiva. Il rilievo di tali disposizioni è testimoniato, fra l'altro, dall'attenzione ad esse dedicata nel Memorandume nella Valutazione di Impatto allegate alla Proposta di Direttiva presentata dalla Commissione. La tutela della riservatezza dei segreti commerciali nell'ambito dei processi che li riguardino è inoltre segnalata da taluni studi pubblicati dall'OCSE ed è tenuta in considerazione fra i fattori rilevanti ai fini della misurazione dell'effettività della tutela dei segreti commerciali[88]. I considerando della Direttiva, d'altro canto, rimarcano l'importanza della salvaguardia della riservatezza dei segreti commerciali al fine di rendere effettiva la possibilità dei legittimi detentori dei segreti medesimi di ricorrere alle misure ed alle procedure stabilite a tutela delle informazioni segrete. Secondo il considerando n. 24 della Direttiva, infatti, la prospettiva della perdita di riservatezza delle informazioni a seguito dell'instaurazione di un procedimento giudiziario, scoraggia i legittimi detentori di queste ultime dall'intentare azioni giudiziarie a tutela delle medesime. La confidenzialità delle informazioni, inoltre, sempre secondo il considerando citato, deve essere salvaguardata anche dopo il termine del processo e fin quando le informazioni non abbiano perduto la loro caratteristica di segretezza. Al contempo il medesimo considerando stabilisce che debbano comunque osservarsi misure atte a garantire il diritto delle parti ad un processo equo. Secondo la valutazione di impatto condotta dalla Commissione, la necessità di una specifica disciplina in materia è dipesa dall'esiguità degli Stati membri attualmente in grado di garantire un livello adeguato di riservatezza dei segreti commerciali durante ed al termine del processo. Disposizioni generali in materia di salvaguardia della riservatezza delle informazioni confidenziali nell'ambito dei processi riguardanti la protezione di diritti di proprietà intellettuale sono prescritte dagli artt. 42 e 43 TRIPS i quali dispongono, rispettivamente, in generale, che le norme di procedura debbano provvedere affinché le informazioni riservate siano identificate e protette[89] nonché, più specificamente, nell'ambito della raccolta delle prove, che queste ultime debbano essere sottoposte, nei casi in [...]
Passando all'esame delle misure cautelari e di merito, la Direttiva, come detto, ricalca in larga parte la disciplina prevista dalla DirettivaEnforcement. La Direttiva sui segreti commerciali, tuttavia, presenta talune non secondarie differenze: per un verso, emerge l'assenza di regole presenti nella DirettivaEnforcement, per altro verso, al contrario, deve constatarsi la presenza di regole nuove o diverse rispetto a quelle contenute dalla Direttiva 2004/48/CE. Fra queste ultime deve ricordarsi anzitutto la precisa elencazione, contenuta all'art. 11, par. 2 e all'art. 13, par. 1, degli elementi rilevanti ai fini della decisione, rispettivamente, circa l'accoglimento ed il rigetto della domanda di misure cautelari, ingiunzioni e misure correttive, nonché ai fini della scelta della misura più idonea alla luce del principio di proporzionalità. Tali elementi sono: «il valore e le caratteristiche specifiche del segreto commerciale; le misure adottate per proteggere il segreto commerciale; la condotta del convenuto nell'acquisire, utilizzare o divulgare il segreto commerciale; l'impatto dell'utilizzo o della divulgazione illeciti del segreto commerciale; i legittimi interessi delle parti e l'impatto che l'accoglimento o il rigetto delle misure potrebbe avere per le parti; i legittimi interessi dei terzi; l'interesse pubblico; e la tutela dei diritti fondamentali». Nulla di simile è previsto dalla Direttiva Enforcementla quale, invece, si limita a richiamare il principio di proporzionalità di cui l'autorità giudiziaria deve tener conto nel concedere o meno le misure richieste. Il silenzio in merito agli elementi alla cui stregua valutare il rispetto del principio di proporzionalità è stato, tuttavia, colmato da interventi interpretativi della Corte di giustizia[96]. Poiché, peraltro, le previsioni contenute all'art. 11, par. 2 della Direttiva sui segreti commerciali non sono previste dalle norme TRIPS, né dalla DirettivaEnforcemented inoltre, poiché non in contrasto con queste ultime, l'ordinamento italiano deve senz'altro adeguarsi al loro dettato. A tal proposito può essere opportuno un inserimento di disposizioni di tenore corrispondente nel corpo del codice di proprietà industriale. Per convincersene basti pensare al dettato dell'art. 124, co. 6, c.p.i., in materia di misure correttive e sanzioni civili, il quale, pur prevedendo, nel solco della [...]
La Direttiva sui segreti commerciali - a differenza della DirettivaEnforcement- contiene elementi di flessibilità, nell'applicazione delle misure cautelari nonché delle misure definitive, che sono vincolanti e non meramente opzionali per gli Stati membri. Le disposizioni in questione sono contenute, per le misure cautelari, all'art. 10, par. 2, e, per quanto concerne le misure definitive, all'art. 13, par. 3 della Direttiva. Esse ricalcano analoghe disposizioni della disciplina TRIPS e della DirettivaEnforcement(v. art. 9, par. 6 ed art. 13 Dir.Enforcement),salvo, come anticipato, per la circostanza che esse non contengono regimi opzionali per gli Stati membri bensì norme di armonizzazione massima. L'art. 10, par. 2 prevede che gli Stati membri debbano assicurare «che le autorità giudiziarie possano, in alternativa» alle misure cautelari già previste dal nostro ordinamento «subordinare il proseguimento del presunto utilizzo illecito di un segreto commerciale alla costituzione di garanzie intese ad assicurare il risarcimento in favore del detentore del segreto commerciale», fermo restando che tale rimedio non possa operare per consentire la «divulgazione di un segreto commerciale». Quest'ultima disposizione sembrerebbe legarsi, costituendone l'anticipazione in sede cautelare, a quella di cui all'art. 13, par. 3 il quale stabilisce che «[g]li Stati membri provvedono affinché, su richiesta del soggetto cui potrebbero essere applicate le misure» inibitorie e correttive stabilite dalla Direttiva, «la competente autorità giudiziaria possa ordinare il pagamento di un indennizzo alla parte lesainvecedell'applicazione di dette misure, se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il soggetto interessato, al momento dell'utilizzo o della divulgazione, non era a conoscenza né, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che il segreto commerciale era stato ottenuto da un altro soggetto che lo aveva ottenuto o stava divulgando illecitamente; b) l'esecuzione delle misure in questione può provocare un danno sproporzionato al soggetto interessato; e c) l'indennizzo alla parte lesa appare ragionevolmente soddisfacente». A sua volta il considerando n. 29 esemplifica il caso tipico in cui è soddisfatta la condizionesuba) del par. 3 dell'art. 13 della Direttiva e consistente nella circostanza dell'originario [...]
Fra le disposizioni opzionali contenute dalla Direttiva vanno viceversa annoverate quelle contenute dall'art. 14, par. 1, secondo comma, il quale prevede che «[g]li Stati membri poss[a]no limitare la responsabilità a carico dei dipendenti nei confronti del datore di lavoro per l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione illeciti di un segreto commerciale del datore di lavoro, in caso di danni causati involontariamente». Tali disposizioni si distanziano da quanto previsto dalla DirettivaEnforcemento dalle norme TRIPS. In tal senso, pertanto, qualora lo Stato italiano decidesse di trasporre tali previsioni normative, ciò dovrebbe fare in vista della tutela giurisdizionale dei segreti commerciali soltanto.